Paul Klee, l’astratto. In mostra a Basilea

La Fondation Beyeler riunisce 109 opere di uno degli artisti più famosi di sempre. Offrendo una mostra da vedere tutta d’un fiato.

La maniera più classica per scrivere un testo critico su Paul Klee (Münchenbuchsee, 1879 – Muralto, 1940) consiste in un’apertura scacchistica che accosta l’aforisma “l’arte non deve rappresentare il visibile, ma rendere visibile l’invisibile” all’Angelus Novus (1920) citato da Walter Benjamin nella nona, e centrale, Tesi di filosofia della storia. E il gioco è fatto.
Un sentiero diverso passa invece per la cultura francofona. Chiamando innanzitutto in causa il concetto di figurale proposto da Lyotard in Discours, Figure – quel luogo in cui la figurazione si avvinghia al desiderio, in un abbraccio che conduce alla “trasgressione dell’oggetto, trasgressione della forma, trasgressione dello spazio”. Un luogo, se così si può dire, che è sulla soglia tra figura e astrazione. Una soglia fremente, inquieta – e non potrebbe essere altrimenti, visto che la presunta tranquillità della vista, del riconoscimento di ciò che vediamo, è innervosita dalla tensione vitale di segni e colori. Qui siamo immediatamente dentro una logica della sensazione, e non a caso Deleuze, nel testo omonimo, chiama anch’egli in causa Klee.

Paul Klee, Zeichen in Gelb, 1937. Fondation Beyeler, Riehen. Photo Robert Bayer

Paul Klee, Zeichen in Gelb, 1937. Fondation Beyeler, Riehen. Photo Robert Bayer

DISPONIBILITÀ AL VISUALE

Questo disorientamento conduce, come prima conseguenza, a una vertigine che disorienta. La prima reazione – ma accade soprattutto con astrazioni radicali alla Malević – è puntare i piedi, radicarsi a terra, voltare la schiena e tornare alla sicurezza del visivo. Oppure dare una chance all’evocazione ritmica che emerge da tele e acquerelli, da linee e colori. È forse un caso che un compositore straordinario come Pierre Boulez abbia dedicato pagine intense (Un paese fertile) a un solo pittore, per l’appunto Klee? Qui non si tratta di cedere a misticheggianti ipotesi di terzi occhi e visioni extrasensoriali, e nemmeno a concettose teorie compositive e fenomenologiche: la musica, quanto di più popolare esiste nel mondo umano, è pura astrazione. Ciò che Klee richiede all’osservatore è la disponibilità non al visivo, ma a quel che Georges Didi-Huberman chiama visuale: è lì – veramente lì – ma non si vede – non riusciamo a vederlo.

Paul Klee, Blühendes, 1934. Musée des Beaux Arts de Winterthour. Photo © Institut suisse pour l‘étude de l‘art, Zurich, Philipp Hitz

Paul Klee, Blühendes, 1934. Musée des Beaux Arts de Winterthour. Photo © Institut suisse pour l‘étude de l‘art, Zurich, Philipp Hitz

GUARDARE E NON VEDERE

Con questa disponibilità si può percorrere la retrospettiva allestita a Riehen, guardando e non vedendo le 109 opere di questo “artista degenerato” (tale lo reputarono i nazisti), in un viaggio cronologico che ci porta dal 1912 al 1940. Occasioni che poche istituzioni, oltre alla Fondation Beyeler, consentono di cogliere.

Marco Enrico Giacomelli

Riehen // fino al 21 gennaio 2018
Paul Klee. La dimensione astratta
FONDATION BEYELER
Baselstrasse 77
www.fondationbeyeler.ch

Articolo pubblicato su Grandi Mostre #7

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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