Rebel, rebel (and established). Su Expo e i disordini

Avete ancora negli occhi le immagini della manifestazione NoExpo a Milano, con i black bloc che si accaniscono su banche e agenzie interinali? Qui trovate una riflessione di Marco Senaldi che fa al caso vostro. E dire che l’abbiamo pubblicata su Artribune Magazine diverse settimane prima…

Da un lato, in modo epidemico e imprevedibile, un po’ dovunque insorgono rivolte urbane e suburbane, manifestazioni di protesta, guerriglie metropolitane. Dall’altro, in forma endemica, con regolare e ineluttabile scadenza, si continuano a organizzare le grandi kermesse internazionali. Da un lato, quasi seguendo le strane parabole di un equilibrio punteggiato, ecco manifestarsi i “disordini” (come li battezza la grancassa mediatica). Dall’altro, con una eroica fedeltà a un calendario che come minimo si potrebbe definire desueto, ecco gli imperdibili appuntamenti con il “nuovo ordine” mondiale. Da un lato, le forme di protesta sembrano nascere spontaneamente in reazione alla violazione di sacrosanti diritti. Dall’altro, pare impossibile rinunciare ai meeting milionari, che dovrebbero servire a rilanciare città in crisi o interi Stati in decadenza, ad aprire nuovi fronti mercantili, o anche a divenire crogiuolo di incontri interculturali in cui cominciare a progettare insieme il futuro planetario.

NoExpo - fonte Ansa

NoExpo – fonte Ansa

Comunque stiano le cose, nulla di più diverso, almeno se ci si ferma alle apparenze visive, tra queste due serie di eventi: i primi effettivamente si presentano in modo caotico, sono sprovvisti di una narrativa consistente e possono essere al massimo testimoniati da immagini frammentarie, o riprese “a mano”, dal basso, nel cuore delle agitazioni, quindi senza una logica che le renda leggibili. Le grandi manifestazioni globali, invece, dai Mondiali di calcio ai megasummit, dalle Olimpiadi fino a Expo, sono continuamente rilanciate dalla “copertura” mediatica, ma restano altrettanto indescrivibili appunto perché “coperte” (nomen omen), cioè offuscate dalla stessa sovrabbondanza di segni, messaggi, discorsi che dovrebbero descriverle, dalla cronaca live all’immancabile sigletta, con tanto di logo animato dell’ennesima mascotte.
Tuttavia, se c’è una lezione da trarre, sia pure a distanza di anni, da Genova 2001 (come del resto da Brésil 2014) è proprio questa: che queste due visioni non appartengono a due mondi diversi, incomunicabili e inconciliabili, e nemmeno a logiche discorsive che “raccontano” la nostra complessa realtà da due fronti contrapposti. Piuttosto, bisognerebbe dire che queste logiche si presuppongono a vicenda: se non c’è grande kermesse che non si tiri dietro le sue proteste, è anche vero che non ci sono proteste che non facciano appello contro qualche Grande Evento.

NoExpo - fonte La Stampa

NoExpo – fonte La Stampa

E se dovessimo iniziare a considerare queste due serie come le facce della stessa medaglia, anziché continuare a pensarle nella loro separatezza? E se questa stessa unità costituisse la “terza narrazione”, quella vera, capace di “comprendere” entrambi i fenomeni? Non è esattamente questo ciò che accade quando, cercando in Rete il video di una qualche manifestazione, possiamo finalmente vederlo, solo però “assalito” dal banner pubblicitario di Expo 2015, che assume così un senso imprevisto?
E non era forse a questo che pensava quel genio di Guy Debord (di cui è recentemente uscita presso postmediabooks la bizzarra e sconcertante autobiografia, Questa cattiva reputazione) quando – montando nei suoi film scene delle proteste di piazza, insieme a frammenti di parate militari o cerimonie civili – parlava di “critica della separazione”?

Marco Senaldi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #24

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Marco Senaldi

Marco Senaldi

Marco Senaldi, PhD, filosofo, curatore e teorico d’arte contemporanea, ha insegnato in varie istituzioni accademiche tra cui Università di Milano Bicocca, IULM di Milano, FMAV di Modena. È docente di Teoria e metodo dei Media presso Accademia di Brera, Milano…

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