Steve McCurry. Il mitico fotografo si racconta

Mentre alla Reggia di Venaria è in corso – fino al 25 settembre – una grande mostra di Steve McCurry, per Mondadori Electa esce una lunga intervista del fotografo con Gianni Riotta. Una sorta di autobiografia che ripercorre la sua vita e le sue opere. Qui trovate in esclusiva un estratto: di quando un ragazzino di Filadelfia iniziò a scoprire il mondo.

Sono nato negli Stati Uniti, a Filadelfia, nel 1950, vivevo nei sobborghi della città, che potevo sognare di essere? Ripenso alla mia infanzia, sovrappongo i miei ricordi all’infanzia dei bimbi che ho visto nei campi profughi, nei ghetti dell’Asia, lungo le macerie dei campi di battaglia, a gelare d’inverno e faticare d’estate, concludo che sono cresciuto sereno rispetto a loro, un bambino tranquillo.
Anche l’evento più doloroso, la morte precoce di mia mamma, scomparsa quando avevo otto anni, è ovattato nella distanza, era sempre stata malata, nella memoria mi appare così, io piccolissimo, lei già fragile, consunta, con un presagio chiaro del destino che l’aspettava. Altrimenti ero un bambino di quel tempo, iperattivo – e allora era un bene non un male, come si dice oggi, l’iperattività – avevo un sacco di amici e giocavamo tutto il giorno, ogni sport era il massimo per noi, football, baseball, pomeriggi di rincorse nei boschi, sono immagini di una stagione differente, era un mondo meno ossessionato.
Mio padre era un ingegnere elettrico, veniva dal Sud, dalla Carolina del Sud e dunque d’estate passavamo le vacanze là, a casa sua, dov’era cresciuto, di nuovo a fare un sacco di chiasso con i miei cugini, sempre all’aperto.
Ero piccolo, eppure mi appariva chiaro come il Sud fosse diverso dalla mia Pennsylvania, più familiare, ricco di buone maniere, caloroso. Oggi l’America è meno divisa, grazie alla televisione, ai consumi, al web, alla cultura di massa: allora gli accenti, i dialetti, separavano uno stato dall’altro, operai da impiegati, era una società più segregata.

Steve McCurry, Mujahiddin osservano un convoglio russo. Nuristan, Afghanistan, 1979 - Photographs Copyright © 2016, Steve McCurry

Steve McCurry, Mujahiddin osservano un convoglio russo. Nuristan, Afghanistan, 1979 – Photographs Copyright © 2016, Steve McCurry

Io, bambino, mi sentivo protetto, coccolato, mio padre era – a quei tempi tanti padri lo erano – non particolarmente tenero, pensavano come generazione di dover essere severi, ma abbiamo sempre avuto un buon rapporto. Solo che allora le distanze – in famiglia, nel paese, tra le persone – erano molto più marcate che adesso, solo il viaggio da Filadelfia alla Carolina del Sud, in auto, ci prendeva un paio di giorni, il presidente Eisenhower avrebbe cominciato il suo programma per la costruzione di autostrade proprio in quegli anni. Tutto era più lento, come se ognuno avesse un posto prefissato nella vita, dalla storia o dalla geografia, e non potesse cambiarlo.
Era difficile per un padre senza moglie tirare su tre bambini, io e le mie due sorelle, e quindi tra i dodici e i tredici anni mi toccò trasferirmi in una boarding school – un collegio – perché nessuno a casa poteva occuparsi di me. Mio padre, per fortuna, dopo un po’ di tempo mi ascoltò e decise di ritirarmi: dopo avere avuto molta libertà era difficile abituarmi a tutte quelle regole, gli avevo detto che stavo male, mi sentivo soffocare lì dentro, gliene sono sempre stato grato.

Gianni Riotta - Il mondo di Steve McCurry - Mondadori Electa

Gianni Riotta – Il mondo di Steve McCurry – Mondadori Electa

Devo dire che dopo il collegio anche la scuola pubblica, la high school – il liceo – non mi appassionava. I miei voti erano ok, ma nulla di più, la scuola non faceva per me. Come tanti della mia generazione, in America, sentivo di avere bisogno di qualcosa di diverso dal conformismo, dal tran tran, ma non avevo nessuna idea di che cosa stessi cercando. Decisi di mettermi in viaggio, me ne andai a Stoccolma, poi ad Amsterdam, mesi passati a zonzo in un’Europa che era ben diversa dall’America. I consumi e il turismo di massa hanno reso il nostro mondo omogeneo, non voglio dire che sia un male, no, ma di certo se gironzoli per Roma, New York, Parigi, Tokyo ti imbatti nelle stesse vetrine, gli stessi marchi, la stessa merce, cibo, vestiti, musica identici … Non sapevo bene che fare, ma viaggiare mi piaceva, mi dava sicurezza; le persone, quelle città lontane, mi interessavano …
Il benessere, le comodità, il frigo pieno di cibo, i ristoranti, gli snack, le automobili, l’aria condizionata che noi davamo per scontati erano un lusso, un privilegio che il resto dell’umanità poteva solo sognare, impegnata a mettere insieme quel che bastava a non morire di freddo o di fame, senza medicine, scuola, un tetto sulla testa…
Viaggio ancora oggi in Africa, è molto cambiata in cinquant’anni; perfino nei paesi rimasti tra i più poveri vedete aziende, società internazionali al lavoro, telefoni cellulari, un progresso, specialmente dove le guerre si sono fermate e lo sviluppo economico ha preso piede. Sono forse rimasto un ottimista yankee di quelli che in Carolina del Sud guardavano un po’ storto, ma vedo con piacere sorgere scuole, anche per le ragazze, una migliore educazione, qualche riforma sanitaria, ospedali, prevenzione delle malattie epidemiche più diffuse, strade non cancellate dalle prime piogge. Però nella nostra vita non c’è mai un assoluto, bene e male tendono a bilanciarsi, a contrapporsi, col progresso e la crescita del benessere si sono perse tradizioni e storie importanti.

Steve McCurry, Una donna con la figlia guarda verso l’interno di un’auto. Mumbai, India, 1993 - Photographs Copyright © 2016, Steve McCurry

Steve McCurry, Una donna con la figlia guarda verso l’interno di un’auto. Mumbai, India, 1993 – Photographs Copyright © 2016, Steve McCurry

Un modo di stare insieme nelle comunità, linguaggi, culture, feste ancestrali, danze che scompaiono ogni giorno tra i grandi magazzini, i centri commerciali, le antenne televisive, il wi-fi.
Lo so, il mondo migliora, siamo meno distratti di un tempo sull’ambiente, sulle grandi violenze che con l’inquinamento abbiamo imposto alla natura, la scomparsa delle foreste, degli animali selvaggi, anche i più nobili e rari. Siamo attenti a un’economia che non sia solo sfruttamento, sostenibile; ma accanto a questi innegabili progressi ci sono forme di forzata omogeneità che mi spaventano, un mondo che dimentica il meglio del passato e smania per forgiare un’identità uguale per tutti…
Insomma, girare per il pianeta fece di un ragazzino di Filadelfia che aveva detestato la scuola, una persona riflessiva, meno superficiale…

Steve McCurry e Gianni Riotta

Gianni Riotta – Il mondo di Steve McCurry
Mondadori Electa, Milano 2016
Pagg. 356, € 24,90
ISBN 978889180023
www.electaweb.it

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