Feliscatus – Atlante

Informazioni Evento

Luogo
11DREAMS - ART GALLERY
Via Rinarolo 11/c, Tortona, Italia
Date
Dal al

dal martedì alla domenica 16 – 19

Vernissage
04/10/2015
Artisti
Feliscatus
Generi
arte contemporanea, personale
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Mostra personale

Comunicato stampa

Atlante non è lì dipinto per sostenere A.a.
Intabarrato in serpentini pensieri, sovrastato da dissociazioni vaganti, solitaria e titanica stanchezza, comunissima noia, maldisposta affinità d’intenti, residue attrazioni di qualità, proposizioni inattese, pile di pressioni d’ogni sorta, può trovarsi, tra vizi di forma e forme (che potrebbero essere chiamati in causa per l’epilogo del non ritorno), effettivamente a farlo.
In qualche occasione, assecondando il mito, mutando il cielo in suolo, il firmamento in terra e acqua, nell’indubbia verità di scambio tra mito e pittura, tra disegno autonomo e supporto, riesce a stare per un certo tempo fermo in un luogo, quando aperto, a sostenerla; e non perché in base a un obbligo di osservanza a precisi compiti e scadenze deve, ma semplicemente perché talvolta vuole, e lo fa quando della monotonia di questa ripetitiva e logorante incombenza, pur non arrivando al punto di dichiararne un gradimento – che gli piaccia, questo no, mai – pensa e si convince, con una certa dose di riluttanza, che il vincolo temporaneo che essa rappresenta non gli provochi fastidio più di quanto riesca a sopportarne.
Meno saltuariamente, anzi con una qualche assiduità, se a suo volubile giudizio occorre farlo, cerca di liberarla dal fango colloso che l’attira, o, secondo la natura della zona in cui si trova, da quello secco che la incastra, dal pantano in cui arrendevole s’infossa, dal terreno sdruccioloso nel quale con alticcio moto ballonzola o dondolante incespica su fini lenze di raso lasciate, a non marcire, sotto il pelo di fango, da inutili pescatori d’inesistenti anime.
È deserto il luogo più o meno tondo, pesante quanto basta e forse più, che Atlante a fatica sorregge, quando è in vena di farlo. Se, mettendo in gioco la sua notevole forza, questo luogo egli s’impegna a disincastrarlo, si aiuta con una tripla fila di onde non sfalsate.
Un titano, un colosso scuro all’apparenza, così fatto si presenta Atlante, la cui fisionomia facciale, sempre in ombra, è difficile distinguere; i lineamenti e l’espressione sono impastati col colore, ed è negli scambi chimici e fisici dei componenti di questo, nelle reazioni tra pigmenti e medium che avvengono sopra il supporto – campo di battaglia e alchemico piano metamorfico –, e non nell’estetizzante patina di superficie, che bisogna ricercarne i tratti somatici.
Lo stesso procedimento deve essere applicato alla possanza fisica necessaria e di cui dispone (anch’essa certamente di origine cromatica) per comprenderne la struttura; come anche ai ghirigori indagatori atti a capirne l’ostinazione, l’alterna caparbietà (qualità ormai obiettivamente inutile); più lieve e probabilmente più sicura, una costante, diplomatica e perciò accettabile perseveranza, nel trovare (non cercare, da Pablo, anch’egli a suo modo colosso) una soluzione, l’ultima non viziata dalla forma, un rimedio per l’incancrenito stato d’inerzia alla mercé di Arancia azzurra.
Può volare Atlante, con e su ciò che prima s’impegnava a sostenere o cercava di liberare; oppure può riposarsi, distendendosi, sfiancato dallo sforzo, sulla superficie di questo peso pressoché sferico, di cui a volte gli vien voglia di sbarazzarsi per mai più rivederlo.
Il corpo celeste di queste tavole è un’Arancia azzurra, ma è anche, come di ciclope, una faccia con un solo occhio, posta su un piedistallo che a malapena la regge. Al primo colpo di vento… non succede nulla, perché interviene Atlante. Finché egli ci sarà andrà tutto bene, se così si può dire, anche con qualche ammaccatura in seguito a un’accidentale caduta.
Atlante è solo, cammina su distese convesse terra d’ombra bruciata, affumicate e cupe calotte di sfera, modellate, dipinte su tavole alte sessanta centimetri e larghe settanta, oppure su formati quadrati di settanta di lato.
In questa mostra oltre ai dipinti sono presenti, sempre su tavola, tre disegni a grafite, uno dei quali è l’unico quadro (più due disegni a penna su cartoncino) in cui Atlante ha i tratti fisionomici, nella scultura di una testa, riconducibili a quelli dell’artista. I lavori dell’attuale esposizione sono stati fatti nel 1992 a Mombisaggio, una frazione di Tortona, dove allora andavo a passare l’estate (per modo di dire perché ci stavo poco) e a dipingere nella prima parte dell’autunno; uno solo dei quadri di questo gruppo avevo esposto prima d’ora, in una mostra antologica al Museo Orsi. Qui, invece, oltre a tutti i dipinti e i disegni a grafite appartenenti ad Atlante (tra i quali quello di formato maggiore, realizzato sempre nel ’92, ma che nel 2006 ripresi per farlo salire sul carro di Frankenstein), sono presenti i bozzetti di minuscole dimensioni disegnati a penna nera sulle ante di una carpetta grigio-verde.
Sui molli saliscendi della superficie deserta di un pianeta, Atlante è continuamente alle prese con Arancia azzurra, la solleva con mani e braccia o la spinge con la schiena, puntando i piedi malfermi e con poca presa sulla melma sdrucciola.
Arancia azzurra è più grande del titano e sicuramente più pesante, ma egli ha forza a sufficienza per spostarla, renderla inerte come innesco e portarla via. Già, perché Arancia azzurra, in più di una tavola, è un ordigno a tempo infisso nel terreno che è a sua volta pelle porosa di un’arancia dalle dimensioni ciclopiche monoculari, però fragile seppur gigantesca, calcinata da una lenta usura. Atlante è l’unico superstite di una razza che si è estinta (questa, in forza di antropocentriche convinzioni di un aldilà immaginario, ha distrutto l’aldiqua reale), e non si capisce perché si dia questo gran da fare per uno scopo che anche a se stesso appare senza utilità. Potrebbe lasciare ogni cosa come si trova, abbandonare tutto al suo destino. Chi può prendersi la briga di badarci, stare lì a sindacare del più e del meno, se nessuno più esiste fuorché lui? Sì, egli c’è, con ciò che di vitale e non umano rimane, almeno fintantoché d’un tratto non esplode: un evento fortuito, un contatto di residui, una reazione non prevista; l’improvvisa accelerazione, nella rottura di un precario equilibrio, di qualche cosa che era latente; una zuffa di scorie. Facendo sparire anche Atlante e tutto il resto. Arancia azzurra è la visione umana degli eventi. La parte umana, che è una delle tante, di un pianeta a palla, è l’invenzione di un pittore metà umano e metà felino. Agli animali non occorrono metafore, né allegorie.
Oggi Atlante ha ventitré anni; acre questo tempo odierno, dove ancora c’è un’inospitale arancia, adesso da maggiore consunzione affetta. È bruciata dall’uso, rinsecchita da acidula, virulenta seppur transitoria compagnia. Atlante, che è invecchiato di quasi un quarto di secolo, ne è a tutt’oggi un sostenitore, per la verità poco convinto; è sempre suo il compito, o più correttamente l’opzione, in questi dipinti, di disincagliare, spostare, far muovere, rotolare, far viaggiare portandole a spalla, Arance azzurre di taglie diverse, qualcuna a misura di mito, altre con un diametro venti volte la sua altezza o superiore, senza che, ancora adesso, quest’impegno abbia un perché, una finalità, un senso, uno scopo preciso. Rimane incomprensibile la ragione per cui continui.
Nel luogo in cui si trova non c’è alcun punto d’appoggio idoneo per sollevare A.a., Atlante artista usa ora una sola fila di onde come leva e fango molliccio o sabbia di pomice come appoggio.
Le Arance azzurre di Atlante sono tempo che fu e tempo (?) che sarà, vita che fu e morte che verrà, sono ossa e muscoli; a parte, cervelli privi di corpi. Sono le superfici di sfere messe sotto i piedi, di geoidi butterati, sono arance coperte di pelle umana. Sul livello navigabile dell’ultima arancia strizzata a fondo perduto, l’input di una deflagrazione; la cessazione della memoria.
Datemi un punto d’appoggio e la strapperò al fango, datemi una leva d’acqua e la toglierò dal fosso. Ma datemi chi? “A chi?” diceva per ridere il clown De Curtis muovendo su e giù tutte e cinque le dita unite in un sol punto. “Ma a chi?”.
I bulbi si sono incastrati / gli occhi si sono asciugati / i fiori hanno impallinato la terra / la terra è affondata. / Bulbi, bulbi per metà vitrei e per metà viventi / ho cercato di tirarvi fuori / facendo leva con le onde / occhi, occhi per metà enormi / onde fossili in secca / secondo Atlante.
Feliscatus