Imago Mundi. Parla il suo creatore: Luciano Benetton

Una mostra ad ampio respiro: raccogliere e catalogare le opere e l’arte del mondo, dall’Africa all’Asia, passando dal Sudamerica. Lo sguardo di 2mila artisti impresso in piccole tele 10x12. Un grande puzzle chiamato Imago Mundi.

Dopo quarantasette anni alla guida del suo impero economico, Luciano Benetton ha deciso di lasciare il testimone al figlio Alessandro. Più tempo per sé e per nuovi progetti: come Imago Mundi. Un gigantesco contenitore che da cinque anni a questa parte raccoglie, convoglia e cataloga l’arte di mezzo mondo. Una mostra itinerante con più di 2mila artisti diversi e che arriverà, nel 2015, a contare cento collezioni di altrettanti Paesi dai quattro angoli della terra. Per capire come tutto ciò è nato e si regge in piedi, siamo andati in provincia di Treviso, dove Luciano Benetton, all’interno della splendida cornice di Fabrica (la villa, restaurata da Tadao Ando, ora centro di ricerca sulla comunicazione del Gruppo Benetton), ci ha raccontato come tutto inizia: da una piccola tela bianca 10×12.

Dopo aver lasciato gli incarichi operativi in azienda, ha avuto tempo e modo di dedicarsi ad altro, come la creazione di Imago Mundi: com’è nata e perché?
Non c’è una sola risposta a questa domanda. Una è sicuramente legata alla storia dei miei viaggi, alla curiosità e alla voglia di dare qualcosa in più. Imago Mundi, quindi, è anche il frutto di relazioni e conoscenze di quei viaggi, con la differenza di voler raccontare a un pubblico più vasto, attraverso l’opera di diversi artisti, quelle che sono terre lontane, storie d’amore e di sofferenza, popoli poco conosciuti e situazioni ancora troppo anonime.
Un’altra risposta è legata alla voglia di raccogliere, nel numero più ampio possibile, l’arte del mondo. L’idea è nata scoprendo lo straordinario lavoro di catalogazione delle piante di Linneo, il primo botanico ad aver dato vita a una nomenclatura delle piante esistenti. Ecco, Imago Mundi ha, in parte, la stessa ambizione.

Quindi Imago Mundi è una grande mappatura di opere e artisti che raccontano la loro terra d’appartenenza…
Diciamo che, sì, attraverso l’arte che questi artisti esprimono ci arriva anche una sorta di racconto delle loro vite e dei loro paesi. Nella mostra romana al Museo Bilotti [inaugurerà il 19 novembre, N.d.R.] saranno esposte più di 2mila opere di altrettanti artisti provenienti da sedici Paesi africani, per un totale di tredici collezioni; ognuna delle quali ha un proprio catalogo bilingue più l’idioma della nazione di provenienza. E l’ingresso è gratuito.

E per quanto riguarda gli artisti? Come sono scelti?
In ogni nazione ci affidiamo a un curatore che è sempre un professionista dell’arte: critici, giornalisti, collezionisti e direttori di musei. Questi, nella più totale libertà, selezionano gli artisti, per lo più giovani, talentosi e sconosciuti. A questi ultimi è chiesto di realizzare, gratuitamente, un’opera 10×12: una sorta di cartolina, un pezzo di un puzzle molto più grande. Quando tutte le opere di quella determinata nazione sono esposte, si riesce ad avere una sorta di tratto distintivo della loro personalità artistica e in molti casi anche una fotografia degli usi e costumi dei loro Paesi.

Fabrica, foto di Francesco Radino

Fabrica, foto di Francesco Radino

E in che termini c’è il guadagno per l’artista?
Diciamo subito che Imago Mundi non è un’operazione commerciale: le opere, infatti, non sono in vendita.  Agli artisti diamo la possibilità di esporre a livello internazionale e di stringere contatti. La piattaforma web che abbiamo realizzato e che cresce rapidamente, ad esempio,  va intesa come una sorte di ponte che può avvicinare le realtà artistiche più diverse. Così nascono nuove relazioni e possibilità, che vanno a vantaggio degli artisti. In più, grazie alle mostre che Imago Mundi promuove, gli artisti possono accrescere di curriculum e di visibilità.

In un’intervista lei ha detto che “l’arte può fare ciò che l’economia e la politica non possono”: può farci qualche esempio legato a Imago Mundi?
Sono convinto che, se dipendesse dagli artisti, non esisterebbero le guerre. Prendiamo ad esempio la Corea del Nord: è un Paese politicamente chiuso che non vuole contatti esterni, eppure siamo riusciti a stabilire una relazione con i loro artisti, che hanno accettato di partecipare a questo progetto internazionale.

Possiamo dire che Imago Mundi è la versione italiana di quella che fu tra le più innovative mostre di fine Anni Ottanta, Magiciens de la Terre?
Magiciens de la Terre è stata una mostra geniale e innovativa. In Italia non sarebbe stata possibile all’epoca, era la Francia ad avere una storica penetrazione in Africa. E sì, Imago Mundi viaggia sulla stessa lunghezza d’onda, ma siamo alla ricerca di una nostra identità: per ora vogliamo confrontarci con la maggior parte possibile delle realtà artistiche, in modo democratico, senza graduatorie o classifiche.

Allora le pongo la stessa domanda che il critico d’arte francese Pierre Gaudibert si fece dopo aver visto Magiciens de la Terre: “È necessario che sia il cosiddetto Occidente a promuovere l’arte africana? Non possono farlo da soli?
Sicuramente, in primis credo siano loro che debbano darsi da fare, ma noi possiamo aiutarli. Abbiamo un debito morale verso questi Paesi. Imago Mundi ad esempio, attraverso la Biennale di Dakar, ha voluto dare visibilità, anche a casa loro, a giovani artisti che hanno esposto con maestri famosi, un’opportunità che altrimenti non avrebbero avuto. Qual è la possibilità? Allacciare poi, attraverso esposizioni internazionali e la piattaforma web, come dicevo, un legame professionale oltre i confini della loro nazione. E tutto parte da queste opere 10×12.

Khanyisile Mbongwa

Khanyisile Mbongwa

Invece per il fruitore, Imago Mundi ha lo scopo di sensibilizzare e far conoscere? Una mostra socio-antropologica…
Anche: ciò che Imago Mundi rappresenta è solo una minima parte di ciò che esiste e di ciò che, forse, mai entrerà nel nostro campo visivo. La forza di questa esposizione sta nella totalità: chi guarda queste opere può avere, almeno in parte, una visione di quella realtà, sicuramente meno chiara di una fotografia, ma pur sempre carica d’intensità e verità.

Lei è, prima di tutto, un uomo d’affari: come si mantiene economicamente Imago Mundi?
Il progetto, che va dagli uffici al personale, dall’organizzazione per selezionare e raggiungere gli artisti, dalle spedizione delle tele  alle attività per le mostre e le pubbliche relazioni, è totalmente finanziato da me personalmente. Gli introiti sono pari a zero, anche perché non esistono biglietti d’ingresso. Dono il tutto alla mia Fondazione così da coprire anche i costi futuri. Siamo in grande espansione.

Espansione? Quanto cresce Imago Mundi?
Ciò che abbiamo fatto in cinque anni, dalla nascita a oggi, si raddoppierà in un solo anno: nel 2015 arriveremo a cento cataloghi e quindi a cento singole collezioni. Nel 2016, invece, passeremo dai 16mila artisti coinvolti nel 2015 a 22mila circa. Un puzzle gigantesco.

Paolo Marella

www.imagomundiart.com

 

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Paolo Marella

Paolo Marella

Barese, classe 1987, trapiantato maldestramente a Venezia. Laureando in Economia e Gestione dei Beni Culturali all'Università Ca' Foscari, coltiva da anni una forte passione per l'arte e la scrittura. Gli piace il mondo della comunicazione: quest'anno ha lavorato nell'ufficio stampa…

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