Turismo e cultura. L’editoriale di Antonio Preiti

Turismo e cultura sono un binomio oramai affermato, ma con tante e tante remore profonde e reciproche. Dovrebbero essere la coppia perfetta, ma non lo sono, o per lo meno non lo sono ancora. Perché?

Turismo e cultura hanno una storia di sopravvivenza diversa, anzi divaricante. I soldi alla cultura vengono in gran parte (ancora) dal bilancio pubblico e i soldi del turismo arrivano dal mercato privato. Ma non basta: ciascuno di essi, senza dirlo troppo, pensa che ognuno viva sulle spalle dell’altro. Il mondo del turismo pensa che i musei vivano grazie ai visitatori che arrivano da altre residenze, insomma senza turisti potrebbero essere deserti; il mondo dell’arte pensa che i turisti involgariscano i beni culturali, siano aggressivi e poco rispettosi della cultura. Senza i turisti l’opera di conservazione, che sembra l’unica bussola seguita, sembrerebbe essere più facile.
Eppure il dato oggettivo depone esattamente per la loro convergenza, e per gli stessi motivi. Un museo interessante è una motivazione del viaggio, non l’unica, e per molti non la principale, ma è il movente perfetto per dire a se stessi che c’è bisogno di fare un viaggio. Un museo vive dei loro visitatori, del loro interesse: un museo che fosse ben conservato, ma senza nessuno che lo veda, non è propriamente la funzione sociale che ci si aspetta. Perciò sono “condannati” ad amarsi, in qualche modo.

La hall del British Museum disegnata da Foster and Partners

La hall del British Museum disegnata da Foster and Partners

Se usciamo dal perimetro generico della cultura, e ci soffermiamo sulla produzione culturale, di cui le mostre, ad esempio, sono la conseguenza più importate, allora ci accorgiamo di uno strano parallelismo, ancora, tra la cultura e il turismo. Prima serve però una piccola digressione: il turismo è vissuto per molti anni (e ancora adesso in buona parte) sul “sightseeing”, sul vedere le cose più note. Quelle che, almeno una volta nella vita, bisogna pur vedere, per completare la propria formazione, si direbbe umana, e non solo di conoscenza. Questo ha creato un target specifico del mercato turistico. Ma oggi, soprattutto i Millennials, vedono i beni culturali piuttosto come uno scenario, come un contesto, il posto dove si va perché ci vanno tutti. Le cose famose le hanno già introiettate in tutte le maniere, ma è l’esperienza intorno a essi, piuttosto, che serve loro. Hanno, come ci si aspetta, il senso della contemporaneità, che i “sightseeners”, un po’ anche per l’età, hanno in misura minore. Sono perciò attratti più dalle mostre che dalle collezioni permanenti, insomma dai musei, che magari avranno già visto più volte, con i genitori prima e da soli dopo.
A questi due target turistici corrispondono due modi di essere differenti dell’offerta culturale: ai primi si rivolge soprattutto l’offerta museale, ai secondi le mostre e, in genere, l’arte contemporanea. Bastano dieci minuti all’ingresso al British Museum e poi alla Tate Gallery, stessa città e stesso ingresso gratuito, per accorgersi della differente stratificazione del pubblico. Ancora una ragione per stare insieme.

Antonio Preiti

Antonio Preiti

Qual è però la condizione indispensabile di questo matrimonio? È quella di pensare all’offerta culturale come un’attrazione, dal punto di vista organizzativo e della comunicazione, né più né meno diversa da qualunque regola che s’impone per chi gestisce un’attrazione, sia essa un concerto pop o un brand della moda. L’attrazione ha il suo marketing, la sua organizzazione delle code, il suo messaggio da divulgare, il suo termometro con cui misurare l’impatto presso il pubblico. E qui c’è una rivoluzione copernicana da fare. Al centro del sistema c’è il sole dell’attrazione, che include anche la conservazione, altrimenti la domanda è conservare per chi? per cosa? senza le cui risposte si avrebbe per i beni culturali un destino di irrilevanza. Nel passato rinascimentale costruire una cattedrale (come? chi?) era un affare di popolo, di tutto il popolo, non di alcuni funzionari. Oggi il popolo è quello che il mondo mediatico e globalizzato ci consegna, non lo abbiamo scelto, semmai avessimo preferito di non sceglierlo, ma un destino che non si può cambiare bisogna abbracciarlo.

Antonio Preiti
economista

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #27

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