Il ritorno del pennello. Scrive Renato Barilli

Gillo Dorfles ci ha insegnato che il gusto è come il pendolo, va avanti e indietro senza posa. E così, dopo aver nascosto la pittura in magazzino, ora torna in mostra bella ringalluzzita. Come e perché ce lo spiega Renato Barilli.

LE TRE SEDIE DI JOSEPH KOSUTH
Sono stato a lungo un fedele sostenitore del “triangolo” predicato dallo statunitense Joseph Kosuth, il numero uno del concettuale, attraverso famosi esempi, come in particolar modo One and three chairs, in cui l’artista ci diceva che, volendo rappresentare un oggetto banale come una sedia, oggi lo si può fare ricorrendo a una foto, o alla cosa stessa presa tale e quale, o infine a una definizione linguistica rubata al vocabolario.
Escluso invece il ricorso al pennello o alla matita, dal che veniva la famosa o famigerata “morte dell’arte”, in accezione tecnica, come divieto di ricorrere alle modalità care per secoli alla nostra tradizione occidentale della tela dipinta.

IL PENNELLO PENDOLARE
Ma si sa, ce lo ha detto Dorfles, che esistono le “oscillazioni del gusto”, e dunque, dopo aver seguito con tetragona ostinazione una certa strada, si sente il bisogno di invertire la marcia e di tornare indietro. Ovvero, oggi il pennello è riammesso, magari in forme di maggiore impatto, quale potrebbe essere la bomboletta spray cara alle pratiche dei writers, o comunque alle varie soluzioni di graffitismo, muralismo, wall painting, in cui, più che noi occidentali, eccellono i rappresentanti di altre culture, che in ciò recuperano le radici di un decorativismo innato, magari alleato a forme di scrittura ideografica, assai più brillante rispetto al nostro austero alfabeto.
Però non allargherei l’apertura alla Street Art, che mi sembra ispirarsi a un figurativismo molto tradizionale e retorico.

Peter Doig, Young Lion, 2015

Peter Doig, Young Lion, 2015

PITTORI DEGNI DI NOTA
Se si hanno davvero delle valide riemersioni del ricorso al pennello, forse i risultati migliori dell’attuale Biennale sono proprio da ricercare in questa direzione: penso agli eccellenti “impiccati” di Georg Baselitz e al dialogo suggestivo con la foto intrattenuto da Marlene Dumas. Infatti, non dimentichiamolo, l’avversario, la foto, è là, non cessa di emettere il suo tenace richiamo – si pensi a un caso straordinario come quello di David LaChapelle – ma è lecito riprendere il contrappunto, o il lavorio ai fianchi quale esisteva già all’atto di nascita dell’Impressionismo.
E non ci sono solo quei due casi eccellenti: penso ad altre presenze più giovani, come Peter Doig e Chantal Joffe.

GIOVANI PROMESSE
Infine mi posso pure rivolgere agli emergenti in alcune selezioni da me condotte con l’aiuto di Guido Bartorelli e Guido Molinari, per esempio in una appena terminata Biennale Giovani, allestita tra Bologna e Rimini. Dove, come in precedenti occasioni, emergeva Alessandro Roma, con le sue raffinate tessiture per così dire intracutanee, come delicati tatuaggi della tela, non privi di improvvise fuoriuscite oggettuali. C’era un trio di ex allievi dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, Andrea Grotto, Cristiano Menchini, Adriano Valeri, intenti quasi a riscoprire gli interni di Bonnard, i quali a loro volta riacquistano fascino se confrontati con gli stenogrammi troppo ridotti di Matisse. E c’erano altri casi forse ancor più intriganti perché sostanzialmente ambigui, tra la superficie policroma e invece l’invasione ambientale, offerti da Chiara Camoni, Valerio Nicolai, Lucia Veronesi.

Chiara Camoni - Scultura #9 - 2009

Chiara Camoni – Scultura #9 – 2009

LESS IS BORING
Insomma, la scena si sta ripopolando, sta sconfiggendo la sterile pretesa, rimessa in auge dal “concettuale” allo stato puro, di rilanciare il vecchio motto caro al Movimento moderno in architettura, secondo cui “less is more”. Ora siamo pronti a capovolgere la frittata e a dichiarare, al seguito di uno dei protagonisti del postmoderno quale Bob Venturi, che “il meno è una noia”.
In questo senso l’Expo di Milano, con la sua selva di padiglioni estrosi, variopinti, ispirati alla resurrezione di tutte le radici nel folclore, nel passato, nelle memorie etniche, reca una forte sollecitazione che non dovrebbe passare invano. Il deserto dei Tartari cui la cura da cavallo del modernismo estremo aveva ridotto l’arte ora si rianima, risorgono fantasmi, vecchie larve rinascono a nuova vita.

Renato Barilli

www.renatobarilli.it

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Renato Barilli

Renato Barilli

Renato Barilli, nato nel 1935, professore emerito presso l’Università di Bologna, ha svolto una lunga carriera insegnando Fenomenologia degli stili al corso DAMS. I suoi interessi, muovendo dall’estetica, sono andati sia alla critica letteraria che alla critica d’arte. È autore…

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