Paranoia in architettura

Di quanta architettura ha bisogno l’uomo? Disfunzione sociale degli spazi, distopie urbanistiche, architettura-design. Più design che architettura. Involucri-narciso quali performance spaziali delle metacittà asociali e commerciali…

Due visioni dell’architettura s’impongono. Un’architettura di passaggio, o del divenire: involucri della transizione da uno stato a un altro (avatar), dove la forma-oggetto – od oggetto ready made – cerca una relazione con la funzione simbolica, anch’essa divenuta disfunzionale a vantaggio della spettacolarità dell’apparenza. Gehry, Nouvel o Piano, ad esempio. Dall’altro, un’architettura della desolazione o del cambiamento, della delocalizzazione, disneyficata. Ultra-architetture interculturali (per tutti e per nessuno) che somigliamo agli ultracorpi della società dei consumi.
A Dubai, ad esempio, tutto il paesaggio cambia in funzione di una città astratta, senza l’altro (l’uomo); una città ipertecnologica, comprese le piste di sci nel deserto. L’architettura-design, qui, precede la relazione con l’ambiente cui gli abitanti devono adattarsi. Anche il sorriso del cameriere è modellato in relazione all’astrazione del design architettonico. È l’effetto di una contrazione mascellare e registra più d’ogni altra cosa l’artificialità di un mondo senza anime: affaristi, speculatori, arricchiti, petrolieri… Categorie del postumano che si specchiano in un’architettura a sua volta postumana.
Ma entrambe queste visioni hanno in comune la percezione cinetica dello spazio tramite la dislocazione capillare di superfici traslucide fino alla paranoia, dove il corpo e lo sguardo sono vezzeggiati nella certezza perversa della loro inutilità. La “contemporaneità” di questi spazi, la loro sincronizzazione globale corrisponde a un individualismo d’élite. Di sociale, queste architetture non hanno nulla. Piuttosto sono esemplari celibi, come la scrittura di Roussel.
Architettura del cambiamento e architettura del divenire si contendono una nuova percezione dello spazio.

Madelon Vriesendorp, Flagrant délit (Flagrant Crime, 1975)

Madelon Vriesendorp, Flagrant délit (Flagrant Crime, 1975)

Dalla paranoia delle forme regolari del passato alla paranoia delle anti-forme d’oggi, viene disegnata l’architettura del futuro. Si potrebbe vedere nell’architettura odierna un’introduzione alla paranoia collettiva nel senso di Lacan. Profeticamente il “delirious New York” di Koolhaas è oggi il delirio-mondo. Occorre rileggere il metodo “paranoico-critico” di Dalí per avere ragione di uno spazio architettonico che è lo specchio anamorfotico di uno spazio paranoico collettivo.

Marcello Faletra
saggista e redattore di cyberzone

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #19

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Marcello Faletra

Marcello Faletra

Marcello Faletra è saggista, artista e autore di numerosi articoli e saggi prevalentemente incentrati sulla critica d’arte, l’estetica e la teoria critica dell’immagine. Tra le sue pubblicazioni: “Dissonanze del tempo. Elementi di archeologia dell’arte contemporanea” (Solfanelli, 2009); “Graffiti. Poetiche della…

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