Editoria. Silvio Bernelli, il biografo di Botto & Bruno

“Stralcio di prova”, la rubrica dedicata alle connessioni fra narrazione romanzesca e arti visive, stavolta cede la parola a Silvio Bernelli, “biografo” del duo composto da Franco Botto e Roberta Bruno.

Breve storia: nel 2003 nasce il collettivo Nazione Indiana e il relativo blog. L’impianto è letterario, la missione è dar voce a chi e cosa non trovano spazio nell’editoria tradizionale e “commerciale”. Tre anni dopo, alcuni dei fondatori escono dal progetto e danno vita a Il primo amore, radicalizzazione del primo progetto. Fra i nomi: Carla Benedetti, Antonio Moresco, Tiziano Scarpa (tantissima arte visiva nei suoi romanzi e nei suoi testi critici – da alcuni interventi pubblicati su questa stessa testata a pagine potentissime ne Il brevetto del geco), Dario Voltolini. Oltre al blog e alla rivista cartacea (Il primo amore – Giornale di sconfinamento), cominciano a uscire anche libri autonomi in una collana edita da Effigie.
E qui arriviamo al libro di Silvio Bernelli, che naturalmente scrive anche per Il primo amore e che unisce a questa attività paralleli esercizi nel campo della musica e dell’insegnamento dello yoga. Fra i libri: il potente I ragazzi del Mucchio, e poi Dopo il lampo bianco, e ancora le pagine su Torino nel collettaneo Periferie (gran bel libro curato da Stefania Scateni dove, oltre a Bernelli, ci sono Biondillo su Milano, Clementi su Bologna, Lagioia su Bari, Montesano su Napoli e Sebaste su Roma – senza contare gli interventi foto-grafici, fra gli altri, di Andrea Chiesi e Gruppo Underworld).

TRA FICTION E REALTÀ

Dicevamo di Bernelli: questo suo ultimo libro fa venire in mente L’opera (1886) di Émile Zola e il suo strettissimo, vorticoso e abissale rapporto con Édouard Manet. Ricordate le pagine in cui si narra della visita in studio e della “scoperta” de Le déjeuner sur l’herbe (1862-63)? Con quella complicatissima e al tempo stesso semplicissima confusione dei ruoli narrativi, con lo Zola-critico che descrive il quadro dell’amico Manet accanto allo Zola-scrittore che descrive il quadro del romanzo e – terza abissalità – lo Zola-personaggio che descrive il quadro del coprotagonista-pittore. E su tutto, ad aleggiare in un volo talora minaccioso e tal altra soave, lo Zola-uomo-amico-di-Manet.
L’intreccio medesimo, seppur in dosi e configurazioni differenti, si trova nel Biografo di Botto & Bruno (pagg. 162, € 12). Un biografia – chiamiamola così, per farla semplice – che “salta a piè pari i tempi delle giostre e delle tate e ha un punto d’inizio preciso”, che è l’ottobre del 1985, quando il narratore Massimiliano Attardi-Silvio Bernelli incontra Franco Botto e Roberta Bruno sui banchi dell’Accademia Albertina di Torino. Perché una biografia-fra-virgolette: semplicemente perché questo è anche un romanzo, e soprattutto perché vive di una scrittura precisa, affilata, penetrante – una scrittura che Bernelli affina da anni e che ci piacerebbe leggere ancora più spesso. E poi ci sono, qui e là, pochi ma tutt’altro che banali affondi meta-letterari (“Inventando […], quello che non c’è nel testo non è mai esistito”; “Quanto è importante che Roberta e Franco si riconoscano in questa storia […]? Poco. Il loro ritrovarsi nelle pieghe dei fatti dimostrerebbe la sovrapponibilità di queste pagine alla narrazione che proporrebbero di loro. E questo sancirebbe la mia inutilità”) e autobiografici (anche qui ci vorrebbero, forse, le virgolette dubitative, perché il limite fra realtà e finzione è giustamente messo di continuo in dubbio, come d’altronde accade ogni giorno): “È meglio che siano i comprimari e non i protagonisti a tornare indietro nel tempo, raccattare i pezzi di una vicenda e racchiuderli in un quadro coerente”.

Silvio Bernelli - Il biografo di Botto & Bruno (Effigie, Pavia 2018)

Silvio Bernelli – Il biografo di Botto & Bruno (Effigie, Pavia 2018)

LA TRAMA

Cosa racconta dunque questo libro? Di Botto & Bruno, dai loro esordi, quando ancora non erano un duo e una coppia, fino alla partecipazione alla Biennale del 2001, la seconda diretta da Harald Szeemann. Con la vita che in mezzo scorreva, fra difficoltà (tante) e successi (pochi), e un’amicizia dalle alterne, epifenomiche vicende, ma basilarmente saldissima. Il tutto intrecciato, fra il lavoro da restauratori e le prime fanzine fotocopiate ed “esposte” all’Unione Culturale di Torino, le difficoltà economiche e le prime opere bidimensionali, il lavoro con la galleria di Alberto Peola (ma qui di nomi se ne fanno pochissimi) e la nascita dei collage fotografici, con gli scatti realizzati andando in giro per le periferie, un penetrante afflato politico (“Puntare lo sguardo sugli abitanti e gli ambienti della periferia […] tradiva un razzismo neanche troppo sottile. Ora quella gente poteva trovare nell’arte di Botto & Bruno una sorta di riscatto”) e le sue contraddizioni (“Soltanto i ricchi possono acquistare i lavori che denunciano la spietatezza di una società che di poveri e disadattati non sa che farsene”), la difficile mostra al Bullet Space di New York e la partecipazione a Kitchen su MTV.

Marco Enrico Giacomelli

https://effigiedizioni.wordpress.com/

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #43

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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