Bristol, Arnolfini e la provincia “underground”. Intervista con Kate Brindley

Arnolfini è lo storico centro d’arte contemporanea di Bristol, fondato nel 1961 e situato oggi nel suggestivo contesto dell’Harbourside. Ma i venti di crisi hanno soffiato anche su questa istituzione. A poco più di un mese dalla sua conferma nel ruolo di direttore, abbiamo incontrato Kate Brindley per farci raccontare il suo programma di rinnovamento, ma anche il rapporto di Arnolfini con il vibrante contesto cittadino, e la sua collocazione nel sistema dell’arte e della cultura inglese.

La tua recente conferma a direttore di Arnolfini, dopo l’esperienza presso il Middlesbrough Institute of Modern Art, suggella un legame mai spezzato con la città di Bristol. Ma per conoscere meglio Kate Brindley, ci puoi raccontare lo sviluppo del tuo percorso professionale, quali sono gli interessi critici e teorici che lo hanno guidato, e cosa rappresenta questa nomina per te?
Ho lavorato in musei e gallerie per circa venticinque anni, e sono stata soprattutto guidata dall’idea del curatore come “facilitatore”, come interfaccia tra l’opera d’arte e il pubblico. Si tratta di dare vita alla conoscenza, di far nascere le esperienze. Quindi sono stata direttore di varie istituzioni nel Regno Unito, interpretando questo ruolo in contesti molto diversi: con le collezioni o anche senza, come in questo caso specifico. Arnolfini è una nuova sfida per me, perché non ho mai lavorato in un modo così multidisciplinare. Sono già stata a Bristol per cinque anni, dove ho guidato il Museum & Art Gallery, con un vero e proprio mix di collezioni storiche e contemporanee. Un ruolo molto diverso da quello attuale, che mi ha permesso tuttavia di costruire una profonda conoscenza della città, della sua storia, come anche del pubblico contemporaneo. Così, quando mi è stato offerto questo ruolo ad Arnolfini, l’ho visto come una buona occasione per tornare, sfruttando ciò che avevo imparato durante la mia esperienza precedente, ma in un ruolo completamente diverso.

Ti sei presentata alla direzione di Arnolfini con un “programma di rinnovamento” molto sintetico e risoluto, che sottolinea in particolare l’importanza della sostenibilità. Considerando che questo è anche uno dei più grandi problemi con cui le istituzioni culturali italiane si devono confrontare al giorno d’oggi, quali sono le ricette che suggerisci per superare la crisi qui in Inghilterra?
Le strutture culturali del Regno Unito si stanno confrontando con i tagli dei finanziamenti al settore pubblico, a partire da quelli del 2008. Questo significa, quindi, che non puoi semplicemente scorporare i costi, senza prima aver riadattato completamente la tua attività. Di qui la questione del rinnovamento, che consiste nel trasformare un’istituzione all’interno di un panorama di finanziamenti completamente diverso. Quando i fondi erano un problema minore, le organizzazioni artistiche erano in grado di sviluppare molti dei propri prodotti culturali in autonomia, mentre ora dobbiamo fare più attenzione a come poter lavorare assieme ad altri, a come gestire spese condivise, essendo più efficienti in quel che facciamo, anche bilanciando le attività commerciali con la produzione artistica.

Kate Brindley © Max McClure

Kate Brindley © Max McClure

Tutto questo come inciderà sulla struttura interna di Arnolfini?
Dovremo ripensare molti aspetti. Da come si programma a come si utilizzano gli spazi, da come esaminiamo i costi condivisi a come cerchiamo di rendere il massimo della nostra capacità commerciale. Questo include anche affittare gli spazi: una cosa che facevamo già prima, per esempio ospitando matrimoni, ma ora c’è una maggiore necessità finanziaria! E penso riguardi anche la creazione di un’organizzazione più piccola e snella, con meno personale e meno spese. Ciò significa che si dovrà produrre in modo diverso. Ma anche che l’organizzazione dovrà ridurre il proprio organico.

Non è una buona notizia…
Sì, ma è semplicemente una realtà! La situazione attuale rende necessarie organizzazioni molto più piccole e snelle. E ciò non significa che non potremo ancora produrre delle attività preziose, ma potremmo non essere più in grado di fare tutto da soli. Quindi dovremo commissionare, utilizzare diverse fonti di denaro. E dobbiamo anche cercare di utilizzare i volontari in modo più proattivo. Questa non è una novità nel settore culturale: questo paese ha una quantità enorme di attività volunteer-run. Il che può essere un rischio, ma è anche una necessità. Qui ad Arnolfini abbiamo trenta membri del personale che sono pagati, e una sessantina di volontari: lavorano in turni su base occasionale, soprattutto con il pubblico, facilitando l’accesso alle gallerie, ma anche in laboratori e attività didattiche.

Willem de Rooij, Index Riots, Protest, Mourning and Commemoration (as represented in newspapers, January 2000- July 2002) installation view 1. Photo Max McClure 2014

Willem de Rooij, Index Riots, Protest, Mourning and Commemoration (as represented in newspapers, January 2000- July 2002) installation view 1. Photo Max McClure 2014

Un’altra parola chiave del tuo programma è “partnership”: quali sono quelle più importanti già attivate, e, più in generale, come si presenta l’area di Bristol per questo tipo di iniziative?
Abbiamo alcune partnership molto consolidate in città, come ad esempio In Between Time, un festival di live arts. Bristol è una vera e propria “festival city”, con una scena creativa molto attiva. Nel caso di In Between Time Festival, co-commissioniamo il lavoro di un artista che è di interesse per entrambi. Abbiamo anche una nuova partnership con il National Trust: per l’ultima mostra che abbiamo ospitato, The Promise, abbiamo lavorato in una commissione congiunta a Leigh Woods, un bosco proprio ai margini di Bristol. Parte della ragione per cui l’abbiamo fatto riguardava lo sviluppo di un nuovo pubblico, perché il National Trust aveva un particolare interesse per il nostro. Poi abbiamo una partnership nazionale con la Tate, in termini di mostre e di scambio di competenze, e stiamo anche lavorando in collaborazione con il Museum & Art Gallery su una collezione d’arte contemporanea per la città, che verrà mostrata ad Arnolfini (almeno in parte) nel 2016. Recentemente abbiamo iniziato una nuova partnership con il teatro di Bristol, l’Old Vic. Saranno in residenza da noi, nel 2016, perché chiuderanno i loro studi per lavori di ristrutturazione. Ci aiuteremo a vicenda, insomma, cercando anche di sviluppare il nostro pubblico, perché faremo alcune produzioni assieme. Un’altra organizzazione con cui stiamo iniziando a lavorare molto è la University of West England: questo è un nuovo importante sviluppo per noi, e vogliamo che sia molto di più di una partnership strategica, perché abbiamo interessi comuni nell’educazione all’arte contemporanea.

Arnolfini ospita attualmente le mostre di Josephine Pryde e Willem de Rooij, a seguito di un grande progetto dedicato alla città di Bristol. Ma il programma prevede anche una serie di proiezioni, spettacoli e incontri, ed eventi sparsi in tutta la città. Quali sono i principi che guidano la programmazione, e come si rapportano con la specifica identità della città?
Il rapporto con la città è una parte importante del programma, direi che è il tema chiave. E The Promise era un progetto molto ambizioso, elaborato assieme a molti partner, in diversi luoghi pubblici: è un tipo di lavoro che ci piace molto fare, ma non possiamo farlo sempre! In termini di struttura curatoriale, stiamo cercando di svilupparci lungo tre tematiche: una è il lavoro con artisti celebri, quindi l’anno prossimo faremo una grande mostra di Richard Long, con un progetto esterno in un luogo chiamato The Downs. Ma avremo anche le sue opere storiche, alcune delle quali hanno un collegamento diretto con questa zona. Poi abbiamo un tema chiamato “rediscover”, con cui riportiamo l’attenzione su un artista che ha abbandonato la ribalta. E infine abbiamo il tema “emergent”, con nuovi artisti in una prospettiva globale. E vogliamo usare di più il nostro archivio: perché Arnolfini ha iniziato 54 anni fa, quindi ha davvero un ricco archivio, relativo non soltanto a Bristol. Attualmente stiamo pensando a delle mostre per rivisitarlo, con artisti che potrebbero farne uso. E stiamo progettando di renderlo sempre più disponibile per il pubblico, attraverso il nostro sito.

Josephine Pryde, These Are Just Things I Say, They Are Not My Opinions. Arnolfini installation view 1. Photo Stuart Whipps 2014

Josephine Pryde, These Are Just Things I Say, They Are Not My Opinions. Arnolfini installation view 1. Photo Stuart Whipps 2014

Arnolfini è anche uno dei principali sostenitori della Bristol Biennial, un festival ancora giovane che ha raggiunto la sua seconda edizione lo scorso settembre. Ma in parallelo con il consolidamento di questa nuova realtà, l’anno 2014 ha visto anche la temporanea interruzione di Upfest, il celebre Festival della Urban Art di Bristol. Quale “stato di salute” si percepisce negli ambienti artistici più giovani e più “underground” della città, e come Arnolfini si rapporta con loro?
Sostenere i progetti più giovani è una cosa molto importante per Arnolfini: possiamo dargli uno spazio, la nostra esperienza o il nostro supporto. E siccome Arnolfini ha dei legami storici con la cultura underground, io penso che sia importante non dimenticarli, per guardare al futuro. Essere parte della città, sostenerla e rifletterne la cultura è un aspetto fondamentale della nostra personalità. Quindi sono entusiasta di avere l’opportunità di farlo, in ogni modo possibile! Così, per esempio, gli organizzatori di Upfest mi hanno contattata per lavorare insieme a un progetto l’anno prossimo. Perché il 2015 è il trentesimo anniversario della prima mostra di graffiti ad Arnolfini, una mostra che ebbe come protagonisti alcuni tra i più celebri street artists di oggi. È un modo per mantenere vivo un legame forte, ed è anche l’occasione per dire qualcosa alla città sul ruolo che Arnolfini aveva, e ha tuttora. Perché non si tratta solo di arti “alte” ed establishment: noi stiamo sostenendo anche le radici locali. Dobbiamo essere parte del tessuto della città, il che ci riporta di nuovo alla questione della sostenibilità: perché se la gente del posto smette di usarti, o pensa che non sei più rilevante, allora non esisterai più.

Ma questo ci riporta anche al problema dell’identità della vostra organizzazione. Arnolfini non corre il rischio di diventare una realtà troppo “di provincia”?
Ogni volta si tratta di questo equilibrio, tra la rilevanza locale e l’ambizione globale. E penso che molte organizzazioni hanno a che fare con questo, soprattutto quando ci si trova in una città “di provincia”. Nel Regno Unito, Londra è dominante sotto ogni aspetto. Ma anche, sempre di più, città come Bristol sono viste come un luogo alternativo dove vivere. Abbiamo un forte settore culturale, con industrie creative che si stanno trasferendo qui, e due ottime università. Quindi per noi è importante essere parte attiva di questo tessuto culturale, che ha il potere di attrarre nuove persone.

Simone Rebora

Briston // fino al 22 febbraio 2015
Josephine Pryde – These Are Just Things I Say, They Are Not My Opinions
Briston // fino all’8 febbraio 2015
Willem de Rooij
ARNOLFINI
16 Narrow Quay
+44 (0)117 9172300
[email protected]
www.arnolfini.org.uk

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Simone Rebora

Simone Rebora

Laureatosi in Ingegneria Elettronica dopo una gioventù di stenti, Simone capisce che non è questa la sua strada: lascia Torino e si dedica con passione allo studio della letteratura. Novello bohémien, s’iscrive così alla Facoltà di Lettere a Firenze, si…

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