L’arte di Boris Groys. L’editoriale di Michele Dantini

L’attività dei curatori è davvero posta al servizio della collettività, ha rilievo civile, è equidistante da gallerie, artisti e pubblico? In “Going Public” Boris Groys risponde di sì, e questa sua fiducia può sembrarci avventata…

CHI CREDE AGLI ARTISTI?
La figura del curatore è profondamente mutata nel corso dei decenni: in un’intervista recente, Obrist si è interrogato sull’indipendenza e la preparazione dei più giovani. Jeff Koons si è spinto oltre. “Se sei critico”, ha confidato a David Zwirner, “sei già fuori dal gioco”. Boris Groys sceglie la strategia del passo indietro rispetto all’attualità: sorvolando su ciò che è, si interroga sulle condizioni di possibilità di ciò che potrebbe essere.
Che fare dunque per “divenire pubblici”, cioè per considerare l’arte da punti di vista che siano di interesse generale? Non è facile rispondere. Groys ha ragione quando osserva che solo una piccola parte dei visitatori di mostre, musei e fiere si propongono di diventare collezionisti. Record in asta o movimenti di mercato non dovrebbero dunque costituire il nostro interesse principale. Sopravvaluta tuttavia l’importanza delle “poetiche”, di quanto cioè gli artisti stessi dichiarano a proposito delle proprie intenzioni: gli “egocumenti” possono contenere elementi di opacità.

Jeff Koons al Museo Guggenheim di Bilbao

Jeff Koons al Museo Guggenheim di Bilbao

FIDARSI DEGLI OCCHI
Groys riconosce il problema quando scrive che l’atteggiamento prevalente è oggi di incredulità e sospetto. Non crediamo al discorso secondario, che per lo più è marketing: articoli, recensioni, interviste, videointerviste, comunicati stampa. Ed è raro che la “scrittura curatoriale” riesca a produrre conoscenze intelligibili.
Dunque: dove cercare buoni criteri e trovare appoggio? Dovremmo a mio avviso confidare nella nostra esperienza visiva (collaudata e messa alla prova da selezionate letture, certo) più che nell’irresponsabile flusso di parole circostante. “Decisamente non abbiamo bisogno di assimilare l’arte al pensiero né (ancor meno) alla cultura”, scriveva Susan Sontag nel 1966 in Against Interpretation. “È invece importante ritrovare i sensi. Dobbiamo imparare a vedere di più, ascoltare di più, sentire di più”.

Boris Groys, Going Public

Boris Groys, Going Public

LA POTENZA DELLE IMMAGINI
Buone conoscenze di storia dell’arte rimangono a mio avviso un requisito importante. È sotto questo profilo che l’insistenza di Groys sulle “poetiche” appare meno convincente. In assenza di un’estesa familiarità con le opere e di una connoisseurship coltivata negli anni, le nostre affermazioni rischiano di rivelarsi un’inerte parafrasi di luoghi comuni sociologici o storico-culturali.
Nel rinunciare agli strumenti della descrizione per privilegiare manifesti e dichiarazioni di intenti, Groys accredita versioni ufficiali della tradizione modernista e depotenzia le immagini, distruggendone la potenziale eresia. Priva così il lettore della possibilità di sottoporre autonomamente a verifica, sulla base della propria esperienza diretta, la giustezza o fallacia dell’interpretazione proposta.

Michele Dantini
docente universitario, critico e scrittore

Boris Groys – Going Public
Postmedia, Milano 2013
Pagg. 112, € 14
ISBN 9788874900954
www.postmediabooks.it

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #24

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Michele Dantini

Michele Dantini

Storico dell’arte contemporanea, critico e saggista, Michele Dantini insegna all’Università del Piemonte orientale ed è visiting professor presso università nazionali e internazionali. Laureatosi e perfezionatosi (Ph.D.) in storia della filosofia e storia dell'arte presso la Scuola Normale Superiore di Pisa;…

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