Arte e consumo. Questioni di libertà

Su cosa si concentra, oggi, l’attenzione del mondo dell’arte? Display, seduzione estetica e forma sembrano essere le parole d’ordine alla base di mostre e rassegne. Con risultati a volte troppo distanti da una realtà in costante collasso. E se la soluzione consistesse nel liberarsi dalle logiche del consumo?

Ci ha qualcosa che mette ribrezzo su quella fronte bassa, in quegli occhi torbidi, che tien quasi nascosti sotto la visiera del suo berrettino di tela cerata. Non teme nulla, ride in faccia al maestro, ruba quando può, nega con una faccia invetriata, è sempre in lite con qualcheduno, si porta a scuola degli spilloni per punzecchiare i vicini, si strappa i bottoni dalla giacchetta, e ne strappa agli altri, e li gioca, e ha cartella, quaderni, libro, tutto sgualcito, stracciato, sporco, la riga dentellata, la penna mangiata, le unghie rose, i vestiti pieni di frittelle e di strappi che si fa nelle risse” (Edmondo De Amicis, Cuore, Treves 1886).

(Prime impressioni.) Grande attenzione al display, che va regolarmente a discapito della comprensione e della fruibilità (!). Accostamenti, seduzione, eleganza – corteggiamento del design. (Un popolo di arredatori d’interni.) Finta teoria. Ma che cosa state facendo? Esibite il vostro aggiornamento – un aggiornamento compiuto sempre su riviste, in viaggi estemporanei, o all’interno di biennali e di fiere; un aggiornamento, temo, condotto sulle parole d’ordine. Piccoli sistemi di potere emersi – che sognano di essere grandi – e che si sono tradotti prontamente in estetiche.
E alla fine, non vi sentite oppressi, soffocati? Davvero l’arte è (diventata) solo questo – svolgere diligentemente il proprio compitino, e poi allestirlo nella maniera “giusta”, escludendo tutto il resto?
(E che tipo di presente emerge dalla maggior parte di queste opere, e dal modo di esporle? Non quello che stiamo vivendo, di sicuro; non il presente in cui tutto collassa, nella provvisorietà e nell’instabilità, tra migrazioni epocali e generazioni definite “perdute” senza troppo rammarico…)

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Calais Jungle, il misterioso 'monumento' comparso il 17 ottobre

Calais Jungle, il misterioso ‘monumento’ comparso il 17 ottobre

Qual è il problema? Perché questa sensazione? E, soprattutto, sono l’unico? Non credo. Questa riflessione, che non può al momento prendere altra forma se non quella di rapidi e incostanti schizzi, ha a che fare piuttosto con il ruolo – e con l’aspetto, anche – dell’arte oggi. In fondo, se quello che chiediamo all’arte è di attestarsi su alcuni “standard” internazionali (peraltro stabiliti nonsisadove), su alcuni gesti riconosciuti e su alcune disposizioni condivise, allora occorre dire che lo spettacolo davanti a noi è perfettamente plausibile.
Se invece – come personalmente credo – all’arte, in particolare in questo momento, si chiede di “sporgersi”, di superare il limite e di inoltrarsi in territori inesplorati, anche (e perché no?) pericolosi e scomodi, in ogni caso non confortevoli né prevedibili (ma, su un altro livello, molto rassicuranti), allora ciò a cui assistiamo pone più di un problema in questo senso. Perché, in definitiva, siamo in presenza di uno “stile dell’irresponsabilità” emerso proprio nel momento in cui si richiede il massimo di responsabilità (e di approcci conseguenti).
Uno schema che sottrae concretamente e consapevolmente ogni connessione con la realtà quotidiana, e in particolare con l’esistenza delle persone e delle comunità (lo spaziotempo di tutti i giorni, con i dettagli e le storie e gli errori che lo costituiscono; le relazioni; il calore umano; ecc.), riducendola al massimo a puro aneddoto pronto per essere estrapolato e trasferito in un sistema estraneo di riferimenti. (Tra l’altro, è una forma particolarmente insidiosa: sembra sperimentale, ma è – al contrario – assolutamente conservatrice; e consolatrice.)
Appare chiaro insomma come ci siano in questo momento (e non da oggi) almeno due presenti: il presente-presente, e il presente dell’arte contemporanea. Che scorrono paralleli, ma che non si toccano – mai; ancora. Il che, se ci pensate, è abbastanza agghiacciante.
In questa erosione e corrosione costante del senso, non vorrei che tanti artisti pur validi e talentuosi fossero trasportati – passo dopo passo, “a loro insaputa” – in una zona in cui originariamente non avrebbero voluto trovarsi. Alla fine, non si tratta né di carriera, né di residenze, né di premi, né di mostre, né di contatti – ma di una scommessa totale sull’unica cosa che conta: l’impossibile.
Libertà di rischiare; libertà di inoltrarsi e di sporgersi; libertà di uscire fuori dai binari e dagli steccati. Perché mai rinunciarci?

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Coda: Che poi una vera felicità discende da – ed è dovuta a – l’assenza di possesso, la nudità e l’assurdità. La pura percezione ed esperienza intensa – spogliate di ogni simulazione, e spettacolarizzazione, e calcolo pratico o consumistico. Percezione ed esperienza della vita senza consumo.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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