Cespiti (IX). La serenità oltre il fallimento

Esiste una sfumatura di serenità irripetibile, quella che sopraggiunge dopo il fallimento, quando tutto diventa possibile perché il punto di ripartenza è lo zero. Un’“oltre vita” che si ritrova nel Sud Italia e che meriterebbe un po’ di attenzione in più.

“…la poesia deve danzare, si deve collocare in un
universo discontinuo, e deve costruirselo
un tale universo (come fece Blake) se non ne esiste uno”.
Harold Bloom, L’angoscia dell’influenza (1973)

“Any method is right, every method is right,
that expresses what we wish to express, if we are writers”;
Virginia Woolf, Modern fiction (1919-21)

Polistena, 8 luglio 2016.
Dopo trent’anni, ho ritrovato Nick Celentano all’Hotel Mommo di Polistena (RC). O meglio, lui ha ritrovato me.
L’avevo incontrato a sette anni, nel mio paese – mio padre era allora, e per tutti i fumosi Anni Ottanta, segretario della sezione DC locale – a fine agosto c’era la Festa dell’Amicizia, contraltare democristiano della Festa dell’Unità – e in programma, quell’anno (sarà stato il 1986, o 1987), il concerto di Adriano Celentano. Ora, voi potete pensare che la folla oceanica che si vede alle spalle del cantante nella locandina autografata e sbiadita che ho scoperto sotto il vetro del bancone nella reception dell’albergo sia un’esagerazione, un fotomontaggio: e invece no, perché io quella folla meridionale di baffi e basettoni fuori tempo massimo me la ricordo precisamente così, nella piazza principale. Approfittando biecamente della mia posizione di privilegio (il figlio del segretario della DC!) mi ero visto il concerto di Adriano vicino al palco.
Poi, fendendo quella stessa folla, eravamo andati a conoscere – io e mio padre – il mitico cantante. Non c’era un camerino, quindi il camerino era diventato momentaneamente la sezione stessa del partito. Spettatori in delirio, ressa, pure un pochino di agitazione, arrivo davanti al personaggio con la penna in mano, ed ecco la doccia fredda – gli dico: “Ma tu non sei Adriano!” – e lui imperterrito finge di essere l’originale, facendomi anche due mosse da supermolleggiato. Niente da fare, l’ho riconosciuto – ho visto qualcosa che non va – le pieghe nella faccia, il modo di parlare e di gesticolare, la complessione fisica: in effetti, è più corpacciuto. (Anche mio padre insiste con me, contro ogni evidenza, che lui è quello vero: e si affretta a portarmi via, sollevando Nick dall’imbarazzo del momento.)
Quella delusione di me settenne riverbera nel piacere di ritrovare questo vecchio amico finto, qui in Calabria, decenni dopo.
Questo bancone è una teca che preserva Nick – come un santo o un eroe: la posa del resto è quella – insieme agli idoli Anni Ottanta delle tournée joniche (Nicola Di Bari, Luca Barbarossa, Fiorella Mannoia, ecc.: gli originali). E questa cosa degli imitatori musicali è una specificità italiana e meridionale, ne sono convinto: l’imitazione del resto è così legata al carattere nazionale e locale, alla nostra attitudine nei confronti della vita e del mondo, alla nostra disposizione d’animo fondamentale, che è quasi impossibile immaginare una realtà in cui essa non sia divenuta un mestiere remunerativo e persino rispettato.

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San Giorgio Morgeto, Piazza dei Morgeti

San Giorgio Morgeto, Piazza dei Morgeti

San Giorgio Morgeto, 9 luglio 2016.
La dimensione ideale per costruire qualcosa di importante è quella che sta oltre il fallimento. Dopo tutte le delusioni, dopo le amarezze, dopo gli insuccessi, esiste una zona di assoluta resistenza, di armonia, di serenità e di dolcezza – la dolcezza che deriva dalla coscienza che ogni orientamento è inefficace, che tutto in definitiva è insensato e questa cosa è quanto di più lontano si possa immaginare dal nichilismo, in realtà è un campo sterminato di possibilità, perché se non c’è alcun SENSO esiste finalmente lo spazio per costruire da capo – lo zero da cui partire, ogni volta. Questo spazio zero, questo territorio potenziale, questa oltre-vita è un paese dell’estremo meridione italiano, una piazza sul cocuzzolo della montagna con una bella fontana odorosa al centro e una terrazza affacciata sulla valle (non presa d’assalto dal turismo di massa, e con scarsissime probabilità di accedere a quel circuito atroce), con i vecchini seduti sulle sedie di plastica del bar e sulle panchine di legno addossate al muro, e Rodriguez che canta I Wonder dagli altoparlanti del cinema itinerante di Cinemovel arrivato da due ore con il furgoncino parcheggiato nell’angolo della piazza – mentre io scrivo seduto sui gradini della fontana.
(La serenità oltre il fallimento di tutti è questo momento totale, che andrebbe dunque esteso ed espanso per il tempo e l’immaginario di due o tre generazioni…)

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William Blake, Whirlwind of Lovers - illustrazione per la Divina Commedia

William Blake, Whirlwind of Lovers – illustrazione per la Divina Commedia

In treno da Siderno a Taranto, 10 luglio 2016.
Paesaggi completamente arsi dal sole – sembrano set di spaghetti western Anni Settanta, e sembra che fuori dal finestrino stiano scorrendo le terre aride dell’Oklahoma o del Texas Settentrionale, l’Arizona o il New Mexico – e invece è “semplicemente” la Calabria, guardo su Google Maps e siamo a Cutro – EUROTEK scritto in nero e bordeaux sul muro rosa slavato di una fabbrica – il cielo è talmente infuocato da risultare bianchissimo – mentre Gian Maria e Alessandro stanno andando in auto in questo momento da Torino a Calais – due differenti fini-del-mondo (finisterre) che si toccano e si guardano a migliaia di chilometri di distanza – dopo Catanzaro, davanti ci sono Crotone Cirò Marina Corigliano Calabro e poi la Basilicata, Trebisacce Policoro – segnali bianchi e neri, distese di pini, il Parco della Sila si apre alla mia sinistra, a destra chilometri e chilometri di costa Jonica (dove duemilasettecento anni fa alcuni coloni spartani decisero di stabilirsi – e se non lo avessero fatto, io e milioni di italiani oggi non esisteremmo, almeno non nella versione attuale: erano quindi clandestini anche loro?).

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Francis Bacon, Figure standing at a washbasin, 1976

Francis Bacon, Figure standing at a washbasin, 1976

(Giusto qui, in questo trenino fresco con due sole carrozze, a stomaco vuoto, mi doveva e mi poteva capitare di proseguire il mio sogno dell’impossibile estremo Sud Italia): “Ma mettiamo di soggiornare a lungo nella vecchia Terra d’Otranto, di scendere al crepuscolo verso il molo del porto, durante una bufera di tramontana, quando i pescatori siedono in terra alla turchesca, la pelle abbronzata, guardando pian piano il mare, riflettendo da soli, aspettando in silenzio, come suoi fidati amici, che quella furia gli passi. È suppergiù come aprire una finestra che dia in un luogo segreto e appartato. Le cose allora cambiano, ogni distanza nel tempo cade, ogni senso di favola si fa impossibile: sono ancora Loro che abbiamo davanti, gli stessi pescatori, salvo qualche dettaglio, qualche frastuono momentaneo attorno alla loro persona; gli stessi piccoli uomini dalla squisita capacità di comportarsi bene, nell’ora destinata” (Maria Corti, L’ora di tutti [1962], Bompiani 1997, p. 13).
Le immaginazioni: una finestra che dà in un luogo segreto e appartato.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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