Roma, l’arte, la vita. Anna Paparatti racconta

Alcuni passi tratti dall’introduzione del curatore, Guglielmo Gigliotti. E poi tre ricordi di Anna Paparatti, scelti fra i tantissimi raccolti nel libro “Arte-vita a Roma negli anni ’60 e ’70. La pitturessa”. Dedicati a Sol LeWitt, Giorgio de Chirico e Mario Schifano.

La Storia dell’arte non esiste. Esistono solo le storie degli artisti e delle loro opere. Esiste la vita. La Storia, quella stilata per necessità di semplificazione compilativa, raramente capta la vita.
Una giornata può contenere un mondo, una notte può illuminare anche se illune: la Storia non ve lo dirà mai, non ne ha i mezzi. Siamo veramente convinti di sapere bene cosa è avvenuto sotto il cielo di Roma durante la grande stagione delle neoavanguardie? Conosciamo i luoghi, i protagonisti, i grandi eventi: manca tutto il resto, manca la vita.
Con Arte-vita a Roma negli anni ’60 e ’70 Anna Paparatti intende restituirci, di un’avventura culturale che proiettò Roma nel mondo dell’arte contemporanea internazionale, proprio questo: il sapore, il colore, l’atmosfera psicologica di specifici istanti, i comportamenti, le grandi amicizie, le grandi inimicizie, i momenti sublimi, i frangenti dolorosi, le fragilità dei protagonisti, le contraddizioni, la poesia, gli angoli in ombra, gli aneddoti, il quotidiano.
Con stile immediato, accattivante, tra flusso di coscienza e confessione a se stessa, Anna Paparatti, artista e compagna storica di Fabio Sargentini, culla il lettore in una contro-storia dell’arte, perché storia fatta di piccole storie e di affondi nell’umanità dei protagonisti, raccontati in brevi medaglioni, scolpiti con mano ferma nella cera: da Kounellis a Schifano, a Twombly, Angeli, Festa, Sol LeWitt, Fioroni, De Dominicis, Ontani, Mambor, Tacchi, Cintoli, ma pure Calder, Scialoja, Bonito Oliva e numerosi altri. Ironia, affetto, passione profonda, gratitudine, ostilità, tutti i sentimenti umani affiorano in questo affresco composito e vivace e vero di una stagione che ancora stiamo tentando di capire, al di là delle facili mitizzazioni. Anna Paparatti è lì, vede tutto, conosce tutti, e ha ottima memoria. La Scuola di Piazza del Popolo è stata la sua vita, la Galleria L’Attico ancor di più, la contestazione hippy è stata il suo stile, la vita bohémien il suo modo di essere al mondo, il Caffè Rosati, le gallerie, le cene tra artisti sono i luoghi del suo quotidiano, quando il mondo dell’arte era più piccolo e forse più vero. Anna Paparatti è quindi parte integrante, come donna e come artista, di uno straordinario periodo di arte e di vita, che dai ’60 si allunga ai ’70 e agli ’80. Sarà l’amico intimo Pino Pascali a presentarle in questo contesto Fabio Sargentini.

Pino Pascali parla con Anna Paparatti (col foulard in testa) e tre attori del Living Theatre. Roma 1965

Pino Pascali parla con Anna Paparatti (col foulard in testa) e tre attori del Living Theatre. Roma 1965

La loro coppia durerà, a partire dal 1967, circa venticinque anni. Alla Galleria L’Attico e nel rapporto con Fabio Sargentini, Anna Paparatti portò spirito e aperture della cultura del Living Theatre, dell’amata e frequentatissima India, di uno sguardo oltre le barriere borghesi. Il suo operato si svolge spesso nell’ombra, ma un’ombra feconda: consigliera preziosa, autrice di molte locandine e manifesti di mostre epiche e di spettacoli teatrali, co-organizzatrice di esposizioni ed eventi. Quel mondo ora ha trovato chi lo racconta dal di dentro.
La scrittura è tutta in minuscolo e la punteggiatura è quasi del tutto esclusa, sostituita dal collante dei trattini: la corrente dei ricordi non vuole barriere e la vita va sussurrata. È lo stile Paparatti, il suo modo di ospitarci nelle sue stanze della memoria. Vi albergano i componenti di quella che l’autrice chiama “la famiglia dell’arte”: Scialoja, suo docente all’Accademia di Belle Arti di Roma, è sicuramente un “padre”, Cy Twombly è più un “fratello” a cui, quando necessario, tagliare i capelli, Cintoli è l’amico di tante serate passate a ballare al Piper, Schifano le porta dall’America il disco Yesterday dei Beatles, spera così di conquistare la bella Anna, che Achille Bonito Oliva, facendo riferimento al suo vestire orientale, chiama scherzosamente “Anna conturbante con turbante”, oppure “la fica d’India”.

Guglielmo Gigliotti

Anna Paparatti, Fabio e Fabiana Sargentini nel 1972. Foto di Claudio Aabate

Anna Paparatti, Fabio e Fabiana Sargentini nel 1972. Foto di Claudio Abate

SOL LEWITT
1969 – sol lewitt – ancora sconosciuto – o quasi – per una mostra al garage di via cesare beccaria – a disegnare sui muri il suo “wall drawings”- folle – bellissima idea che era stata messa a punto a new york – forse tramite qualcuno – dato che non si conoscevano personalmente – era la prima volta che sol arrivava in italy – forse anche in europa – lo avremmo ospitato a via del babuino – in soffitta – come si potesse pensare di avere un artista ospite in una casa piccolissima e con una bambina di tre mesi – solo con la nostra mentalità aperta e in quell’epoca si può spiegare – entusiasmo ed incoscienza mescolati insieme – l’arrivo di sol a roma era stato complicato – fabio era andato a prenderlo alla stazione ma dopo un po’ era tornato da solo – poi una telefonata da parte di sol lewitt un po’ sperduto e preoccupato – fabio era uscito di nuovo e questa volta i due uomini si erano finalmente incontrati – il mistero mi era poi stato spiegato – fabio lo aveva in qualche modo individuato – era cicciottello – con gli occhiali – senza età – abbordato con un “areyou sol lewitt?”- e lui non capendo aveva detto “no-no”- ed era scappato via – (forse l’aspetto dell’ospite – vestito da indiano e con i capelli lunghi lo aveva sconcertato) – poi qui a casa – persona tranquilla e piacevole – sembrava contento di essere stato messo a dormire in soffitta – fabiana – nel suo cestino – era in camera con noi – lui – quando non era in galleria – a costruire la sua fitta ragnatela geometrica fatta di segni leggerissimi – si metteva a disegnare sul nostro tavolo tuttofare – e stava lì delle ore – soprattutto la mattina mentre noi ancora dormivamo – mi aveva portato un regalino da n.y. – una delle prime collanine indiane che cominciavano allora ad andare di moda – comprata al greenwich village – era carina – di maglia d’argento intervallata da palline di pasta di vetro rosse – ad imitazione corallo – la mettevo volentieri – ho le fotografie (di claudio abate) in cui la porto al collo – mentre tengo in braccio fabiana – piccola ranocchietta – mentre la proteggo dal sole sotto un enorme cappello di paglia – è per il festival di “performing arts”- “danza – volo – musica – dinamite” – nella giornata in cui david bradshaw fa appunto esplodere la dinamite in un laghetto vicino roma – tornando a sol lewitt – il vero regalo ce lo aveva fatto con un suo disegno su carta a penna con un intreccio delle sue linee geometriche – e dedicato ad “anna e fabio” – ma qualche anno dopo quando fabio era andato temporaneamente per la sua strada – io triste ed arrabbiata lo avevo venduto – peccato – ma quando sol lewitt era ancora con noi a via del babuino 176 io preparavo da mangiare – come sempre per tutti – ma se tardavo perché nello stesso tempo mi dovevo occupare della bambina – lui molto carinamente diceva sempre “baby comes first”- frase storica – alle pareti della piccola del no” – “il gioco che non esiste” – “il gioco del nonsense” – “il gioco del rosa” e la “pop-oca” – quadri geometrici ma non troppo – coloratissimi – qualcuno anche con piccoli interventi a rilievo – e sol mi chiedeva perché io avessi smesso di dipingere professionalmente – in quel momento in cui secondo lui stavo proprio per raggiungere un traguardo originale e personale – ma per me erano arrivate le difficoltà pratiche della vera vita e in quel momento – anche se sempre con il mio stile – mi occupavo della mia piccola famiglia artistica –

Funerali di Pino Pascali, settembre 1968. Da sinistra Anna Paparatti, Maria Pioppi, Cesare Tacchi, Fabio Sargentini, Gian Enzo Sperone, Jannis Kounellis. Foto di Mario Cresci

Funerali di Pino Pascali, settembre 1968. Da sinistra Anna Paparatti, Maria Pioppi, Cesare Tacchi, Fabio Sargentini, Gian Enzo Sperone, Jannis Kounellis. Foto di Mario Cresci

GIORGIO DE CHIRICO
per me – diciottenne al primo anno di accademia – lui non è il grande pittore metafisico – ma solo il trombone passatista nemico dell’arte contemporanea – di cui parla pubblicamente malissimo – per questo incontrandolo a piazza di spagna – con i miei amici – spavalda l’ho avvicinato sulle strisce pedonali – e gli ho chiesto – “lei è de chirico?” lui – lusingato: “sì”- ed io gli ho detto: “stronzo!” ad alta voce – lasciandolo allibito – anche i miei amici erano esterrefatti –

MARIO SCHIFANO
pittore ambizioso e paraculo – appena tornato da new york mi regala il quarantacinque giri dei beatles – “yesterday” – appena uscito – era la metà degli anni sessanta – mi manda messaggi per andarlo a trovare tramite la sua cameriera – (abitavamo vicini nella zona di campo dei fiori ma io non avevo il telefono) – un giorno mi chiede se voglio diventare la sua assistente pittrice – ed io rispondo: “mario – mi hai tolto le parole di bocca – volevo chiedere io a te se volevi diventare mio assistente” – ridiamo – dopo di me lui lo ha chiestoad un’altra anna – anna carini – che ha accettato e che ha fatto per anni la sua musa – (e la sua fidanzata) –

Anna Paparatti

Anna Paparatti – Arte-vita a Roma negli anni ’60 e ’70. La pitturessa
De Luca Editori d’Arte, Roma 2015
Pagg. 176, € 20
ISBN 9788865572245
www.delucaeditori.com

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