Piero della Francesca? Strapaese

Non saltate sulla sedia. A sostenerlo è Antonio Paolucci, direttore di Musei Vaticani e fra i massimi studiosi al mondo di Piero della Francesca. E lo contestualizza, nel quadro delle ragioni profonde della riscoperta di Piero avvenuta nel Novecento, che chiama “mitografia”, sulla quale verte la grande mostra aperta a Forlì fino alla fine di giugno. Lo abbiamo intervistato.

Se ne è parlato già molto, della grande mostra Piero della Francesca. Indagine su un mito, in corso ai Musei di San Domenico di Forlì: noi stesso lo abbiamo fatto, in più occasioni e con diverse chiavi di lettura. Per lodare la ricerca, senza precedenti con questa organicità e ricchezza, sull’influenza di Piero della Francesca fra gli artisti coevi e i successori, fino ai giorni nostri. Mai iscrivendoci al partito di chi critica la presenza di “sole” quattro sue opere in mostra: rilievo debole, se non banale e ingenuo, stante la nota inamovibilità di moltissimi capolavori di Piero, che rende impensabile un’esposizione ricca di autografi. Ma soprattutto rilievo incongruo con la missione scelta per la mostra, e dichiarata fin dal titolo: indagare, per la prima volta con approccio scientifico, l’eredità dell’artista presso le future generazioni di artisti, e la nascita del mito di Piero, esploso nel Novecento. Missione affrontata da un comitato scientifico formato da ben quattordici studiosi, presieduti da Antonio Paolucci.

Professore, se è vero che la grande arte è sempre contemporanea, forse Piero della Francesca è l’esempio più fulgido di questo assunto. Perché?
È anche la dimostrazione di come la storia dell’arte sia un fenomeno “carsico”. Si inabissa, sparisce per secoli, poi riemerge, in certe condizioni particolari di cultura, di sensibilità. È vero che l’arte è sempre contemporanea, ed è vero che l’arte è un fenomeno carsico. Come è successo nel caso di Piero della Francesca, e come questa mostra – e soprattutto il catalogo che la accompagna – dimostrano.

Piero della Francesca, Santa Apollonia, 1454-1469, olio tempera e oro su tavola. National Gallery of Art, Washington

Piero della Francesca, Santa Apollonia, 1454-1469, olio tempera e oro su tavola. National Gallery of Art, Washington

A chi chiedeva se da questa mostra emergono nuove risultanze storico-critiche, lei ha risposto che il risultato è la stessa impostazione della mostra. Ce la riassume brevemente?
A chi mi ha chiesto se da questo lavoro emergevano novità di Piero della Francesca, io ho risposto che dopo gli studi di Carlo Ginzburg, di Carlo Bertelli, di Anna Maria Maetzke, di Silvia Ronchey, tutto quello che si poteva dire di nuovo, in termini di scrutinio filologico, di interpretazione storica, è stato detto.
La novità di questa mostra consiste nell’affrontare un argomento che finora non era mai stato messo in figura, non aveva mai avuto una presentazione espositiva: se ne era parlato in libri, in articoli, ma non era mai diventato una mostra. E cioè la mitografia di Piero della Francesca. Come cioè sia potuto accadere che un artista, dopo essersi inabissato per secoli, riemerga – per uno di quei fenomeni carsici di cui parlavo prima – tra Ottocento e Novecento, toccando lo zenit nel 1927 con la fondamentale monografia di Roberto Longhi, e con i contemporanei studi di Bernard Berenson, giungendo a condizionare le forme artistiche della modernità. Da de Chirico a Cagli, a Casorati, a Morandi, a Ferrazzi, a Felice Carena, tutti artisti presenti nella mostra di Forlì. Quindi questa esposizione diventa una specie di camera degli specchi, di percorso dove si vedono i riferimenti di Piero che vivono nella modernità, negli artisti del XX secolo.

La mostra però parte dalla Divina Proportione. È forse quello il segreto di Piero? Aver posto delle forti basi scientifiche all’arte?
Il Novecento è rimasto affascinato da questo aspetto di Piero. Cioè Piero monarca della pittura, Piero maestro della proporzione, della prospettiva, dell’equilibrio, del rapporto fra vuoti e pieni. Quindi il formalismo è stato il carattere distintivo dell’apprezzamento di Piero della Francesca nel secolo scorso.
Un altro aspetto che ha molto colpito questi artisti è il suo ruralismo, il suo essere strapaese, in un certo senso. Il suo radicamento con la piccola patria, Borgo Sansepolcro, la Val Tiberina. Anche questo aspetto ha molto toccato il Novecento del ritorno all’ordine e di Strapaese. Tutti questi aspetti, combinati assieme, costruiscono quella che chiamiamo la mitografia di Piero.

Antonio Paolucci

Antonio Paolucci

Fare una grande mostra completa di Piero della Francesca è impresa impossibile, stante l’inamovibilità di quasi tutti i suoi capolavori. Fino a che punto, a suo parere, questo è auspicabile in nome della conservazione, e quando rischia di diventare un limite alla ricerca?
Da ex direttore degli Uffizi, oggi direttore dei Musei Vaticani, conosco bene l’importanza di questo tipo di domanda. Fino a che punto è lecito spogliare i grandi musei di opere identitarie del museo stesso? La risposta non può che essere che ci si deve regolare di caso in caso, non si possono dare regole fisse. Io, per esempio, in una circostanza simile, era il 2007, per una mostra su Piero della Francesca fatta da me e da Carlo Bertelli ad Arezzo, non esitai a trasferire dagli Uffizi – di cui allora ero direttore – il dittico di Urbino, il ritratto di Federico e della moglie. Mi sarebbe piaciuto portarlo anche qui a Forlì, ma questa volta non è stato possibile.

Massimo Mattioli

Forlì // fino al 26 giugno 2016
Piero della Francesca. Indagine su un mito
comitato scientifico presieduto da Antonio Paolucci
Catalogo Silvana Editoriale
MUSEI SAN DOMENICO
Piazza Guido da Montefeltro 2
0543 712659 / 199 151134
[email protected]
www.mostrefondazioneforli.it

MORE INFO:
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Massimo Mattioli

Massimo Mattioli

É nato a Todi (Pg). Laureato in Storia dell'Arte Contemporanea all’Università di Perugia, fra il 1993 e il 1994 ha lavorato a Torino come redattore de “Il Giornale dell'Arte”. Nel 2005 ha pubblicato per Silvia Editrice il libro “Rigando dritto.…

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