Le origini del made in Italy in un libro. Tra regime e spinte creative

Sofia Gnoli mette nero su bianco un’approfondita indagine sul contesto storico sociale in cui è maturata non solo l’idea di uno stile italiano, ma di un’industria della moda. A partire dagli Anni Venti e fino all’indomani del conflitto mondiale.

Storica della moda alla Sapienza di Roma e giornalista, in Eleganza Fascista Sofia Gnoli risale a ritroso il Ventennio – da qui il titolo velatamente provocatorio – attraverso rari documenti d’archivio e inedite illustrazioni d’epoca. Le pagine svelano personalità, soprattutto di donne, che hanno contribuito alla creazione e alla successiva affermazione dello stile italiano nel dopoguerra e al cambiamento dell’ideale estetico femminile. Come l’efebico stile garçonne o della “donna crisi”, al grido di “snellezza non magrezza”, è stato (doveva essere) progressivamente sostituito dall’ideale di “donna sirena”: sposa e madre esemplare da un lato, sportiva e volitiva dall’altro.

VERSO UNA MODA ITALIANA

Il primo capitolo si apre sui primi anni del Novecento. Nel clima delle Esposizioni Universali del 1906 e del 1911, si diffondono nuove istanze culturali, cavalcate da fini economici, allo scopo di far entrare l’Italia “nell’orbita dei centri irradiatori della Moda e del Vestire”, come discusso nel Primo congresso nazionale dell’industria del commercio dell’abbigliamento (1919). Il percorso di indagine trova il suo ipotetico fil rouge nella centralità delle donne nell’affermazione dello stile italiano; tra queste, Rosa Genoni, sarta lombarda iscritta al Partito Socialista, secondo la quale “le dame, gli artisti, le sarte italiane devono collaborare nel proficuo sforzo per vincere la consuetudine di copiare servilmente il modello di Parigi”; e ancora Lydia De Liguoro, fondatrice della rivista Lidel, che incarnò la campagna contro il lusso di importazione straniera e l’esterofilia.
Gnoli mette dunque in luce il rapporto, antitetico eppure in qualche modo sinergico, tra creatività e ideali di regime. Protagonisti del periodo sono anche gli artisti futuristi: Thayaht firma la “tuta”, economia di tessuto e comodità in un solo capo; Marinetti elabora, tra i tanti, il manifesto Contro il lusso femminile; e D’Annunzio eleva a muse le sue sarte preferite; tra tutte, Elvira Leonardi Bouyeure, in arte “Biki”. Non bisogna dimenticare che questo è anche il periodo in cui si affermano i grandi magazzini a prezzo fisso, nati alla fine del XIX secolo, come la UPIM – Unico Prezzo Italiano Milano (1928) e Alle città d’Italia, poi ribattezzato La Rinascente dal Vate.

Sofia Gnoli, Eleganza fascista (Carocci 2017)

Sofia Gnoli, Eleganza fascista (Carocci 2017)

MODA DI STATO

L’indagine prosegue con l’approfondimento degli anni immediatamente successivi, segnati da un’azione politica più incisiva del regime, con la fondazione dell’Istituto artistico nazionale per la moda italiana (1928) e l’Ente nazionale della moda (1935) con sede a Torino, forse per la vicinanza a Parigi. Opera poi completata, in piena conformità alla campagna di italianizzazione fascista, con la pubblicazione del Commentario dizionario italiano della moda, allo scopo di epurare ogni termine straniero, con esiti quantomeno singolari, come “millezampe” al posto di pied-de-poule.
Gli abiti di nozze della principessa Maria José del Belgio (confezionato dalla sartoria Ventura) e di Edda Mussolini (sartoria Montorsi) diventano, allora, testimonial ideali della “superiorità” dello stile italiano. Sullo sfondo incombe la guerra d’Etiopia e le sanzioni economiche deliberate dalla Società delle Nazioni, che costringono il regime a una decisa reazione sul piano industriale, con conseguenze in fondo virtuose per il settore. Per contrastare la penuria di materie prime vengono infatti decretati il potenziamento dell’industria delle fibre artificiali (Cisa-Viscosa, 1917) e la produzione dei cosiddetti tessuti “autarchici”: il rayon (seta artificiale) come surrogato della lana, il maleodorante lanital derivato dalla caseina ed esaltato da Marinetti nel Poema del vestito di latte e la lana di coniglio d’angora prodotta da Luisa Spagnoli.
Proseguendo nella lettura, si apprende che lo stile del decennio era assolutamente classicheggiante, ricco di tulle ricamati, pizzi e trine e che trionfava la pelliccia per tutte le stagioni, realizzata dagli animali più improbabili, purché italiani, ricorrendo addirittura al gatto e al topo. Sono anche gli anni delle prime sfilate a Torino, Sanremo, Cernobbio e Viareggio e fanno la loro comparsa i sandali con zeppa in sughero di Ferragamo e i turbanti ispirati a Greta Garbo.

Bellezza, 1947, Brunetta Ferrario

Bellezza, 1947, Brunetta Ferrario

LA MODA IN GUERRA

La guerra c’è ma non si vede”, inciso icastico del periodo trattato nell’ultimo capitolo, che esamina il passaggio da un atteggiamento negazionista e di propaganda del regime fascista, sintetizzato dalla nascita della rivista Bellezza, in ipotetica competizione con Vogue, al rigore del sistema del tesseramento, anche per i capi di vestiario. Non sono però, solo gli anni del razionamento, che costringe a reinventare e a riciclare gli abiti, ma anche della campagna ecclesiastica contro le mode ritenute indecenti: il nemico prescelto è il pantalone da donna, celebrato da Marlene Dietrich.
La gravità del clima descritto è immediatamente superata nelle pagine finali del libro dove, con elegante rapidità, l’autrice riflette sull’innegabile potenziale dei periodi di crisi in relazione allo sviluppo della creatività e, così, accenna a grandi nomi della moda italiana, Gucci, Ferragamo, Prada e Fendi, che proprio in quel periodo iniziavano ad affermarsi. Da lì in poi, l’ascesa del made in Italy, resa da Gnoli con una gouache ironica, alludendo allo “sbarco” delle americane a Capri. Ma questo è tutto un altro capitolo.
L’indagine storica di Sofia Gnoli, puntuale quanto agile nell’esposizione, grazie anche alle numerose illustrazioni realizza, dunque, un affresco interdisciplinare della società e del costume del ventennio, consentendo diversi piani di lettura, dall’approfondimento di carattere scientifico a quello più leggero e mondano, solleticato dalle curiosità e dagli accessori in voga tra le signore del tempo.

Fabio Massimo Pellicano

Sofia Gnoli, Eleganza fascista. La moda dagli anni Venti alla fine della guerra
Carocci Editore, Roma 2017
Pagg. 211, € 25
ISBN 9788843086221
www.carocci.it

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Fabio Massimo Pellicano

Fabio Massimo Pellicano

Fabio Massimo Pellicano (Roma, 1984). Pittore da sempre, o quasi. Avvocato da circa metà decade, ovvero la metà del tempo da cui scrivo come pubblicista. Arte, antiquariato, diritto: se inverti l’ordine delle parole il risultato non muta. Ho collaborato con…

Scopri di più