Da Creamy al girl power. L’immaginario anni ’80 in mostra a Modena

Le bambine magiche degli Anni Ottanta: adorate dalle ragazzine, sogno erotico di altrettanti ragazzini e ancora oggi ricordate da entrambe le categorie – ormai adulte – con nostalgia. Il Museo della Figurina di Modena arricchisce la mostra “80-90” di una sezione dedicata alle eroine degli anime giapponesi, e non solo.

Parimpampùm”: l’indimenticabile formula magica pronunciata da Yu per trasformarsi nella star musicale Creamy non poteva che diventare il titolo della piccola, ma intrigante, sezione allestita presso il Museo della Figurina e dedicata, oltre che alla già citata maghetta, ad altri cartoni animati quali Magica magica Emi, Sandy dai mille colori, Bia, la sfida della magia, fino ad arrivare a Sailor Moon.
“Giocando in casa” di Panini, il focus è naturalmente sui proverbiali album di figurine (stampati non solo dall’editore modenese, ma anche da altri competitor, come Merlin): divertimento e prima forma di collezione per bambine e ragazze, cui si abbinava un repertorio – non sempre disponibile in tutti i Paesi dove veniva distribuita la serie: in Italia spesso ci si doveva accontentare delle sole figurine – di merchandising che riproduceva l’armamentario di bacchette magiche, talismani ecc. Alcuni tra quelli esposti nelle vetrine sono molto rari e provengono dal Sol Levante, come l’album giapponese per Lalabel, mai prodotto in Italia.

Bia la sfida della magia, 1981, Panini, Modena; copertina dell'album per la raccolta di 240 figurine

Bia la sfida della magia, 1981, Panini, Modena; copertina dell’album per la raccolta di 240 figurine

ANIME E SOCIETÀ

Il contesto della mostra, scontato a dirsi, è quello degli Anni Ottanta: le curatrici – Francesca Fontana e Thelma Gramolelli – ben lo analizzano, ricostruendo non solo il fenomeno di costume che ha portato a uno straordinario successo, da Oriente a Occidente, le “maghette” (bambine normali che ricevono i poteri per un periodo limitato) e le “streghette” (provengono da regni magici e hanno poteri innati), ma inquadrandone la nascita all’interno di una società giapponese ancora particolarmente rigida, nella quale le donne stavano sperimentando le prime forme di emancipazione.
Icone di femminilità con superpoteri, le protagoniste degli anime affrontano un viaggio iniziatico con coraggio, determinazione e sensibilità, si svincolano dal dominio e dalla protezione maschile, infine – caratteristica archetipica in altre strutture narrative occidentali – grazie al superamento delle sfide e al sostegno delle loro mascotte, compiono una naturale metamorfosi da bambine a giovani donne, di solito abbandonando la strada della magia. In una parola, crescono.

Sailor Moon, 1996, Merlin, Milano; dall'album per la raccolta di 216 figurine

Sailor Moon, 1996, Merlin, Milano; dall’album per la raccolta di 216 figurine

GLI ANNI NOVANTA

Procedendo verso gli Anni Novanta, dall’innocente civetteria delle prime streghette i modelli sfociano in autentica sensualità femminile con la comparsa di Sailor Moon (1992), eroina guerriera che si trova a dover proteggere l’umanità dalle forze oscure: la magia allora si sposa con il girl power, affermando senza ombra di dubbio che si può essere ragazze e combattere in un mondo dove i personaggi maschili sono tutt’altro che carismatici.
In questo panorama, dall’enorme potenziale commerciale, gli Stati Uniti non rimangono a guardare: le case di produzione operano però secondo un procedimento inverso e realizzano i cartoni animati prendendo spunto da linee di bambole già esistenti per favorirne la diffusione. È il caso di Jem e di Lady Lovely Locks.

Magica magica Emi, 1986, Panini, Modena; dall'album per la raccolta di 240 figurine

Magica magica Emi, 1986, Panini, Modena; dall’album per la raccolta di 240 figurine

UN SALTO NEL PASSATO

Chi vuol risalire lo scorrere della storia, inoltre, non rimarrà a bocca asciutta, visto che in una vetrina si espongono dei giornalini femminili della prima metà del Novecento. Niente a che fare con gli anime? Apparentemente no, ma a osservarli bene, nel loro arcaismo, nelle loro raccomandazioni che oggi farebbero inorridire o quantomeno sorridere, si scopre che le direttrici di quelle riviste erano quasi tutte donne, senza dubbio emancipate e, tra un consiglio per la cucina e un altro per il ricamo, raccomandavano alle giovani lettrici di non trascurare mai l’istruzione… piccole magie di tempi passati.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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