Dalla Persia all’Iran. Inchiesta su una società in trasformazione

Si viaggia per studio, per ricerca, per passione. Investendo ogni piccolo risparmio e tutto il tempo a disposizione. Si viaggia per arricchimento culturale, sentendo l’importanza del contatto diretto con la diversità e le forme policrome della natura umana, delle città, dei paesaggi. Si viaggia con la curiosità di scoprire “odori e sapori” nuovi, come racconta Pasolini nel suo “L’odore dell’India”. Questo è il racconto di un viaggio – con questo spirito – nell’antica Persia e nel moderno Iran.

L’UOMO, UNA SPECIE MIGRATORIA
Da sempre l’uomo è una specie migratoria e desidera esplorare nuovi territori. Viaggio, nomadismo, migrazione sono un grande patrimonio culturale. Nessun’altra zona al mondo, come quella del bacino mediterraneo e mediorientale, è stata così fortemente segnata dalla mobilità umana, potente mezzo che ha permesso di forgiare uno spirito di libertà, di creatività, scambi e matrimoni, incontri e scontri. Il senso profondo del viaggiare è fondamentalmente il desiderio di conoscenza e di confronto.
Scriveva Robert Stevenson: “Io viaggio non per andare da qualche parte, ma per andare. Viaggio per viaggiare. La gran cosa è muoversi, sentire più acutamente il prurito della nostra vita, scendere da questo letto di piume della civiltà e sentirsi sotto i piedi il granito del globo appuntito di selci taglienti”. L’idea che il viaggio potenzi la conoscenza di chi lo intraprende è antica come Gilgamesh, il quale grazie ai suoi viaggi conobbe i Paesi del mondo, divenne saggio e interpretò misteri inspiegabili. I poeti onoravano chi ha visto città e conosciuto la mente degli uomini. E lo stesso Ulisse – scrive Dante – viaggiò per seguire “virtude e conoscenza”.

Tehran - Campus dell'Università - photo Claudia Zanfi

Tehran – Campus dell’Università – photo Claudia Zanfi

L’AEROPORTO E IL VELO
Il racconto odierno è quello del tanto atteso viaggio in Iran. Un viaggio difficile, soprattutto per una donna. L’occasione è l’invito ad affiancare un viaggio-studio organizzato dalla Cattedra Unesco dell’Università La Sapienza, tenuta dal noto storico dell’architettura orientale Lucio Valerio Barbera. Il programma, intenso e interessantissimo, prevede una settimana di visita nei luoghi dell’antica Persia (Shiraz, Yazd, Isfahan, Persepolis) e una settimana a Teheran, con un workshop interdisciplinare presso la Facoltà di Architettura in Sustainable Urban Quality and Urban Culture’.
Appena scese dall’aereo, le donne del gruppo devono “velarsi”, cioè coprire il capo con un ampio foulard, possibilmente scuro e senza fronzoli. Da viaggiatore rispetto i luoghi e le usanze, osservo e registro. Qui scatta la prima lettura socio-culturale del Paese. Oltre al capo coperto, obbligatorio per tutte, le donne devono portare abiti larghi e sotto al ginocchio, per non mostrare le proprie “forme” in pubblico. Le donne di famiglia ortodossa devono poi indossare, sopra agli abiti, il nero mantello e coprire i capelli completamente. Il make-up è consentito, usato in modo massiccio solo dalle non-ortodosse. Gli uomini invece si vestono come gli pare; anzi, sembrano ostentare ogni tipo di forma, con look Anni Settanta, pantaloni stretti, maglie attillate, spesso ombelico di fuori e muscoli in vista.
Il passaggio dall’aeroporto internazionale di Teheran a quello nazionale (per il volo interno a Shiraz) è uno shock. Già alle 6 del mattino il traffico è insostenibile: auto che sbucano da ogni parte senza ordine, senza dare la precedenza; clacson che ululano; tubi di scarico che sfogano insalubri nubi nere. Le strade di Teheran resteranno un incubo che si protrarrà durante tutto il nostro soggiorno.

Isfahan - Moschea blu - photo Claudia Zanfi

Isfahan – Moschea blu – photo Claudia Zanfi

ATMOSFERE PERSIANE
Finalmente arriviamo nel sud dell’Iran, terra dell’antico impero Persiano. Un vastissimo altipiano contornato da alte montagne (oltre 5.000 metri) che si estendeva dalla valle del Tigri a quella dell’Indo, dal Mar Caspio al Golfo Persico. Questo è il territorio in cui l’impero dei Medi e dei Persi, duemila anni prima dei romani, riunì tutte le genti d’Oriente.
Foreste di pini, platani, querce e soprattutto cipressi punteggiavano i pendii. Canali e corsi d’acqua irrigavano i frutteti di ciliegi, peschi, ulivi, viti. Giardini di rose e gladioli contornavano i palazzi. L’agricoltura era un grande onore e il rispetto per la terra un valore supremo. L’avvento di questa cultura nella storia del mondo segna una nuova era, la nascita di una nuova civiltà, che seppe unire le moltitudini e dare spazio alle diversità. L’esercito di Serse, ad esempio, era composto da circa due milioni di uomini di oltre venti diverse etnie.
Agli antichi persiani si devono molti primati: usi raffinati nell’abbigliamento; introduzione delle calze, delle mutande e dei guanti; il disegno del primo giardino (paradeisos); i primi sistemi di irrigazione lungo ampie distanze (quanat); il primo sistema di aerazione naturale nel deserto (torri del vento).
Singolare la loro religione: lo zoroastrismo, da Zarathustra, astronomo e mago, che accanto alle importanti innovazioni agricole introdusse una lingua scritta e idee rivoluzionarie. Tra cui l’usanza, ancora oggi in corso, della deposizione dei cadaveri sulle “torri del silenzio”, grandi tumuli rotondi nel deserto, per essere divorati da corvi e avvoltoi, evitando così di contaminare i quattro elementi sacri: acqua, terra, fuoco, aria.
L’Iran resta ancora oggi una terra affascinante, dove si sono succedute civiltà diverse, con una storia antichissima. Teheran con i suoi interessanti musei. Isfahan, che più di ogni altra città evoca nel viaggiatore i miti dell’antica Persia, con le sue cupole turchesi, i giardini, i ponti e il grande bazar. Yazd, ai margini del deserto di sale, villaggio tradizionale con case in argilla e le caratteristiche torri del vento che svettano sul centro storico, patrimonio Unesco. Pasargade, con la maestosa Tomba di Ciro il Grande. Non lontano, le straordinarie rovine di Persepolis, con i tori androcefali a guardia del palazzo di Dario, le scalinate decorate con perfetti bassorilievi che mostrano la parata dei vari popoli e i loro doni per il Re dei Re. Infine Shiraz, la capitale letteraria del paese.

Tehran - photo Claudia Zanfi

Tehran – photo Claudia Zanfi

DALLO SCIÀ A KOMEINI
Da questa storia gloriosa alle vicende contemporanee il passo è lungo. In mezzo ci sono dinastie, lotte, conquiste e perdite. L’avvento degli arabi, l’introduzione di una nuova religione (la versione sciita dell’islamismo) e una nuova lingua modificano totalmente l’indirizzo culturale del paese. Poi l’era degli scià, che spesso hanno sperperato il denaro pubblico, inseguendo lussi sfrenati. Sarà lo scià Reza Pahlavi a introdurre ampie riforme di modernità per il Paese: alfabetizzazione, trasporti pubblici, condizione delle donne, occidentalizzazione.
Ma i rapporti tesi con l’Inghilterra (a causa dei petrodollari), le riforme fondiarie innovative (i mullah posseggono la maggior parte delle terre dell’Iran) e i più sontuosi festeggiamenti mai visti per i 2.500 dell’impero persiano lo fanno cadere.
Al suo posto la rivoluzione di Komeini, già capo dell’opposizione, che nel 1979 prende il potere e trasforma l’Iran in una Repubblica Islamica governata da autorità religiose. E tutto cambia. Non più minigonne e sigarette, cinema e teatri. Il demone occidentale è visto ovunque. Quindi misure restrittive in ogni campo, abolizione delle classi sociali, dei privilegi, della cultura, introduzione di scuole religiose, di abiti scuri e castigati.

Tehran - Museo d'arte contemporanea - photo Claudia Zanfi

Tehran – Museo d’arte contemporanea – photo Claudia Zanfi

UNA NUOVA PRIMAVERA?
Dopo vent’anni di embargo economico e culturale, oggi l’Iran sta vivendo una sorta di primavera. I giovani cercano sempre maggiori libertà. Si trovano nei bar, ridono, chiacchierano, fanno picnic in bellissimi giardini pubblici. Le ragazze si lasciano cadere il foulard e scoprono spesso i capelli, incuranti dei moniti della polizia religiosa (corpo speciale addetto a monitorare gli atteggiamenti “antireligiosi”). I ragazzi twittano e aprono clandestinamente account Facebook, scaricano musica rock e film, cercano di iscriversi a università straniere, guardano al resto del mondo con curiosità e interesse.
La maggior parte delle grandi marche straniere è sbarcata a Teheran, aprendo una sorta di via all’occidentalizzazione: Zara, LG, Parker, Apple ecc. sono presenti con più punti vendita in città. All’Università persiste la divisione del bar per le donne e quello per gli uomini; ma sui tavoli della mensa è servita Coca-Cola. Cinema e teatri sono riaperti e autori locali possono raccontare le loro visioni.
Un viaggio intenso, in un Paese in profonda trasformazione, che va ricordato non solo per i monumenti, ma soprattutto per la gentilezza e la curiosità della gente.
Del resto le radici di tutti i popoli e le culture del Mediterraneo discendono da quelle grandi terre e civiltà formatesi proprio tra il Tigri e l’Eufrate.

Persepolis Tent City - photo Claudia Zanfi

Persepolis Tent City – photo Claudia Zanfi

PERSEPOLIS E LA TENT CITY DI REZA PAHLAVI
12 ottobre 1971: lo scià Reza Pahlavi organizza il più grande banchetto nella storia del XX secolo. L’occasione sono le celebrazioni per i 2.500 anni dell’impero persiano, fondato da Dario e Ciro il Grande. Per ospitare le celebrazioni, lo scià commissiona una nuova città nel deserto, proprio ai piedi della mitica Persepolis. È Tent City, opera architettonica mastodontica, soprattutto lussuosissima e rimasta senza pari.
Si tratta di oltre 160 acri presso uno dei più importanti siti archeologici del Medio Oriente. Sotto la collina di Persepolis viene costruita una città verdeggiante con sfarzose tende: cinquanta per gli ospiti internazionali, una “tenda d’onore” per lo scià e la moglie Farah Diba, una tenda enorme per i banchetti.
La struttura e i relativi arredi vengono commissionati alla nota Maison Jansen di Parigi. Ogni tenda include un ingresso, un salotto, due camere da letto con due bagni e una stanza per la servitù, tutto con aria condizionata. I pavimenti sono coperti di favolosi tappeti persiani; i bagni rifiniti con marmi; lampadari di cristallo e argenteria ovunque. Sempre da Parigi, dai migliori saloni della città, arrivano cinquanta parrucchiere e truccatrici per le signore. Il noto ristorante Maxim’s si occupa del catering, con oltre centosessanta chef sul campo. Per tre giorni, ogni banchetto è accompagnato solo da champagne d’annata. Dopo i rinfreschi, spettacoli indimenticabili e parate con oltre 10mila figure in costume, cavalli e cammelli.
Lo scià voleva impressionare il mondo e, in un modo o nell’altro, ci riuscì. Nove re, tre principesse regnanti, tredici presidenti di Stato, dieci sceicchi, due sultani, primi ministri, vicepresidenti e altri, tra cui il Generale Tito, Ceausescu, Marcos: tutti attratti dallo sfarzo dell’invito e dal potere dei petrodollari.

Persepolis Tent City - photo Claudia Zanfi

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Anche grandi artisti si lasciano abbagliare da questa illusione. Iannis Xenakis, compositore vicino ai movimenti culturali del ’68, firma le musiche per gli spettacoli serali. Abbas fotografa l’intero evento. Merce Cunningham e John Cage partecipano al festival. Andy Warhol era già di casa. Denis Oppenheim doveva creare un’importante opera di Land Art nel deserto persiano (mai realizzata). Ma la presenza più enigmatica è quella dell’artista Tony Shafrazi, diventato nel frattempo art dealer. Vicino alla famiglia reale, e soprattutto alla sovrana (grande appassionata d’arte e collezionista), Shafrazi apre la sua prima galleria proprio a Teheran. Diventa consulente artistico dei Pahlavi, poi direttore del Museo d’Arte Contemporanea della città. Dopo anni di favori, improvvisamente la fortuna di Shafrazi girò e dovette lasciare l’Iran, per iniziare un successivo percorso a New York.
Il banchetto costò oltre 300 milioni di dollari, in un periodo in cui lo stipendio medio pro-capite era di 500 dollari annui. Lo scontento della popolazione era evidente. Ad esso si aggiungono gli anatemi dei mullah per le celebrazioni dell’antico impero, ben distanti dai dettami islamici. Tent City decretò la fine dello scià e della dinastia Pahlavi. La città nel deserto rischiò di essere distrutta dalla furia islamica, insieme all’antica Persepoli. Fortunatamente i cittadini si opposero e oggi uno dei più suggestivi siti archeologici del Medioriente è salvo. Tent City fu per un periodo usato come campo militare e le sfarzose tende ospitarono i soldati impegnati nella guerra contro l’Iraq. Ora il campo offre solo gli scheletri delle strutture e una folta vegetazione selvatica. C’è un progetto per trasformare Tent City in sede alberghiera per turisti. Ma nel frattempo sopravvive un sinistro cartello all’ingresso del sito, un monito che invita a “osservare ciò che i predecessori hanno fatto e a non ripetere l’errore”.

Claudia Zanfi                   

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #30

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Claudia Zanfi

Claudia Zanfi

Claudia Zanfi, promotrice culturale e appassionata di giardini, collabora con istituzioni pubbliche e private su progetti dedicati ad arte, società, paesaggio. Nel 2001 fonda il programma internazionale GREEN ISLAND per la valorizzazione dello spazio pubblico e delle nuove ecologie urbane.…

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