Inpratica. Nuove noterelle sull’Italia (VIII)

Una giacca destrutturata, una cena pagata da altri, una battuta gelida. E a coronamento di tutto, un bel “me ne frego”. Un altro ritratto dell’Italia in una situazione tipo. Dalla penna di Christian Caliandro.

Esercizio. Cappotti giacche camicie maglie felpe finto povere finto straccione. Abiti lussuosi e di ottima fattura che sembrano francescani, e non lo sono. Una simulazione di povertà e umiltà che rivela la casta il privilegio l’appartenenza orgogliosa e prepotente a un gruppo chiuso. E fingono di essere simpatici democratici aperti popolari. Ma tutto è appunto finzione perché non condividono nulla della società in cui fanno finta di vivere e invece costruiscono continuamente barriere mentali e fisiche, luoghi di esclusione, zone di interesse particolare, separazioni economiche e sociali. Le costruiscono ogni giorno ogni ora in ogni possibile spazio di vita. È la vita che odiano e non è tanto odio quanto disprezzo – non vorrebbero proprio essere qui, condividere la stessa aria dei poveri e degli sfigati, e quindi usano la cultura come una ulteriore barriera, strumento di divisione e di separazione invece che di condivisione e unione e collaborazione e superamento delle divisioni. La cultura è lo strumento elitario e castale per eccellenza, soprattutto poi in Italia – il luogo una volta e ancora conosciuto come il Belpaese, e il luogo in cui da secoli l’intellettuale serve cerimoniosamente il potere.

Giorgio de Chirico, Gli Archeologi 1927 - GNAM, Roma

Giorgio de Chirico, Gli Archeologi 1927 – GNAM, Roma

La cultura dunque per essi non ha quasi nulla a che fare con il popolo – meno che mai ora – ma ha la funzione di discriminare ancora di più, di disunire e di disintegrare ancora di più. E così, possiamo immaginarla come un bene assolutamente decorativo e inutile, un orpello del lusso e di una condizione irraggiungibile alla moltitudine. I libri i film le opere d’arte sono altrettanti dolcetti, abitini, accessori che fanno bella e giudiziosa e decorosa l’esistenza dei pochi che se la possono permettere. E la dignità? E tutti gli altri? E no – loro non possono capire, non possono pronunciare e mettere in fila le frasi argute, i riferimenti sottili, le battute gelidine nel corso di pranzi sempre pagati da qualcun altro. Per cui queste felpe che sembrano povere e non lo sono, queste giacche destrutturate di maglia che sembrano sformate e che invece sono studiate, avvolgono e ricoprono creature che sono il prodotto di decenni di concrezioni e incrostazioni tipicamente italiane. Feti cresciuti nella bambagia, accuratamente separati e tenuti separati da ogni contesto che non sia quello del privilegio e della ricchezza e del diritto familiare, si sono sviluppati nelle forme previste dal controllo.
Il familismo che Banfield associava giustamente a società arcaiche e contadine agisce in modo forse ancora più efficace nell’Italia culturale ricca. Non ci sarebbe quasi bisogno di sentirli parlare. Eppure, appena aprono bocca, il fastidio indescrivibile per come ordinano i pensieri secondo uno schema precostituito fatto di cinismo cattiveria spuntata esibizionismo infantilismo. Queste bocche levigate e ipereducate che non toccano la realtà neanche con un bastone o un cucchiaio – altro che pasto nudo – che non si avvicinano al crudo e all’immediato e all’informe se non per le vie e con gli strumenti consigliati e prestabiliti, inutili. L’aver ereditato la condizione di tranquillità e di vita separata in una dimensione parallela li separa quotidianamente da ciò che importa per. Si tengono così rinchiusi perché amano la chiusura, la amano senza saperlo.

Altare votivo dedicato ai SS. Medici realizzato da due spaccacozze, Taranto Vecchia

Altare votivo dedicato ai SS. Medici realizzato da due spaccacozze, Taranto Vecchia

Tanto scusa che importa, il resto può benissimo andare in malora e davvero è già andato in malora, lo sporco e l’informe sono poveri e sfigati e non devi avvicinarti sennò vieni escluso e ti autoescludi, ma tu davvero pensi ancora che il pensiero e l’oggetto culturale possano cambiare qualcosa in questo sfacelo, godiamocelo invece e parliamone male il più possibile e analizziamolo anzi pubblicamente, tanto riguarda e riguarderà sempre i poveracci lì fuori che non possono capire e non capiranno mai, che non capiscono le nostre battute i nostri scherzi i nostri frizzi i nostri lazzi, che non leggono i nostri libri e che non guardano i film giusti e che non vanno alle mostre ma vanno a mangiare in posti orribili e guardano ancora la televisione, la gente che fa lavori umili o che non fa proprio nessun lavoro non può capire ma noi li capiamo ma mica possono aspirare ad occupare i nostri posti come ti è potuta venire in mente una cosa del genere, come puoi pensarlo, noi siamo così democratici e aperti e giusti e disponibili e non mi puoi venire a dire che siamo addirittura contro i poveri, semplicemente non avverrà mai, questa cosa delle caste è troppo importante e fondamentale e troppo profondamente incistata noi ci conosciamo tutti e dobbiamo scambiarci posti e posizioni e prebende, altrimenti scusa come funzionerebbe, se facciamo entrare questi poi, ma no perché dovremmo condividere il nostro spazio con gente maleducata e che non capisce le battute che facciamo e che non legge i libri giusti e che non ha fatto le nostre scuole e che non indossa queste maglie queste felpe queste giacche finto povere dai colori smorti ma costosissime, e che non ne capisce e non ne capirà mai neanche il valore, scusa ma poi tu chi sei, a te chi ti ha invitato, e alla fine che te ne frega, che ce ne frega?

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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