Gabriella Belli, una donna del fare a Venezia

A quasi tre anni dalla nomina a direttore della Fondazione Musei Civici di Venezia, Gabriella Belli tira le somme provvisorie di un lavoro, ancora tutto in fieri, che si augura possa dare risultati permanenti. In un rimando costante tra Venezia e il mondo, tra museografia e contemporaneità, tra la concretezza del fare e la sfida dei sogni ancora da realizzare, ecco il frutto di un’intensa chiacchierata con una professionista dell’arte.

La Collezione Sonnabend ha dato nuovo impulso al patrimonio di Ca’ Pesaro, eccellenza museale da sempre attenta alle logiche del collezionismo. Cosa significa mettere in mostra a Venezia, oggi per la seconda volta, una contemporaneità così complessa come quella della Collezione Sonnabend?
La Collezione Sonnabend è sempre stata abbastanza nomade, distribuita in alcuni musei europei e americani sia su richiesta dei singoli direttori, sia per volere della stessa Ileana Sonnabend, vera e propria talent scout lontana dalla figura del mercante orientato al guadagno. Quando lei è mancata, il patrimonio è stato riunito in una Fondazione, ancora in parte dispersa. Al mio arrivo a Venezia, dopo l’esperienza al Mart, museo nato grazie al rapporto col collezionismo privato, ho pensato che, nel panorama complessivo di questa città, mancasse il capitolo dei secondi Anni Cinquanta. Mi sono chiesta quale collezione avrebbe potuto incrementare quella di Ca’ Pesaro, anch’essa interrotta negli Anni Sessanta, e avere un senso per la città.
Ho pensato alla Collezione Sonnabend, a me più vicina e familiare, ritenendola un tassello prezioso per le esigenze espositive di Ca’ Pesaro, con spazi più ridotti in confronto a quelli del Mart e dunque con necessità di ricambio e dinamismo, e per creare una continuità di spirito, poiché gli artisti che la compongono sono tutti passati per la Biennale di Venezia. Anche gli eredi di Ileana condividono questa logica di dinamismo, credendo che non ci sia nulla di più provvisorio del permanente, dunque l’intenzione di raccontare la storia di Ileana ci consentirà di avere le opere in storage o di farle girare e di chiudere il cerchio sul Novecento internazionale di Ca’ Pesaro.

Ha accennato più volte al suo trascorso a Rovereto: quali sono le differenze con Venezia, oltre a quelle nominate?  E come si è evoluta la sua esperienza di direttore dei Civici veneziani in questi anni?
Io sono una donna del fare. Come museografa, Venezia mi ha aperto un mondo meraviglioso dove, dopo Rovereto, sono ripartita da zero. A differenza del Mart, che è nato con me, qui io mi trovo su un cammino tracciato da tanti anni, ma su cui ho potuto agire. Mi è piaciuto intervenire su Ca’ Pesaro per raccontare una storia diversa da quella mostrata in precedenza, e mettere in scena Palazzo Mocenigo. E poi c’è il Museo Correr, con il quale vorrei concludere il mio ciclo veneziano, magari sulla scia dell’intuizione del mio predecessore rispetto al “Grande Correr”.
Stilando un programma di mostre temporanee, sono stata felice di portare a Venezia un approccio dinamico al museo e alla logica del collezionismo. Il museo deve avere il coraggio di spostare capolavori o prestarli. Anche i quadri vivono della loro storia e delle relazioni con altre opere. Nel museo, credo che il cambiamento della collezione faccia bene anche al visitatore, come a Rovereto, dove la gente veniva a prescindere da cosa fosse esposto perché aveva sempre trovato cose interessanti. Il mio obiettivo, a Venezia, è far capire, soprattutto ai veneziani, cui appartengono questi musei, che la Fondazione, fatta di undici musei più uno, è un unicum. La Fondazione deve essere considerata un servizio alla città, di cui conserva bene il patrimonio, dandogli vita.

Quindi la logica del fare potrebbe essere un antidoto al clima zoppicante sul piano politico ed economico, a Venezia e a livello nazionale?
La mia vita personale mi ha insegnato che bisogna dimostrare di saper fare per guadagnare ogni giorno uno scalino. E la reputazione, la credibilità, devi conquistartele. Oggi la situazione in Italia richiede attenzione perché il nostro patrimonio culturale è enorme, e conservarlo è il compito prioritario. Servirebbe un piano quinquennale per far rinascere i musei, ridando servizi. Ciò che manca in Italia, rispetto ai musei stranieri, sono i servizi. Siamo indietro sulla didattica, sebbene oggi esista in quasi tutti i musei, e sui servizi al pubblico come la biblioteca, la libreria, la ristorazione.

Gabriella Belli

Gabriella Belli

Dare impulso a questi servizi potrebbe generare occupazione in un momento difficile per l’impiego nella cultura. I Civici hanno un piano in merito?
Certo, credo siamo stati gli unici ad aver assunto due persone quest’anno. I Civici devono rafforzare un ambito scientifico ancora fragile. E sono una struttura che avrà bisogno di ricambio, perché alcune figure professionali stanno raggiungendo il massimo numero di anni di lavoro.
Nei musei, e in molti altri ambiti, in Italia è saltata la generazione dei quarantacinque-cinquantenni. La legge Fornero ha bloccato un ricambio generazionale e avrà tutti i suoi vantaggi dal punto di vista della spending review ma, a livello di strutture, ha bloccato l’ingresso di giovani e meno giovani. I sessantenni, che stavano per andare in pensione, sono stati bloccati fino ai 67 anni, dunque è più facile che entrino i trentacinque-quarantenni nelle nostre strutture. Io sento la responsabilità morale di immaginarmi una Fondazione che abbia, nei prossimi cinque anni, la possibilità di un ricambio generazionale non serrato ma preceduto da un affiancamento necessario. La strategia della crescita sarà fondamentale.

Riportando il discorso su un campo prettamente economico, come vede la presenza di così tanti privati in Laguna, in ambito culturale?
A Venezia l’offerta culturale è curiosamente varia e io vivo la presenza dei privati come un’opportunità. La competizione è un bell’incentivo per le istituzioni pubbliche. Qui in città per me è stimolante avere un competitor forte come Guggenheim, che considero un grande modello.
In Italia, a differenza degli Stati Uniti, dove i mecenati hanno investito su strutture già esistenti, le istituzioni pubbliche non hanno meritato, per via delle burocrazie e di una generale diffidenza, l’attenzione del privato. Il caso delle difficoltà incontrate da Della Valle nel restauro del Colosseo è emblematico. Di fronte a un atteggiamento così respingente, i privati hanno scelto di costruire spazi da gestirsi in autonomia.
Ci sono splendidi collezionisti come Prada o Pinault che amano davvero l’arte, quindi capisco che sentano l’esigenza di costruire qualcosa per l’arte, che è poi di fruizione pubblica. Se dieci anni fa lo Stato fosse stato pronto a collaborare, oggi avremmo dei privati partner della crescita di un’istituzione pubblica.

Ci saranno occasioni, nella futura programmazione dei Civici, anche per gli artisti più giovani?
Io non posso mancare l’appuntamento con il contemporaneo. L’esperienza del MuVe contemporaneo, realizzata durante la scorsa Biennale, verrà ripetuta. È giusto offrire spazi e opportunità al talento, anche giovane. Io ho il sogno che la Fondazione Musei Civici prima o poi abbia anche il Museo del XXI secolo, magari in uno spazio storico, ma che sia totalmente dedicato. Anche la città avrebbe diritto ad avere il suo contemporaneo, non solo le proposte, pur interessanti, degli altri, e non soltanto nei sei mesi della Biennale, che resta comunque una risorsa incredibile.

Museo Correr

Museo Correr

In questa logica di rinnovamento, la Fondazione utilizza i social network e le nuove tecnologie come mezzi di promozione?
È un tema all’ordine del giorno, infatti è entrata nel nostro staff una persona che si dedicherà al web. Questi strumenti sono funzionali a rendere il più possibile globale la conoscenza del patrimonio museale. Anche se non credo che il web possa sostituire l’esperienza fisica e unica del museo, penso vada rafforzato. Il problema è riuscire a essere un soggetto che forma attraverso il web e i social network, creando uno scambio intellettuale vero e non un semplice divertissement.

Questi potrebbero anche essere mezzi, per le pubbliche istituzioni culturali, grazie ai quali intessere rapporti con le altre istituzioni. Aspetto piuttosto sottovalutato in Italia…
Assolutamente sì. La Fondazione ha avviato questo processo, ma siamo ancora molto giovani. Certo, rispetto agli stranieri siamo indietro. Ma l’importante è essere in movimento.

 

Arianna Testino

 

www.visitmuve.it

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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