Where the streets have no name (IV). La fine della terra

Prendendo spunto dagli interventi di Gian Maria Tosatti e Alessandro Bulgini a Calais, Christian Caliandro avvia una nuova riflessione sul concetto di confine e su ciò che esiste al di là e al di qua di esso. Ci sarà sempre una fine della terra, ma anche un suo inizio. Il segreto per non trasformare questa condizione in un limite sta nel mantenere vivo il dialogo e lo scambio tra due dimensioni apparentemente opposte.

“We’re still building and burning down love
Burning down love.
And when I go there
I go there with you
(It’s all I can do)”.

U2, Where The Streets Have No Name (1987)

L’idea centrale di Gian Maria Tosatti di Calais come capitale europea del XXI secolo, come città del futuro e come prefigurazione costantemente rimossa. La Jungle dunque come annuncio: “Quest’opera fa parte del complesso progetto di interventi dedicati alla Jungle di Calais, la prima vera città del XXI secolo, costruita da migranti sulla costa settentrionale della Francia. La presenza di questa paradossale capitale di un mondo libero nel triangolo perfetto fra Londra, Parigi, Bruxelles, capitali del colonialismo, rappresenta una spina nel fianco dell’Europa, una interrogazione costante sui fondamenti stessi del moderno ideale europeo costantemente traditi. È qui sulla spiaggia di Calais che continua a naufragare l’Europa, nella sua incapacità di dare risposte agli abitanti della Jungle. Questa rovina spiaggiata proprio nella striscia di spiaggia tra il mare e la Jungle ha le sembianze di una stella naufragata, una delle stelle della bandiera europea”.

Alessandro Bulgini e Gian Maria Tosatti, La Manica, Calais, luglio 2016

Alessandro Bulgini e Gian Maria Tosatti, La Manica, Calais, luglio 2016

Gian Maria e Alessandro Bulgini che camminano sulla spiaggia alla fine dell’Europa, all’inizio dell’Europa (finisterre) – una spiaggia immensa, sterminata, sparsa di relitti e frammenti di Storia Contemporanea, un passato che si inoltra nel presente e lo condiziona – la Seconda Guerra Mondiale e la Sorveglianza, il Confine e il Baluardo, la Resistenza e l’Oppressione: il Controllo – tutto qui collassa e rinasce, rischia di implodere e si trasforma – i pranzi al ristorante di fortuna New Kabul, le lacrime serali e gli immigrati appostati ai bordi della strada, in attesa dell’Occasione (sfuggendo al Controllo), saltare sul camion rischiando la pelle – e la città del futuro nata sul ciglio dell’autostrada è una glorificazione terribile del bordo, del margine, di una situazione di perenne precarietà che è la casa di questo secolo – incertezza e movimento, incertezza in movimento, stabilità nell’incertezza e nel movimento.
Alla fine loro due hanno provato a dare vita e corpo a questa condizione paradossale. Creare una forma con l’aria, con la strada, con una fortificazione in rovina, con la vita – e una forma che condivida la medesima condizione informe, instabile, incerta e mutevole.

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Alessandro Bulgini, Opera Viva. Luci d'artista a Calais, 2016

Alessandro Bulgini, Opera Viva. Luci d’artista a Calais, 2016

Ho visto di tutto qui a Lampedusa. Una mattina in banchina mi ha colpito una donna che scendeva da una motovedetta. Veniva dal Gambia ed era bellissima. Indossava vestiti colorati e con una mano afferrava una valigia, come se stesse scendendo da un treno in una qualunque stazione. Aveva un portamento e una fierezza che non passavano inosservati. Come se si fosse scrollata di dosso tutte le sofferenze” (Pietro Bartolo e Lidia Tilotta, Lacrime di sale, Mondadori 2016).
Alessandro e Gian Maria che camminano sulla spiaggia sterminata – e continuano questa passeggiata a testa alta, in qualche modo sono ancora lì su quei chilometri battuti dal vento del Nord, e saranno sempre lì – io che mentre a luglio loro stanno partendo risalgo dall’estremo sud italiano, un’altra finisterre che si rispecchia in quella – paesaggi, completamente arsi dal sole, sembrano set di spaghetti western Anni Settanta, e sembra che fuori dal finestrino stiano scorrendo le terre aride dell’Oklahoma o del Texas Settentrionale, l’Arizona o il New Mexico – e invece è “semplicemente” la Calabria, guardo su Google Maps e siamo a Cutro – EUROTEK scritto in nero e bordeaux sul muro rosa slavato di una fabbrica – il cielo è talmente infuocato da risultare bianchissimo – due differenti fini-del-mondo che si toccano e si guardano a migliaia di chilometri di distanza.
Lampedusa giù giù come il confine ultimo, un altro luogo del futuro, un ulteriore punto nodale del XXI secolo, un’altra spiaggia ultima, terminale, e un altro inizio di qualcos’altro – la porta, il passaggio tra le forme di vita – tra giusto e sbagliato, sacro e profano, antico e nuovo, pulito e sporco, vivo e morto. A noi sta fare in modo che continui a esserci scambio tra le due dimensioni; e che le distinzioni risultino sempre più indefinite, sfumate.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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