Western Art. Arte e potere secondo Demetrio Paparoni

“Il bello, il buono e il cattivo”, libro di Demetrio Paparoni recentemente uscito per Ponte alle Grazie, è costruito attorno a un’idea precisa: non possiamo capire l'arte, nella sua dimensione più intima e profonda, se non comprendiamo i suoi legami con il potere in generale e con il potere politico in particolare. La recensione di Tiziana Andina.

Il Novecento è stato il secolo che per eccellenza ha indagato i mille rivoli del potere, le sue forme e le sue dinamiche. In qualche modo l’arte e gli artisti dell’epoca post-storica sembrano avere preso le distanze da questa dimensione concettuale a cui, però, Paparoni ci richiama con più di qualche buona ragione.
La centralità del rapporto tra arte e potere era già stata colta benissimo da Platone che, non a caso, ne La Repubblica, un libro essenzialmente politico, bandiva, con editto durissimo, l’arte e gli artisti dal suo progetto utopico di stato ideale. La ragione? Platone, da politico accorto, non la esplicita del tutto, ma è senz’altro fondato ritenere che tanta durezza fosse dovuta a una qualità che egli riconosceva all’arte: la capacità di incidere sulla vita delle persone e dunque, conseguentemente, l’enorme peso che essa può avere sotto il profilo politico. Diversamente dalla filosofia, l’arte ha molto a che fare con le emozioni; dunque con una delle sfere più sensibili della vita. Riuscire a entrare in modo significativo in quella sfera vuole dire avere la possibilità di incidere, indirettamente, anche sulla dimensione politica.
Oltre a essere un critico d’arte attento, Paparoni è un intellettuale che ha sempre avvertito con molta sensibilità la direzione delle tendenze culturali (significativa in questa direzione è anche la recente curatela per la Rivista di Estetica, “Paladino e la filosofia”, Rosenberg & Sellier 2014). In questo senso, Il bello, il buono e il cattivo è un viaggio molto ben narrato e ben documentato che ripercorre le ragioni etiche, e dunque politiche, che hanno portato le avanguardie novecentesche a rinnovare i propri linguaggi in modi tanto radicali: “Considerare malata l’arte delle avanguardie equivaleva a ritenerla ‘degenerata’. E poiché la guerra alle avanguardie aveva come principale obiettivo demonizzare Picasso nel 1942, Vladimir Vlaminck ingaggiò una a polemica contro di lui […] accusando di aver condotto il Cubismo francese in una situazione di stallo“.

Demetrio Paparoni e Zhang Huan - Shanghai, 2011

Demetrio Paparoni e Zhang Huan – Shanghai, 2011

L’obiettivo di Paparoni è allora mostrare, mettendo in sequenza una serie di fatti la più parte oramai oggetto di riflessione storica, che se le avanguardie hanno avuto un senso, certamente questo senso non può essere inteso prescindendo dai fascismi e dai nazionalismi che hanno violentato e mortificato l’Europa a partire a partire dagli Anni Trenta del Novecento. Per comprendere l’arte del Novecento continuando a scrivere la storia del nostro secolo, è allora necessario rileggere la storia di quel secolo ripercorrendo le vicende e le scelte intellettuali degli artisti da un lato, e riflettendo sui modi in cui il potere si è relazionato con l’arte, cosa che, per esempio, è avvenuta diversamente in Italia e in Germania.
L’elemento piuttosto inquietante che Paparoni non manca di evidenziare raccontando una quantità di fatti e aneddoti è la particolare situazione italiana. Sin dagli Anni Trenta la politica culturale italiana si è contraddistinta per una drammatica e straordinaria sottovalutazione dell’importanza politica dell’arte. Evidentemente né Mussolini né i suoi gerarchi si erano mai letti Platone, sottovalutando un dato essenziale: l’arte non è solo parte attiva della produzione di ricchezza di uno Stato, ma soprattutto la politica culturale è un elemento determinante per la strategia della formazione e del mantenimento del potere politico di uno stato. Se non si intende questo – e gli italiani non l’hanno mai veramente inteso, a differenza dei tedeschi e degli americani – non si capisce davvero nulla. In fondo, come suggerisce Paparoni interpretando con molta efficacia The Triumph of the New York School (1984) di Mark Tansey, la leadership americana del dopoguerra fu resa possibile anche dalla costruzione di una leadership autorevole nel campo delle arti. L’Espressionismo Astratto fu per molti versi l’espressione di questa presa di consapevolezza.
Per parafrasare ancora Hegel, in fondo questo libro altro non è che una ricchissima e illuminante fenomenologia del potere moderno svolta attraverso la storia dell’arte: la sua lettura aiuta davvero a comprendere meglio tanto le forme del potere moderno, quanto l’identità profonda dell’arte.

Tiziana Andina

Demetrio Paparoni – Il bello, il buono e il cattivo
Ponte alle Grazie, Milano 2014
Pagg. 320, € 15.80
ISBN 9788862209663
http://www.ponteallegrazie.it/

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #17

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Tiziana Andina

Tiziana Andina

Tiziana Andina è ricercatrice di filosofia teoretica nella Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni, oltre a numerosi articoli su riviste nazionali e internazionali, ricordiamo: Il volto americano di Nietzsche (La Città del Sole, 1999), Il problema della percezione nella…

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