Il cinema secondo Alberto Grifi. Il libro di Stefania Rossi

Intervista all’autrice del volume che ripercorre la biografia e la carriera del regista scomparso nel 2007. Partendo da un dialogo in presa diretta.

Il volume L’evoluzione biologica di una lacrima, Il cinema di Alberto Grifi è un’opera preziosa in quanto restituisce vita al più significativo cineasta sperimentale italiano, integrandola a una serie di testimonianze e interviste, che tessono un racconto corale e vivido della sua personalità. Concepita come biografia, la narrazione si svolge in una forma quasi frammentaria, che sembra fare eco al percorso d’esistenza di Alberto Grifi (Roma, 1938-2007), delineato su traiettoria poco rettilinea, piuttosto attenta a esplorare ogni possibile interstizio vitale. Il suo carattere, come il suo cinema, sono riluttanti a ogni conformismo e sterilità, ai codici predefiniti e al sistema industriale-capitalistico. Vicino a personalità quali Carmelo Bene, Amelia Rosselli, il Gruppo ’63, Baruchello, Duchamp, Man Ray, il Living Theatre, Aldo Braibanti e molti altri. Stefania Rossi lo ricorda militante e visionario, tecnico e artigiano, artista e pioniere. Alberto Grifi vuole creare una “nuova grammatica della visione”. Grifi è co- autore, insieme a Gianfranco Baruchello, di Verifica incerta (1964), pièce di cinema sperimentale tout court. L’aspetto tecnico in Orgonauti, evviva! (1968-70) si spinge fino al desiderio per Grifi di costruire una macchina che colga i ritmi biologici, legato all’idea di un inconscio della visione, e in una sorta di proto- transumanesimo. Anna (1972-75), invece, è “la cavia di un esperimento registico”, prima volta nella storia del cinema italiano che si gira con il videotape. Anna è una prova di cinéma vérité, oltre che di cinema sperimentale.

LE PAROLE DELL’AUTRICE

Stefania Rossi ricostruisce la biografia di Grifi e, attraverso una lunga intervista tecnico-intimistica, ci restituisce quello che in parte poteva incontrare lo sguardo visionario del film-maker. L’adolescenza e la gioventù di Grifi entrano a far parte del racconto a partire dalla testimonianza della sorella e della ricostruzione della pittoresca cucina-laboratorio della sua infanzia. Seguono numerose conversazioni: con Adriano Aprà, Franco Berardi, Gianmarco Torri, con Giordana Mayer e molti altri.
Dalle parole dell’autrice del volume: “Con Grifi torna l’idea avanguardista della totalità. […] c’è il gesto dissacratorio e nullificante dada, c’è l’idea di rivoluzione permanente dei russi futuristi, c’è l’esperienza dell’automatismo, e del non sense surrealista. Come non associare infatti la Storia dell’occhio e il concetto di eterogeneità di Bataille a Transfert per Kamera verso Virulentia! C’è la “presa diretta” del neorealismo, del cinema documentario e verità, ma c’è anche il poverismo di Zavattini, c’è la cultura beat e pop, c’è l’antipsichiatria e i filosofi francesi della decostruzione, ci sono Foucault, Deleuze, Guattari, Derrida, c’è la body art, la cultura femminista e la liberazione del corpo, ci sono Steiner, Ferenczi e soprattutto Reich nello sguardo persistente e penetrante degli obiettivi sul corpo di Anna, e ancor più in Orgonauti, evviva! e c’è Guy Debord e un costante riferimento alla prassi e alla teoria dell’evento situazionista”.

Stefania Rossi ‒ L' evoluzione biologica di una lacrima. Il cinema di Alberto Grifi (Timía Edizioni, Roma 2017)

Stefania Rossi ‒ L’ evoluzione biologica di una lacrima. Il cinema di Alberto Grifi (Timía Edizioni, Roma 2017)

L’INTERVISTA

Come nasce questa biografia? E come ti sei avvicinata al lavoro di Alberto Grifi?
Quando ho conosciuto Alberto Grifi ero studentessa all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e frequentavo un workshop sull’arte relazionale con Cesare Pietroiusti, alla Fondazione Baruchello di Roma; era il 2004. Lì Grifi all’epoca abitava. Lo vedevo spesso orbitare in quegli spazi e presto rimasi molto incuriosita dalla figura misteriosa di Alberto. Poco tempo dopo, la Fondazione organizzò una proiezione di Anna e in quell’occasione gli parlai per la prima volta, gli chiesi un’intervista. Quando Alberto accettò di rilasciare l’intervista mi preparai con il materiale che avevo a disposizione. Concentrai le domande su temi che all’epoca sentivo urgenti da chiarire in virtù del percorso artistico che stavo seguendo; ad esempio come il discorso sull’arte relazionale, e più in esteso sull’arte, potesse entrare in dialogo con un’opera filmica tanto contraddittoria quanto unica come Anna.
Rimasi incantata dalle parole di Grifi e provai una forte ammirazione per l’autore, inventore di macchine per il cinema, regista di film che parlava di fotografia, sensori, internet; definire chi fosse con una sola una parola è risultato sul principio estremamente difficile, sfuggiva a ogni categoria. Ed era fatto di una pasta d’uomo ormai quasi del tutto perduta, che potevo ritrovare in mio nonno ad esempio.

Poi cosa successe?
Ci incontrammo più volte. Subito dopo l’intervista, mi fece andare a Barbarano Romano alla scuola di cinema dove insegnava all’epoca, per lasciarmi una copia VHS per studiare il film. Trascorsi tutto il giorno a visitare il posto (meraviglioso) in attesa di vederlo tornare insieme agli studenti dalle campagne dove giravano dei video. Mangiammo tutti insieme e, solo dopo, mi diede la VHS. Tornai la sera a Roma. Entrare in contatto con Alberto Grifi significava condividere: il tempo, le idee, il pensiero, i progetti, la vita. La biografia è nata dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 2007, perché pensavo fosse importante ricordarlo e perché mi mancava.

Alberto Grifi, Vigilando reprimere (1972). Still da film

Alberto Grifi, Vigilando reprimere (1972). Still da film

Ci racconti la scelta della forma e delle modalità di narrazione del volume biografico?
Quello che restava di Alberto Grifi dopo la scomparsa era l’associazione che custodisce i film e il materiale audiovisivo e un frammentato e disorganizzato archivio cartaceo.
Alberto, dopo l’intervista del 2004, aveva aperto il suo archivio fotocopiando documenti che potessero essere utili per i miei studi su di lui. Iniziai più con lo sguardo del documentarista, di chi, per raccontare, si interessa più alle immagini. La biografia e la filmografia sono inseparabili e così convivono anche all’interno del testo cercando collegamenti tra loro, verificandosi a volte, e in altri casi mettendosi a confronto. Il testo è un insieme di frammenti giustapposti che rivelano la complessità della vita dell’autore e del suo tempo. Alcune vicende aneddotiche: le interviste si alternavano a telefonate. Ricordo che Michele Schiavino mi fece recapitare un pacco con cataloghi e materiali vari. Devo ringraziare Tatti Sanguineti per avermi condotta a far luce su quella fetta di vita che vede Grifi occuparsi di cinema industriale. Pinotto Fava e Pino Saulo hanno fatto chiarezza sull’esperienza radiofonica del regista. Grifi non si è occupato solo di cinema sperimentale, ma una delle sue caratteristiche era la sperimentazione, di linguaggi, di forme, di formati.

Qual è stata la scoperta più sconvolgente in rapporto al cinema di Grifi?
Di sicuro la quantità e qualità dei documenti cartacei stipati in scatole di cartone provenienti probabilmente dall’ultimo trasloco del regista trovati nella sua casa di campagna.
Scatole su scatole a riempire un grande spazio, colme di scritti, lettere, fotografie, obiettivi fotografici, macchine da presa e tutti quegli oggetti che evocano ricordi lontani e che si accumulano in una vita. Sapevo dell’esistenza di alcuni studi e ricerche, ma entrarvi e avere la possibilità di toccarle con mano fu fondamentale. Soprattutto le lettere, sconvolgenti gli studi sul funzionamento dell’occhio umano per la realizzazione di futuristiche macchine da presa.
Tutti questi documenti meriterebbero di essere organizzati, archiviati e resi disponibili per poter essere visionati da chiunque voglia approfondire la figura di Grifi e comprenderne l’importanza.

Qual è la tua posizione di donna nei confronti del film Anna? Nessuna critica femminista?
Donna come soggetto del film e come Soggetto della Storia. Ancora una volta Grifi punta l’obbiettivo verso temi caldi del suo tempo e vi penetra a fondo, scavando, oltre che nelle ideologie dell’epoca, anche nella loro intimità, mettendole a nudo. Anna è un film unico nel suo genere, che mostra il maschilismo becero dell’epoca con le sue contraddizioni dall’interno di un processo che svincola dal film stesso, mostra, oltre la nudità del corpo di Anna, anche la nudità dell’anima del set cinematografico, e per di più di un set alternativo, disobbediente. E si ferma a riflettere, a un certo punto, su se stesso. Credo che nessuno avesse piena coscienza di quel che stava accadendo all’epoca delle riprese, l’analisi viene a posteriori. Ed è stata dura, crudele, spietata. La rara bellezza del film risiede anche in questa forza di autoanalisi.

Dalle tue interviste cosa ti ha colpito della sua persona?
L’inafferrabilità. La fuggevolezza, il suo essere aeriforme, etereo ed esplosivo al tempo stesso. Grifi appare più come un complesso, grande puzzle. Più entravo in questa ricerca, più i miei incontri aumentavano e più la sua figura si frammentava; ogni incontro, telefonata, pacco di documenti ricevuto aggiungeva pezzi alla composizione ma al tempo stesso la ridimensionava ingrandendola, con il risultato e la sensazione di non riuscire mai a contenerla nel suo insieme. Forse il progetto segreto di Alberto Grifi è far sì che le persone entrate in contatto con lui si conoscano e si uniscano per riuscire a ricomporre il quadro.

Con il cinema sperimentale, similmente a quanto accade nella performance, siamo di fronte a fenomeni prossimi a questioni etiche piuttosto che estetiche. Che ruolo ha, secondo te, l’estetica nel cinema di Grifi?
Grifi sperimenta anche nei generi cinematografici, non è solamente un documentarista come si potrebbe pensare dopo aver visto Anna o Lia. Non è solamente un cineasta sperimentale, come si potrebbe presupporre dopo la visione di Verifica incerta. La sua produzione spazia tra i più svariati generi cinematografici, compresa la fantascienza. Non è tanto sulla forma che porrei l’accento quanto sul mostrare; Grifi coglie con lucido intuito la strada da percorrere per indicare allo spettatore il racconto di un’epoca, conducendolo a evocarne la sua essenza. Penso a Vigilando reprimere, Orgonauti, evviva!.

‒ Sonia D’Alto

Stefania Rossi ‒ L’ evoluzione biologica di una lacrima. Il cinema di Alberto Grifi
Timía Edizioni, Roma 2017
Pagg. 224, € 12
ISBN 9788899855147
www.timiaedizioni.it

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Sonia D'Alto

Sonia D'Alto

Sonia D'Alto è ricercatrice, scrittrice e curatrice. Attualmente è dottoranda in documenta studies, Kassel. È parte del comitato scientifico della Fondazione Adolfo Pini di Milano, dove, all’interno di “Casa dei Saperi” ha curato il programma biennale Nuove Utopie. Ha organizzato…

Scopri di più