Monumento in onore del Beato Giovanni Paolo II

Informazioni Evento

Luogo
SANTUARIO DEL DIVINO AMORE
Via Del Santuario 10 00134, Roma, Italia
Date
Il
Vernissage
22/10/2011

ore 17

Artisti
Luca Vernizzi
Uffici stampa
ROSI FONTANA
Generi
inaugurazione
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Inaugurazione del monumento in onore del Beato Giovanni Paolo II collocato davanti al Nuovo Santuario del Divino Amore in Roma.

Comunicato stampa

GIOVANNI PAOLO II

“Roccia della Chiesa”

al Santuario del Divino Amore in Roma

Opera del pittore Luca Vernizzi, realizzato da Marco Santi del gruppo mosaicisti di Ravenna,

dono di Teresita Olivares Paglione

22 ottobre 2011, ore 17,00

Solenne celebrazione Eucaristica

inaugurazione e Benedizione del mosaico di Papa Wojtyla a ricordo della prima visita del grande Papa al Santuario (1 maggio 1979) e della sua beatificazione (1 maggio 2011)

Presiede il Cardinale Angelo Comastri

Arciprete della Patriarcale Basilica di San Pietro in Vaticano

Saranno presenti e renderanno omaggio al Beato i Vescovi Ordinari Militari di tutto il mondo

Seguirà nell’Auditorium il Concerto della Banda del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana

Comunicato Stampa, Roma 17 ottobre 2010

“ROCCIA DI VIRTÙ, ROCCIA DELLA CHIESA”Benedetto XVI

Sabato 22 ottobre 2011 alle ore 17,00 si inaugura, presso il Santuario del Divino Amore in Roma, il monumento “Roccia della Chiesa” dedicato al Beato Giovanni Paolo II. La solenne celebrazione Eucaristica sarà presieduta dal Cardinale Angelo Comastri, Arciprete della Patriarcale Basilica di San Pietro in Vaticano. Renderanno omaggio al Beato Giovanni Paolo II i Vescovi Ordinari Militari di tutto il mondo. Dopo la cerimonia si svolgerà presso l’Auditorium del Santuario un concerto della Banda del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana aperto al pubblico.

Il Santo Padre Benedetto XVI durante la solenne Cerimonia di Beatificazione di Giovanni Paolo II definisce il suo predecessore “Roccia di Virtù, Roccia della Chiesa”.

Proprio da questa definizione parte lo sviluppo del monumento di Luca Vernizzi al Beato. “Roccia della Chiesa” è, infatti, il titolo dell’opera. Uno straordinario, quanto raffinatissimo e delicato ritratto di Giovanni Paolo II che porge un fiore alla Madonna del Divino Amore protettrice di Roma: Icona cui i romani, il 4 giugno del 1944, quando le truppe alleate stavano per lanciare l’attacco decisivo sulla capitale occupata dai tedeschi, invocarono la salvezza della città eterna.

Roccia, pietra, Kēfā in aramaico, è il nome con cui Gesù investe Simon Pietro, l’umile pescatore di Galilea, «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; tu sarai chiamato Cefa" (Gv 1,42). Investito così, da Gesù Cristo stesso, della dignità di primo papa, San Pietro, sulla cui tomba si erige la Patriarcale Basilica in Vaticano, è la roccia sulla quale si edifica la Chiesa.

“Ecco una nuova roccia”, il pensiero e l’emozione vissuti dall’artista Luca Vernizzi, nel sentire Benedetto XVI proclamare Beato Giovanni Paolo II indicandolo quale roccia, danno vita fin da subito all’immagine dell’opera che sarebbe nata: racchiusa in una roccia. Una solida, significante roccia. Un grezzo e simbolico blocco di pietra teso a svelare il ritratto del Beato, realizzato a mosaico dal maestro Marco Santi del gruppo Mosaicisti di Ravenna. E ancora una volta, nella tecnica scelta per la realizzazione dell’opera a tessere musive, si rinnova l’omaggio all’antica tradizione artistica petrina.

“Totus tuus”, “Sono tutto tuo”, è così che Giovanni Paolo II consacra la sua vita a Maria. Nel Santuario Mariano del Divino Amore, dove egli si è recato per ben tre volte durante il suo pontificato, dal 22 di ottobre - proprio nello spazio dove egli atterrò con l’elicottero papale - il monumento “Roccia della Chiesa” accoglierà i devoti del Santuario caro a tutti i romani, e i pellegrini provenienti da ogni parte del mondo.

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APPROFONDIMENTI

LUCA VERNIZZI E IL RITRATTO DEL PAPA

di Elena Pontiggia

Gli ultimi decenni del Novecento non sono stati un’epoca d’oro del ritratto. Molti artisti l’hanno trascurato, relegandolo fra le cose del passato, quando non esisteva ancora la fotografia. Del resto la parola deriva dal latino “retrahere” che significa “trarre fuori”, dunque “copiare”: un concetto sommamente ostico a un secolo amante della soggettività espressiva come il Novecento.

In realtà “trarre fuori” è tutt'altro che un copiare, anzi rimanda all’idea di scoprire, rivelare. E già un maestro come Birolli aveva dichiarato che in un ritratto la ricerca della somiglianza non è in contrasto con la ricerca dello stile. Un artista, diceva, non deve rivendicare la libertà della pittura a scapito dell’individualità del modello: “Se si vanta la bontà di una pittura a prezzo della perdita del carattere specifico del modello, anche la pittura è cattiva[…] Se la pittura non è buona, la rassomiglianza sarà generica o convenzionale”.

Tra i non molti artisti contemporanei che si sono dedicati con passione al ritratto, Luca Vernizzi è uno dei più significativi. Lo si vede percorrendo idealmente la galleria dei tanti personaggi, ora famosi ora sconosciuti, che ha dipinto, e che emergono da uno spazio rarefatto, colti nella loro verità psicologica, in una totale naturalezza.

E lo si vede anche nel ritratto di Giovanni Paolo II, destinato al Santuario del Divino Amore di Roma. Qui Vernizzi si è ispirato alla prima visita di Karol Wojtyla alla chiesa, avvenuta il I maggio - lo stesso giorno della sua futura beatificazione - del 1979. Il Papa, come testimoniano le fotografie, era sceso dall’elicottero salutando i presenti con le braccia aperte e tenendo in mano un mazzetto di fiori. Il contrasto fra la delicatezza di quei fiori e l’energica figura del pontefice (parafrasando la definizione che è stata data di Marinetti, “professore di energia”, si potrebbe dire che Giovanni Paolo II è stato un professore di energia morale e spirituale) ha suggerito a Vernizzi un’immagine insieme vera e reinventata, dove il Papa è isolato sullo sfondo del cielo e tiene in mano un piccolo fiore. Si tratta di un attributo insolito per un pontefice: nella millenaria storia della Chiesa i successori di Pietro sono stati rappresentati con i segni della loro dignità sacerdotale, o in veste di pastori del gregge, o come committenti di qualche edificio sacro, o in qualcuna delle loro gesta notevoli. Mai con elementi floreali.

L’invenzione di Vernizzi, infatti, è simbolica. Il piccolo fiore, stretto in una mano singolarmente grande e potente (come deve averla chi ha il compito di reggere la Chiesa) allude a quel connubio di forza e delicatezza, rigore e indulgenza, maestosità e tenerezza che abbiamo conosciuto in Karol Wojtyla.

La dignità papale, inoltre, è evocata dalla pietra in cui è incastonato il ritratto, che rimanda alle parole di Cristo: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.

Anche il cielo sullo sfondo, dove brilla un ricamo di stelle, non è un dato naturalistico. E’ piuttosto un richiamo al Cielo come regno di Dio: a quell’”essere nel mondo, ma non del mondo”, a quel “pensare alle cose del Cielo” a cui sono chiamati tutti i cristiani. E che ha contraddistinto tutta la vita del Beato.

GIOVANNI PAOLO II AL SANTUARIO DEL DIVINO AMORE

Don Pasquale Silla

Chi non ricorda il motto “Totus tuus” di Giovanni Paolo II? “Sono tutto tuo”, diceva con la vita e con le parole alla Madonna. Una volta si diceva “de Maria nunquam satis”, cioè di Maria non si parla mai troppo. Lo stesso si potrebbe dire di Giovanni Paolo II. Non ci sono, penso, parole sufficienti per dire di lui, tutto. Sarà sempre poco e inadeguato poterlo descrivere. Benedetto XVI lo ha definito “Roccia della Chiesa” e in una roccia di travertino il grande mosaico di Luca Vernizzi, che lo raffigura, campeggerà davanti al Santuario, collocato esattamente dove c’era un prato e dove si posò l'elicottero. Darà il benvenuto a chi entra e saluterà chi ritorna a casa, indicando con la sua mano grande e forte il coraggio e con i fiori di campo la tenerezza della autentica devozione mariana. I ricordi delle sue tre visite son tanti, voglio ricordare alcuni particolari.

“Bisogna visitarlo”, fu la prima espressione del nuovo Papa sul Divino Amore. Alla presa di possesso, come Vescovo di Roma, della sua Cattedrale di San Giovanni in Laterano gli furono presentati tutti i parroci di Roma, quando mi inginocchiai davanti al Papa, il Cardinale Vicario Poletti disse: è il Parroco del Divino Amore! Sentito nominare il Santuario, subito rispose: “Bisogna visitarlo”.

Le tre visite di Giovanni Paolo II al Santuario del Divino Amore. 1° maggio 1979: visita Pastorale. Per la prima volta Giovanni Paolo II, da Papa, amministra le Cresime. Tutti ricordano il prodigio della “pioggia” che cessò all'arrivo del Papa e riprese alla sua partenza! “Sono lieto di trovarmi in mezzo a voi, cari Fratelli e Sorelle, in unione di fede e di preghiera sotto la sguardo della Vergine Santissima del Divino Amore, la quale da questo suggestivo Santuario, che è il cuore della devozione mariana della diocesi di Roma e dintorni, vigila maternamente su tutti i fedeli, che si affidano alla sua protezione e alla sua custodia nel loro pellegrinaggio quaggiù in terra”. Il 7 giugno 1987: il Santo Padre presiede la celebrazione dei Vespri per l'apertura dell'Anno Mariano straordinario in preparazione al Grande Giubileo dell'anno 2000. “Nel vespero della solennità di Pentecoste, primo giorno dell'Anno Mariano, ho desiderato venire in pellegrinaggio a questo Santuario del Divino Amore, il quale - anche se di data relativamente recente rispetto all’incomparabile Basilica di Santa Maria Maggiore, dove mi sono recato ieri - è caro alla diocesi di Roma. Come tutti i santuari, anche questo luogo testimonia la presenza di Maria santissima nella vita della Chiesa in cammino e il suo amore materno per i figli che, fiduciosi, a Lei ricorrono”. La Domenica 4 luglio 1999:il Santo Padre Giovanni Paolo II dedica solennemente il Nuovo Santuario della Madonna del Divino Amore e scioglie il “Voto” fatto dai Romani alla Madonna del Divino Amore. “Con la dedicazione di questo nuovo Santuario viene oggi sciolto parzialmente un voto che i romani, invitati dal Papa Pio XII, fecero alla Madonna del Divino Amore nel 1944, quando le truppe alleate stavano per lanciare l’attacco decisivo su Roma occupata dai tedeschi. Davanti all’immagine della Madonna del Divino Amore, il 4 giugno di quell’anno, i romani invocarono la salvezza di Roma, promettendo a Maria di correggere la propria condotta morale, di costruire il nuovo Santuario del Divino Amore e di realizzare un’opera di carità a Castel di Leva”.

Ma il voto dei romani comprendeva una promessa a Maria Santissima che non termina e che è assai più difficile da realizzare: la correzione della condotta morale, il costante impegno, cioè, di rinnovare la vita e renderla sempre più conforme a quella di Cristo.

“VERNIZZI, UNO SGUARDO SULLA REALTA’”

Luca Vernizzi si racconta, di Giovanni Gazzaneo

Luca Vernizzi nel 1968 era stato definito “il pittore dei giovani”. In occasione della mostra di esordio i suoi soggetti prediletti erano ragazzi e ragazze colti nella loro quotidianità fatta di incontri, discussioni, abbracci, attese.

Dopo oltre quarant'anni si è trovato a ritrarre il “Papa dei giovani”, Giovanni Paolo II, l’ideatore delle Giornate Mondiali della Gioventù, che sapeva parlare alle nuove generazioni e che insieme ha continuato il dialogo, voluto da Paolo VI, con gli artisti contemporanei. “La bellezza è in un certo senso l'espressione visibile del bene – scriveva nella Lettera agli artisti del 1999 -… L’artista vive una peculiare relazione con la bellezza… Si può dire che la bellezza è la vocazione a lui rivolta dal Creatore col dono del talento artistico”.

Come nasce in lei la vocazione all’arte?

“Potrei dire che nasce nel ventre di mia madre. Mio padre era pittore, mia mamma pittrice, mio nonno materno architetto. Ettore Vernizzi, mio nonno paterno, era decoratore e ha ideato il primo marchio della Barilla utilizzato fino al 1931. Insomma l’arte è un ‘vizio’ di famiglia ed era l’aria che respiravo e quel che abbracciavo con lo sguardo, quando non facevo il modello per mio papà. Eppure da ragazzo desideravo fare lo scrittore, quasi a voler cercare nelle parole una via di fuga al mio destino. Ho studiato al Liceo Classico Beccaria di Milano, mi sono iscritto a Lettere e contemporaneamente facevo il critico d'arte per il Corriere della Sera con Leonardo Borgese, dal ‘63 al ‘67. Ma non ho mai smesso di disegnare e di dipingere. Poi nel 1968 la prima mostra alla Galleria Pagani, in via Brera a Milano e da allora l’orizzonte della pittura ha prevalso su quello della scrittura”.

Giovanni Testori ha detto, presentando una sua mostra: “ La vita è quella che è, cioè questa. A che serve maledirla? Rifiutarla? Tutta la fatica, l’uomo deve compierla, non nell’adeguarsi, bensì nel tessere, tra sé e il mondo, un accordo; anzi un equilibrio. In questo senso penso che il patron di Vernizzi sia stato Matisse, se pure rivisitato su certi esempi del Pop inglese (vedi, soprattutto, Peter Blake)...”. In che modo ha guardato a Matisse e al Pop inglese? Chi sono i punti di riferimento che l’hanno accompagnata nel suo percorso, gli artisti a cui ha guardato con più interesse?

Lei ha ritratto grandi personalità, soprattutto del mondo della cultura, ma non solo, da Dino Buzzati a Giorgio Armani, da Riccardo Bacchelli a Pietro Barilla, da Giulietta Masina a Eugenio Montale, a Enzo Fabiani. Colpisce la pulizia della linea e la freschezza del colore che si stagliano spesso su fondo bianco, colpisce soprattutto la vita che scorre in questi volti, come la capacità di cogliere i tratti essenziali che ce li rendono immediatamente familiari…

“Il ritratto l’ho sempre amato, ha coinciso con l’inizio stesso del mio disegnare: fin da piccolo l’aula, più che per ascoltare lezioni, era per me il pretesto per fare ritratti dei miei compagni, dei miei maestri. Ho sempre concepito il ritratto come un dialogo, un’occasione non solo per disegnare e dipingere un volto ma per conoscere la persona che mi stava di fronte, instaurare con questa un rapporto autentico, spesso arrivare anche con i grandi del nostro tempo all’intimità del tu. Trovo il ritratto importante per il mio percorso artistico. Dopo secoli che i volti dei grandi ci erano stati trasmessi grazie ai maestri del passato, in troppi hanno pensato che il ritratto fosse destinato, nel novecento, a diventare un’esclusiva della fotografia e quindi la pittura a perdere la funzione di trasmettere immagini. Ma l’immagine colta dall’obiettivo, anche la più riuscita, ci offre una persona in un preciso momento e la relega immancabilmente nel passato, in qualche modo la ‘uccide’. E così la fotografia di un vivente può essere confusa con quella di un defunto.

Nel dipinto (non in tutti, anche il passato è stato testimone di esiti più o meno forti), il ritratto, invece, può avere il potere di eternizzare il momento e in tal modo il volto viene sottratto alla dimensione temporale e ci

viene offerto nella categoria del ‘per sempre vivo’. Il ritratto per me non ha solo per soggetto l’essere umano ma anche un gatto, una pera, perché con la pittura è possibile cogliere l’individualità unica e insostituibile di ogni presenza e di ogni essere vivente. Questo mi appassiona: ogni ritratto è una domanda sul mistero dell’esistere”.

Giovanni Paolo II è stato apostolo instancabile portando il Vangelo fino ai confini del mondo e insieme, soprattutto negli ultimi anni del pontificato, è stato uomo della sofferenza, di cui, parlando a proposito dell’attentato in piazza San Pietro, aveva scritto: “Cristo, soffrendo per tutti noi, ha conferito un nuovo senso alla sofferenza; l’ha introdotta in una nuova dimensione, in un nuovo ordine: quello dell’amore…

E’ la sofferenza che brucia e consuma il male con la fiamma dell’amore e trae anche dal peccato una multiforme fioritura di bene”. Parlava di Cristo e insieme di se stesso e fino alla fine non ha rinunciato a essere pastore e padre pur nel silenzio a cui la malattia l’aveva costretto. Cosa l’ha colpita di più di Papa Wojtyla?

“Ho ammirato il Papa, il suo magistero, il suo essere apostolo tra tutte le genti, la sua capacità di trasmettere”. “Mi lasciano indifferente le false astrazioni e i ‘giochi a tavolino’ di ogni tipo di decorativismo. Amo solo gli artisti accomunati da un interesse forte per gli aspetti della nostra realtà (magari crudi seppur meno immediatamente appariscenti, come la tristezza di uno sguardo o la tragica solitudine e incomunicabilità di un oggetto, per esempio), che, senza cadere in manierismi accademici, ma animati dalla volontà e capacità di rappresentare la trasgressiva magia di una bellezza evocata, sanno dare poesia alla forma, al pensiero e al sogno. In tal senso il mio lavoro ha consonanze con Matisse e alcuni rappresentanti del Pop cui mi accosta Testori. Raramente ho trovato artisti con i quali condividere un percorso e nella mia ricerca sono rimasto abbastanza isolato. Tra i contemporanei stimo molto David Hockney; e per quanto riguarda i maestri classici, ho guardato a Mantegna, al rinascimento e a Velasquez, ma ci sono due stelle particolarmente luminose nel mio firmamento ideale: Masaccio e Caravaggio. Entrambi mettono al centro la realtà che gli si para sotto gli occhi e li emoziona: Masaccio non ha timore di dipingere uno storpio e Caravaggio mette in primo piano i piedi insudiciati di un pellegrino inginocchiato di fronte alla Vergine”.

La sua solitudine si giustifica proprio dal suo essere pittore della realtà in un periodo artistico dove la figura è posta ai margini e l'arte si è quasi tutta giocata tra gli estremi del “grido” e del “gioco”, della contestazione e dell'evasione. Anche a causa di una concezione estetica che vuole ridurre a zero la tradizione e i millenni di storia dell'arte si parte dall'errata convinzione che il nuovo possa nascere solo dal nulla. Quasi una premessa necessaria per dare esclusiva espressione del mondo interiore dell'artista, che troppo spesso nasconde dietro la povertà della sua opera una desolante incapacità di fare e di dare forma e colore a un'idea e a un'emozione, di proporre una bellezza che sappia parlare ai nostri giorni e a quelli a venire. Qual è il suo giudizio sulla contemporaneità?

“Il modernismo, con Picasso, Braque e i maestri delle avanguardie, pur attuando dissacranti forme d'innovazione, onorava sempre i valori e non rinunciava alla capacità del fare e alle specifiche competenze. Il postmodernismo, invece, non si è mai preoccupato di valori, ma ha assunto sempre una prospettiva ironica nelle più varie situazioni (vedi Andy Warhol e compagni). Questo prendersela con qualsiasi cosa, irridendo ogni pretesa di fondamento, ha determinato un crescente senso di disorientamento. Si è cominciato, così, a desiderare un ritorno all'ordine (come fu precedentemente con Novecento, la risposta di Sironi, Funi e altri alle eccessive sperimentazioni delle avanguardie).

L'aggressività del postmodernismo (in cui arte è tutto e il contrario di tutto) andava, in fin dei conti, a tradursi in una specie subdola di conservatorismo. In questo senso l'opposizione, sorta a suo tempo nei confronti dell'esasperazione messa in atto dalla modernità, pur salvando il valore delle più fertili innovazioni ha messo in luce quei mali che la postmodernità porta con sé. E oggi si torna giustamente a desiderare che un artista sappia scrivere, dipingere, scolpire”.

“Ho ammirato il Papa, il suo magistero, il suo essere apostolo tra tutte le genti, la sua capacità di trasmettere la parola in modo insieme lieto e profondo, l’attrazione che avevano per lui i giovani. E ho ammirato l’uomo, in particolare la dignità con cui ha sopportato i lunghi anni di malattia che alla fine gli ha impedito di esprimersi, l’ha privato della parola. Ho voluto che nel ritratto trasparisse questa sua forza, questo suo essere roccia della Chiesa, che traspare nella mano in primo piano, leggermente più grande rispetto alle proporzioni classiche, una mano che si porge a chi guarda e dà il senso di forza ma anche il senso della vicinanza, una mano a cui ci si può sorreggere. La grande difficoltà era fare il ritratto al Papa a partire da una fotografia, eliminare la staticità e la morte dell’immagine stampata, perché il ritratto potesse essere realizzato come dal vero. Fondamentali sono stati gli occhi, sono questi che determinano il ritratto e ho voluto dargli insieme profondità, dolcezza e serenità. La sfida di unire questi tre elementi era ciò che mi appassionava”.

Contemplo le opere di Luca Vernizzi e il suo sguardo verso la realtà mi fa venire in mente una frase di Erri de Luca: “La bellezza è qualcosa che ha a che vedere con il mondo, con la materia con cui è fatto.

Non è una decorazione né un arredamento. È proprio l’energia che contiene al suo interno. Per muoversi, per essere vivo, ha bisogno di quel combustibile. Brucia bellezza il mondo, non energia». Vernizzi ha un modo di cogliere la figura umana, la natura, gli oggetti, così particolare da abbracciare sia il modo del poeta che quello del filosofo. Da una parte con l’intuizione del poeta coglie la segreta musicalità nell’uomo e nelle cose che ritrae, dall’altra con la descrizione del filosofo sa offrirci la realtà nella purezza dell’essenza e nello stupore della singolarità, dell’unicità di ogni essere vivente. Certo, il suo ritratto sarebbe piaciuto a Giovanni Paolo II, Papa filosofo e poeta.

LUCA VERNIZZI, BIOGRAFIA (Santa Margherita Ligure, 1941)

Luca Vernizzi nasce a Santa Margherita Ligure il 2 settembre del 1941. Figlio d'arte (il padre Renato faceva parte dello storico gruppo dei Chiaristi), compie studi classici e artistici. Dal 1963 al 1967 collabora con Leonardo Borgese per le colonne di critica d’arte del “Corriere della Sera”. In quegli anni continua a dipingere con impegno e assiduità, ma non presenta alcuna mostra personale.

L’occasione arriva nel 1968 nelle sale della Galleria Pagani, in via Brera a Milano. A seguito di questo suo esordio, sarà definito “il pittore dei giovani”: nei dipinti, disegni e incisioni che produce in questo periodo, ricorrono gruppi di ragazzi e di ragazze uniti nell’affrontare gli entusiasmi e i problemi della loro età. Successivamente, dagli incontri con le personalità più rilevanti della cultura e dell’attualità, nasce una serie di ritratti che porterà non solo ad una evoluzione della sua stessa pittura, ma altresì ad una visione rinnovata della ritrattistica in generale.

Fra i tanti effigiati si vogliono ricordare Giorgio Armani, Riccardo Bacchelli, Pietro Barilla, Alberto Bevilacqua, Enzo Biagi, Valentino Bompiani, Dino Buzzati, Enzo Fabiani, Emerson Fittipaldi, Alberto Lattuada, Mino Maccari, Giulietta Masina, Eugenio Montale, Ruggero Orlando, Luciana Savignano, Giulietta Simionato, Mario Tobino, Umberto Veronesi.

A questo momento affianca un’indagine, che si potrebbe definire di impronta metafisica, sugli oggetti comuni della nostra vita, dove il “quotidiano”, lavato dalla contingenza, emerge in una sfera platonicamente astratta; come avverrà per i ritratti. Oltre alle tante esposizioni in Gallerie pubbliche e private in Italia e all’estero (Argentina, Austria, Brasile, Cina, Corea, ex Jugoslavia, Francia, Germania, Polonia, Stati Uniti, Svizzera, Turchia), si ricordano, tra le manifestazioni più significative della sua attività, la mostra al Museo d’Arte Moderna di Saarbrücken nel 1975; quella nelle sale dell’Arengario con il patrocinio del Comune di Milano nel 1979; la mostra realizzata, con gli auspici del Ministero della Cultura della Repubblica Popolare Cinese, negli Archivi Imperiali della Città Proibita di Pechino nel 1996; quella patrocinata dal Comune e dalla Provincia di Como nel 2002 e, nel 2005, quella patrocinata dall’Ambasciata Italiana in Argentina, mostra che, dopo essere stata allestita al Centro Culturale Borges di Buenos Aires, è stata portata, sempre in Argentina, al Museo d’Arte Contemporanea di Salta e al Museo Genaro Pérez di Còrdoba. Dal 1988 espone regolarmente alla Compagnia del Disegno di Milano. Nel 1990 le Edizioni Argalia di Urbino pubblicano, nella collana di studi filosofici, il suo saggio di estetica “Decorativismo e arte”. Numerose le sue collaborazioni con case editrici per illustrazioni e copertine di libri. Dal 1975 al 2008 è stato docente di Disegno all’Accademia di Brera dove, attualmente, è titolare della Cattedra di Nudo. Ha recentemente avuto l’incarico di realizzare un monumento in onore di Papa Giovanni Paolo II presso il Santuario del Divino Amore a Roma. Sue opere si trovano in Collezioni private e Musei d’Italia e del mondo. Vive e lavora a Milano.