Tutta mia la città. Milano, la trasformazione e la pittura

Fra un anno esatto aprirà i battenti l'Expo 2015, e Milano, che lo ospiterà, sta vivendo in questi ultimi anni una fase di piena trasformazione. Partendo da qui, quale riflessione si può fare intorno all'idea di metropoli contemporanea? E quale influenza può avere sul mondo dell'arte? Lo abbiamo chiesto a tre diversi artisti, tutti pittori e legati fra loro dall'interesse per la città, declinata in diversi modi ma soprattutto con forti e dissonanti intenti poetici.

Un tempo il sole bianco di Milano distribuiva la sua luce nei cortili delle case di ringhiera, si rifletteva sui binari del tram incastrati nel pavé, illuminava schiere di muri gialli, di cartelli gialli, di spartitraffico gialli. Da poco invece la città ha decisamente cambiato aspetto, in lungo e in alto, per prepararsi all’evento internazionale del prossimo maggio, quando si aprirà l’Expo 2015: ora il cielo milanese si trova ingarbugliato fra immensi palazzi di vetro, pinnacoli e giardini che crescono in verticale, con forme e modalità atipiche per questa operosa metropoli lombarda, tanto da far pensare a molti di essere coinvolti in un piano di sviluppo urbano asettico e smisurato, per certi versi addirittura abnorme e poco funzionale.
È questo aspetto quasi cannibale dell’edilizia contemporanea, avida di spazi e apparentemente incurante di chi ci abita, la prima preoccupazione di un pittore come Marco Teatro (Milano, 1968), uscito allo scoperto nel sistema dell’arte dopo anni di lavoro sotterraneo da pioniere della Street Art. “Sono sempre stato a contatto con i quartieri più periferici di Milano”, ci racconta quando lo incontriamo, “e da qui ho potuto sviluppare una visione chiara e netta di come operi in modo drammatico la speculazione edilizia, con i suoi eccessi e con le conseguenze disastrose di opere architettoniche malpensate, progettate senza tener conto del fattore umano, che creano abbandono, degrado, ma soprattutto non-luoghi, ovvero porzioni di spazio anomale e inabitabili”. Sono proprio le persone a perdere il contatto e a ritrovarsi vittime di sviluppi urbani miopi, ed è per questo che nelle sue tele – dove dominano le visioni dall’alto di parti di città, di incroci, di casette avvolte dall’acqua o immerse in scenari post-apocalittici – non è prevista la presenza di uomini. Si tratta di un presentimento, o meglio “di un ammonimento rivolto a tutti, per far comprendere quanto le politiche di edilizia urbana delle nostre città siano fuori controllo, e che bisogna agire in tempo per evitare catastrofi”.

Marco Petrus

Marco Petrus

Anche un pittore dall’esperienza quasi trentennale come Marco Petrus (Rimini, 1960) racconta uno scenario urbano privo di umanità. Ma qui non si tratta di prendere una posizione o formulare una denuncia sociale, ma è la propria visione poetica che interpreta “la città come pretesto compositivo. Non m’interessa la vita che sta lì dentro, guardo semmai alle sue strutture, ai cubi, ai volumi, e ne leggo di fatto la struttura formale”. Milano in quanto tale a questo punto sparisce, perde d’importanza, anche se poi è ovviamente il punto di partenza pratico per la propria produzione. “Non ho mai dipinto l’identità di una città” è la frase che racchiude il pensiero dell’opera di Petrus, lontano dai romanticismi della tradizione pittorica dei paesaggisti urbani, di cui pure segue il solco figurativo, ma che stacca quando accelera sul dato formale: dovendo spiegare l’intento artistico alla base del suo lavoro, descrive “un procedimento d’astrazione” attento più che altro al “meccanismo di luci e ombre che si crea fra diverse architetture”.

Il nuovo Palazzo di Regione Lombardia secondo Marco Petrus

Il nuovo Palazzo di Regione Lombardia secondo Marco Petrus

Parte invece proprio dal fascino per le architetture dismesse e i luoghi abbandonati nelle città il lavoro di Fabio Giampietro (Milano, 1974), la cui produzione è molto prolifica ma comunque totalmente urbanocentrica: dai primi quadri in cui ritraeva luna park abbandonati, è arrivato a creare forme antropormorfe con case e palazzi. Ma è una visione della città a tratti irreale, immaginaria, comunque da vertigine, la scelta prediletta per il suo lavoro. “Non racconto mai una storia. Semmai descrivo una mia esigenza sentimentale, che traduco in pittura e che ricorda un’esplosione. O meglio, ricorda più un precipitare”. Come se fosse sul tetto di un cornicione o navigasse dentro una mongolfiera durante una tempesta, lo sguardo di Giampietro distorce sensibilmente la realtà e sulle tele ne ripete le assurdità architettoniche: vengono fuori scenari in bianco e nero, a metà fra le sequenze da incubo alla Tim Burton e le peripezie ottiche di Escher. E così anche Milano, in piena sofferenza perché “non merita questi edifici in stile Hong Kong e Shanghai”, diventa nel recinto di un quadro niente di più di un contenitore sentimentale, dove riporre le proprie inquietudini e cercare porzioni d’infinito. Così come ha fatto Italo Calvino quando ha scritto Le città invisibili – un testo fondamentale per Giampietro e da cui trae ispirazione – e ha strutturato la sua immaginazione e la sua fantasia in un libro che, come disse lo stesso scrittore, è un vero e proprio “poliedro, che di conclusioni ne ha un po’ dappertutto, scritte lungo tutti i suoi spigoli”.

Max Mutarelli

Milano // fino al 2 giugno 2014
Marco Petrus – Atlas
TRIENNALE DI MILANO
Viale Alemagna 6
www.triennale.it

Milano // fino al 27 maggio 2014
Marco Teatro – I Colori
SPAZIO OREA MALIÀ
Via Marghera 18
02 4694976
www.oreamalia.it

Fabio Giampietro
www.fabiogiampietro.com

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Max Mutarelli

Max Mutarelli

Massimiano Mutarelli nasce nella primavera del 1977 a Lambrate, quartiere storico di Milano. A vent’anni, con l’iscrizione all’Accademia di Brera, corona il sogno di poter entrare nel magico mondo dell’Arte. In realtà è un periodo turbolento, sospeso fra gli esami…

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