Italia Creativa. Osservazioni a margine di un rapporto (2)

Vi abbiamo dato notizia in tempo reale della presentazione del rapporto Italia Creativa, stilato dall’agenzia Ernst & Young. Poi abbiamo analizzato un poco più a fondo gli interventi. E ora diamo un’altra scorsa ai numeri e alla metodologia. Non sempre convincenti.

UNO STUDIO SIAE ORIENTED
Cosa si intende per value gap quando si parla di cultura? Si tratta del “beneficio economico che arriva da contenuti culturali non riconosciuto ai produttori degli stessi contenuti”. Questa la definizione che ne ha fornito Filippo Sugar, presidente della SIAE. Di fatto però sembra di assistere a una battaglia di gruppi di pressione istituzionalizzata – ed è una impressione che già emergeva nel commento che abbiamo pubblicato su Artribune il 22 gennaio.
Non è un caso che nel rapporto Italia Creativa si riprendano proprio le cifre, l’approccio e la terminologia adottata dal rapporto che la stessa Siae ha commissionato a Roland Berger e che è stato diffuso lo scorso novembre. Così nelle pagine di Ernst & Young si legge: “In ambito musicale, a livello globale, ad esempio, le piattaforme ad-supported (ad accesso gratuito con inserzioni pubblicitarie come YouTube) hanno generato per le case discografiche circa 620 milioni di dollari nel 2014, a fronte di oltre un miliardo di utenti unici al mese. Di contro, nello stesso anno, i servizi in abbonamento di streaming musicale (come Spotify e Deezer) hanno remunerato i discografici con 1,6 miliardi di dollari, contando su una platea di soli 41 milioni di abbonati (oltre ad un centinaio di milioni di utenti attivi con piani freemium)”. E ancora: “I cosiddetti ‘intermediari tecnici’ (motori di ricerca, social network, aggregatori di contenuti, servizi di file hosting, piattaforme audio/ video etc.), che veicolano direttamente o indirettamente i contenuti culturali, hanno costruito un business rilevante che dalle analisi vale in Europa 22 mld di euro l’anno (di cui 16 per Google e 3 per Facebook) e in Italia 1,3 mld di euro. In questo business i ricavi direttamente legati ai contenuti culturali ammontano a circa 5 mld di euro a livello europeo e 369 mln di euro in Italia ed è costituito, sempre per l’Italia, per 167 mln di euro dai social network e 150 mln di euro dai motori di ricerca. E di questi 369 mln di euro quasi nulla arriva ai produttori dei contenuti”.
Quello che sfugge è tuttavia un dato macroscopico: il modello di Google, Youtube e di altri motori di fruizione culturale rappresenta il nuovo ecosistema, dal quale non si può in alcun modo prescindere.

Italia Creativa - la cover dello studio

Italia Creativa – la cover dello studio

ALCUNI DUBBI METODOLOGICI
Il rapporto presentato negli scorsi giorni alla Triennale di Milano lascia inoltre più di qualche dubbio a livello metodologico. Ad esempio, perché “la valutazione dell’impatto economico viene tradotta in due cifre: valore economico e occupati”? Non è forse un approccio esageratamente riduttivo?
Venendo a un comparto specifico, particolarmente interessante per i lettori di Artribune: secondo quale criterio si è scelto di rappresentare le economie indirette del comparto tenendo conto esclusivamente della “Vendita di Strumentazione Fotografica” e della “Vendita di Materiali da Disegno”?
E restando nel medesimo ambito, quale utilità ha l’indicatore “densità di visitatori”? Perché il suo significato è esattamente quello che si può intuire: a parità di visitatori, un museo piccolo ha una densità maggiore di un museo grande. E dunque?
Resta il fatto, in ogni caso, che il rapporto punta il dito su mancanze evidenti e alle quali è necessario porre rimedio: “L’assenza di una strategia pubblica di valorizzazione economica, giuridica e culturale dell’arte risulta quindi la principale causa della scarsa tenuta in Italia dei beni d’arte moderna e contemporanea, all’interno di un ciclo economico senz’altro non favorevole”.

Le tendenze dei tre anni passati (dal Rapporto Italia Creativa)

Le tendenze dei tre anni passati (dal Rapporto Italia Creativa)

SUI BIGLIETTI DEL CINEMA
Una ultima considerazione riguarda il settore del cinema. Nel rapporto si legge: “Ad un’analisi più approfondita, i numeri riportati evidenziano una progressiva diminuzione del prezzo medio del biglietto (-9%), fenomeno ancora più evidente se si considera l’effetto inflattivo. I cinema sembrano infatti aver risposto alla contrazione nella domanda, abbassando il prezzo medio di biglietti e abbonamenti e puntando sui ricavi accessori. I ricavi da consumazioni e sponsorizzazioni nei cinema sono infatti cresciuti del 10% tra il 2012 e il 2014, arrivando a costituire, nel 2014, il 13% del totale ricavi da esercizio cinematografico”.
Non sembra che il prezzo dei biglietti sia diminuito. È più probabile che questi dati siano influenzati dai prezzi stabiliti in occasioni particolari (ad esempio i forum) o per categorie specifiche (ad esempio gli studenti). Il confronto del prezzo andrebbe tuttavia fatto sul prezzo standard, senza sconti. Anche per capire l’inclinazione della domanda al prezzo.

Stefano Monti

www.italiacreativa.eu

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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