Amministrative 2016. Top & flop nella comunicazione

Videoclip, slogan, manifesti, loghi. Ma soprattutto il carattere, la costruzione del personaggio. Abbiamo passato in rassegna alcuni dei candidati sindaco delle prossime elezioni amministrative. Perché se in politica contano abilità, strategia, contenuti, mediazioni, altrettanto fondamentale è la comunicazione.  

IL TRIONFO DELLA TV. DOPO IL BOOM DEL 2.0
Diciamolo subito. Dal punto di vista della comunicazione le imminenti elezioni amministrative non brillano. Nulla di straordinariamente attuale, incisivo, creativo, effervescente, mediaticamente rilevante. Il 2.0? Sopravvive ma non evolve. Il ritorno, semmai, è alla tradizione: i candidati si affidano soprattutto ai talk show, alle interviste sui tg e alla colonne dei giornali.
Non che manchino le battaglie a colpi di tweet, i post su Facebook, i video caricati su Youtube. C’è tutto, ma un poco sottotono. Pare lontano il brio di quella rivoluzione digitale che divenne un caso, ai tempi di Obama, e a cui lo stesso Renzi si ispirò, felicemente.
Persino i Cinque Stelle, i nativi digitali della politica italiana, sembrano essersi normalizzati. Li trovi sempre sul piccolo schermo, non più nemici dei “giornalai” televisivi, e anzi ben contenti di seminare il verbo su ogni canale.
Non un paesaggio esaltante, dunque, per una tornata elettorale politicamente strategica, ma penalizzata dagli umori diffusi. Ingrigita. A dominare sono la sfiducia e la disaffezione di un elettorato stanco, la disgregazione di intere aree politiche allo sbando, i fattacci giudiziari, la crisi economica, i rapporti incancreniti dei palazzi con una criminalità radicata, istituzionalizzata, fatta sistema. Non è un momento buono; e chi vincerà – soprattutto in certi luoghi-polveriera, come la Capitale – sconterà rogne molto serie. E tuttavia, si corre. Tra promesse, programmi e conflitti, sperando, se non di vincere, almeno di contare.

Il manifesto di Mario Adinolfi - Popolo della Famiglia

Il manifesto di Mario Adinolfi – Popolo della Famiglia

QUELLI CHE NON OSANO. QUANDO BASTA IL PERSONAGGIO
C’è allora chi, come Mario Adinolfi, si limita a tappezzare Roma di manifesti col suo faccione, scegliendo un diabolico loghetto: mamma, papà e bambini, in punta di pastello. Infanzia style e marketing per eterni mammoni. Azzeccato.
Per il resto, la solita routine: dalla battaglia ideale contro quel satanasso di Kung Fu Panda, ai messaggi compulsivi pro famiglia e anti gender. Del resto, la sua fetta di tifosi se l’è scelta così, là dove il posto era vacante: tutt’altro che fesso, Adinolfi s’è infilato nei panni del guru catto-talebano, gettandosi presto nella mischia elettorale. E non c’è campagna che tenga. Lui s’affida direttamente ai vertici: “Con l’aiuto di Dio, con lo sguardo benevolo di Maria Vergine”, il direttore de La Croce punta in alto. Anzi, Altissimo.

Guido Bertolaso e Giorgia Meloni

Guido Bertolaso e Giorgia Meloni

C’è Giorgia Meloni, battagliera, che vorrebbe spedire in soffitta Guido Bertolaso (cadidato di Forza Italia, con poco appeal e poche chance) e che ora punterebbe a sbancare: Berlusconi medita e lei intanto si piglia le sue soddisfazioni. A chi le suggeriva di restare a casa a fare la mamma, risponde con la consueta iperattività catodica, con invariata (e quotidiana) presenza sui social, con un sito ad hoc (lanciato assai in ritardo, ma poco male: quello di Bertolaso risulta ancora “in costruzione”) e con l’immancabile primo piano photoshoppato. Ma soprattutto col gradimento popolare. Scaltra, ostinata, emancipata, ben avvinghiata al carro vincente di Salvini, cavalca un blando nazionalismo post fascista e guadagna terreno. E il ricordo di Alemanno è già lontano.

Alfio Marchini, col suo logo: la piantina topografica di Roma a forma di cuore

Alfio Marchini, col suo logo: la piantina topografica di Roma a forma di cuore

Anche Alfio Marchini – al contrario del 2013, quando tirò fuori il claim “Roma ti amo” e la sitcom “Mommascolti” – non si cimenta con mirabolanti trovate. Logo ruffiano a forma di cuore topografico, sito ben fatto e su Facebook più contenuti che uscite curiose. Ogni giorno una cartolina virtuale illustra una delle sue “101 proposte per Roma”. Buona la grafica, secco il messaggio e articolato il programma. Le pillole viaggiano, tra like e condivisioni, e spiegano in sintesi il Marchini pensiero. Il sorriso smagliante, il piglio post ideologico e lo charme da belloccio rampante fanno il resto: il personaggio, per un certo target moderato e salottiero, funziona.

Roma, elezioni 2016 - il manifesto della lista Storace

Roma, elezioni 2016 – il manifesto della lista Storace

Infine Fracesco Storace (La Destra) – carattere molto, peso politco pressocché nullo – cavalca la solita grafica grossolana e all’ombra del Colosseo promette: “Tornerà italiana”. Roma, s’intende. Patriottismo a caso e riferimenti vaghi all’invasione dello straniero, che sia la UE o l’immigrato. Premio per il manifesto peggiore.
Sobrio Beppe Sala (PD), sul fronte milanese, come l’avversario di centrodestra Stefano Parisi: due manager prestati alla politica, lontani dalle pastoie di palazzo, garbati, cordiali, un po’ ingessati ma sempre rassicuranti. Simili pure nei programmi. E però, l’uno sta con Renzi, l’altro col Cavaliere: se sia qui la vera differenza o la maggiore somiglianza, è questione aperta. Campagne particolari? Non pervenute. Ma il piglio è quello giusto.

Beppe Sala, candidato per il centrosinistra a Milano

Beppe Sala, candidato per il centrosinistra a Milano

DA FORZA ITALIA AL M5S. VIDEOCLIP & POPULISMO
E veniamo a chi ci ha messo invece un po’ di pepe. La palma va, senza dubbio, ai Cinque Stelle: non Virginia Raggi, che con quel mood da piccola borghese moderata resta sul classico; è a Milano che i pentastellati sfoderano il loro proverbiale estro. E da bravi estimatori di Fedez, proseguono sulla via del Rap. A sostegno del candidato Gianluca Corrado, succeduto all’impantanata Bedori, è arrivata “La Milano a 5 Stelle”: canzone scritta e interpretata da Simone Abbruzzi, con tanto di videoclip. Dentro c’è il meglio (o il peggio) della Weltanschaaung grillina, in un trionfo stucchevole di banalità. Già a partire dall’improbabile ritornello – “Questa è la Milano che non se la beve, corruzione e inquinamento hanno vita breve” – per proseguire con frasi esemplari, in cui l’accento si fa epico e abbondano le stoccate agli avversari (che stile!): “Non voglio più affittopoli, da Moratti a Pisapia si giocava coi Monopoli… Non voglio tutelare fondazioni di politici, zero tramiti, superiamo i popoli”. Immancabile l’improperio cult (“fanculo ai vostri manager”) e la sferzata gentista (“voglio un programma condiviso dalla gente milanese, voglio vivere Milano come fossi in un paese”).

La sceneggiatura del video è pure peggio. E non è una novità: i video grillini sono talmente brutti, talmente amatoriali da diventare riconoscibili. Una cifra estetica, un tratto costante. E anche questo, nell’arte della comunicazione, vale.
Qui la vera protagonista è la folla. Il popolo. I milanesi in strada, in piazza, ai giardinetti, a lavoro. Tutti ad intonare il rafrain, tra l’incazzato e l’allegro, dondolandosi con lo sguardo in camera. Epperò , sullo sfondo, ecco  i grattacieli di Porta Nuova, che hanno cambiato il profilo della città: ma non erano speculazione edilizia? Come quinta scenica tornano utili?
Viene alla mente un precedente mitico, forse il primo videoclip elettorale della storia italiana. Era il 2008 e con Meno male che Silvio c’è un ancora energico Berlusconi già cantava – letteralmente – vittoria. Le similitudini ci sono tutte. Due approcci populisti, anche se in chiave opposta: in uno l’enfasi è sul leader, idolatrato dalle masse, nell’altro è sulle masse stesse, coi leader che muovono i fili nel backstage.

Stessa retorica, stessa ingenuità, stesso sguardo romantico sulla comunità dei cittadini operosi, onesti, lavoratori. E tuttavia, il prodotto edulcorato del Cavaliere resta insuperato. Tutto così finto, così naïf, così elementare da non aver bisogno d’altro all’infuori della propria vacua narrazione. Niente rapper, soluzioni trendy, frasi a effetto, stilettate velenose, coreografie hip-hop. Non serviva. Bastava lui, l’invocato Presidente e l’amore dei suoi fan. Magistrale.

CAR SHARING, CAPRE, SLOGAN E ALTRE AMENITÀ
Si è affidato al video anche Piero Fassino (PD), in cerca di una conferma nella sua Torino. Sobrietà e serietà anche per lui, col suo aspetto pallido, docile e dinoccolato, convintosi a fare un esperimento in mobilità. Sfruttando il car sharing e scegliendo dei comuni elettori come autisti ed interlocutori, salta sul veicolo e si fa dei giri in città. Due chiacchiere distese per raccontare le cose fatte e quelle da fare, partendo dalle periferie. Il format su quattro ruote è stravecchio ma efficace, anche se la lunghezza  (20-25 minuti a video, ad oggi ne sono stati girati solo due) ne fa un approfondimento e non un contenuto virale. Dal punto di vista dei social non ha sfondato.

Gli slogan automatici per Giachetti sindaco

Gli slogan automatici per Giachetti sindaco

Roberto Giachetti, candidato renziano a Roma – uno perbene, preparato, ma che non buca troppo – si affida alle cure della nota agenzia di comunicazione Proforma (quella che contribuì a creare il fenomeno Vendola e che tanto ha lavorato per Matteo Renzi). Il logo, trasformando in una “&” commerciale la E del cognome, è funzionale a una bizzarra campagna web. Prendendo ispirazione dai vari “generatori automatici” che circolano in Rete – mitici quelli sui post di Salvini e sulle scene assurde de La Grande Bellezza – il team ha inventato un generatore di slogan, costruito intorno alla congiunzione &. Non un meccanismo automatico, in questo caso: è l’utente a inserire delle parole chiave. Il software poi le monta, creando decine di statement elettorali. Alcuni seri, tantissimi divertenti: da “Cacio e Pepe” a “Musei e Street Art”, da “Centro e Periferia” a “Guanciale e Pancetta,  da “Totti e Spalletti” a “Dormire e Pigliare pesci”. Un progettino autoironico, interattivo, concepito per la rete, un po’ inconsistente ma con una buona dose di leggerezza (che non guasta). Promosso.

I manifesti del candidato sindaco d Napoli, Gianni Lettieri

I manifesti del candidato sindaco d Napoli, Gianni Lettieri

Mezzo disastro a Napoli, invece, col candidato di centrodestra Gianni Lettieri,  che in un impeto di polemica e di passione ha sfornato una serie di manifesti al vetriolo. Il senso: colpire la città, fuori dai denti, per poterla salvare. Ecco gli slogan: “A Napoli  le tasse più alte d’Italia”; “Napoli prima in Italia per numero di rapine”; “Napoli agli ultimi posti per qualità della vita” e così via.
Severo, ma giusto? Per la maggioranza solo inopportuno. Una macchina del fango contro l’attuale sindaco De Magistris – andato su tutte le furie – ma anche contro i napoletani. Ondata di critiche, polemiche, risentimenti, mentre dal quartier generale si sono difesi, sciorinando statistiche e buone intenzioni: “La verità a volte è dura, dolorosa, ma alla fine viene sempre a galla”. Sarà. Ma cattivo gusto a parte, il punto è che toccare certe corde in negativo non paga. Dura la legge della comunicazione: sfidarla non conviene.

Il Partito della Rivoluzione di Sgarbi - elezioni Cosenza

Il Partito della Rivoluzione di Sgarbi – elezioni Cosenza

Infine, una chicca da Cosenza, dove il sindaco uscente Mario Occhiuto – architetto di professione – continua a scommettere su cultura, bellezza, urbanistica, beni culturali. Facendone una caratteristica personale. È lui ad aver lanciato le residenze d’artista BoCs, curate da Alberto Dambruoso e ospitate nei moduli abitativi edificati sul lungofiume; ed è lui a spingere per la costruzione (in teoria) di un museo d’arte contemporanea. E a proposito d’arte, ad aiutarlo c’è anche Vittorio Sgarbi.  Che si è fatto una lista tutta sua: il nome – Il Partito della Rivoluzione, ideato nel 2012 – è noto. Ma il logo, nuovo di zecca, è già leggenda. Una piccola capra, arrampicata su un podio: il tormentone – “Capra, capra capra!!” – diventa effige, nel segno del trash. Autocitazionismo e ironia, anche se il messaggio non è chiaro: la capra è il sindaco, l’elettore, l’avversario…  o il grafico stesso?  Che importa. Quel che conta è lo show. In politica come in televisione.

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

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