Opificio San Leucio. Arriva lo sfratto per la fabbrica della seta

Nell’epoca di hub, lab e start up chiudiamo gli opifici. È sotto sfratto l'ultima sartoria della fabbrica della seta di San Leucio. Una storia iniziata nel 1750 nel nostro Sud all'avanguardia. E che finirà il 3 marzo.

Il 3 marzo è fra poco, non si fa in tempo a chiamare un esercito di artisti capaci di costruire una barricata intorno all’Antico Opificio di San Leucio per fermare l’arrivo del solito imprenditore edile armato di ordinanza di sfratto esecutivo. Sarebbe bello che succedesse come al MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz: anche qui ci sono famiglie che perderanno tutto, non sono occupanti ma artigiani. Gli artisti potrebbero usare le sete, i lampassi, gli jaquard per sostenere con le loro opere un luogo destinato a chiudere una produzione comunque artistica. Rotoli e montagne di tessuto preziosissimo a disposizione.
L’Opificio Serico di San Leucio è l’ultima delle seterie borboniche del XVIII secolo. Nasce quando, dopo aver acquisito lo Stato di Caserta nel 1770, Carlo di Borbone costruisce case e chiesa a San Leucio dando inizio a quella Fabbrica della Seta che rappresenterà un modello unico in Europa, un luogo di produzione all’avanguardia dove la vita degli artigiani/abitanti era regolata da un codice e un regolamento interno. Le case avevano l’acqua corrente, c’era l’assistenza sanitaria e la scuola per i bambini…
Una pagina della storia italiana che rimette nella giusta luce la grande forza di un Sud illuminato capace di usare le macchine torinesi per tirare fuori la seta dai bozzoli e competere con le grandi produzioni francesi. Quei francesi che dopo cento anni, nel 1850, avrebbero potuto contare già sui grandi magazzini dove vendere i loro prodotti e che nelle loro manifatture avevano decine di designer, li mandavano al Louvre a copiare le immagini da riprodurre sui tessuti, mentre a San Leucio solo tre figli di coloni diventarono disegnatori: Aniello e Bartolomeo Pane e Agostino Cumillion. Quando nel 1870 la Fabbrica chiuse rimasero le famiglie a lavorare: i Cicala, gli Alois e gli ultimi De Negri, a cui è stato imposto lo sgombero il 3 marzo prossimo.

Antico Opificio di San Leucio

Antico Opificio di San Leucio

L’Opificio è un raro insediamento di storia industriale, uno di quei siti denominati come mete di turismo culturale che, rimanendo attivo in una formula contemporanea, aumenta il bacino di visitatori del tradizionale Museo del Tessuto di San Leucio.
Non aspiriamo a fenomeni di rilancio come quello del ricamificio storico Lesage o della Richard Ginori (entrambe ad opera di francesi) ma non capiamo perché l’Italia si confermi sempre di più il Paese incapace di reinventare e gestire il proprio patrimonio. In quel famoso binomio cultura-turismo che sembra l’unico percorso valido per uscire dalla crisi, sapendo che il turismo culturale impiega quasi il doppio di occupati di quello ludico e ricreativo e rappresenta il doppio del Pil (10% contro 5%), quale forma di autolesionismo porta a svendere luoghi come questo? La risposta c’è e sta nella mancanza di progettazione adeguata per la riconversione, la gestione e la cura dei servizi per garantirne la fruibilità.
Allora meglio non avere problemi da risolvere, meglio teorizzare strani sistemi ma non percorrerli, come il rapporto fra pubblico e privato e il sostegno a realtà storiche e di prestigio. Si chiude un’attività che rendeva ancora vitale un luogo fondamentale per la nostra cultura, che serviva a un territorio meraviglioso ma architettonicamente sfruttato come la Campania e che dava lavoro a quindici operai manufatturieri.

Clara Tosi Pamphili

www.aos.it

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Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili

Clara Tosi Pamphili si laurea in Architettura a Roma nel 1987 con Giorgio Muratore con una tesi in Storia delle Arti Industriali. Storica della moda e del costume, ha curato mostre italiane e internazionali, cataloghi e pubblicazioni. Ideatrice e curatrice…

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