Dialoghi di Estetica. Parola a Luca Taddio

Filosofo e co-direttore della casa editrice Mimesis, Luca Taddio si è occupato di teoria dell’immagine e di filosofia della percezione. È stato docente a contratto di Estetica a Udine e Gorizia e del Rapporto mente-corpo e intelligenza artificiale a Trieste. I lineamenti di una “fenomenologia eretica”, l’esperienza immediata degli oggetti in rapporto all’autonomia della percezione, le potenzialità della rappresentazione visiva, il ritorno della filosofia a un orientamento realista sono i principali temi affrontati in questo dialogo.

Tutt’altro che superflue, le “cose del mondo esterno” sono al centro delle tue ricerche orientate alla definizione di una fenomenologia eretica. Quali sono le ragioni di questa tua riflessione in merito all’esperienza immediata degli oggetti che popolano il mondo?
L’azzardo teoretico di Fenomenologia eretica consiste nel tentativo di circoscrivere il problema della percezione delle “cose” del mondo esterno a un solo esempio: la percezione di un “cubo”. Con ciò s’intende indicare un metodo di lavoro: è necessario ancorare l’esame teorico dei “concetti” a casi specificamente osservabili, in modo che l’analisi concettuale non risulti chiusa in se stessa. Fenomenologia “eretica” significa: non ortodossa alla tradizione husserliana, poiché incorpora l’esperimento come parte integrante del proprio processo. Si rivendica così la piena autonomia e originarietà dell’“esperienza immediata della cosa”, scavalcando i vincoli del “linguaggio” e del “pensiero”.
La filosofia della percezione costringe il pensiero a un sistematico confronto con i fatti sotto osservazione. Questa “circolarità”, questo sistematico rinvio tra percezione e pensiero costituiscono in definitiva il fondamento della fenomenologia. Esso, proprio perché riqualifica il fenomeno come apparire diretto o “esperienza immediata” della cosa, lo pone al riparo da qualunque interferenza, ovvero da ogni preconcetto, aspettativa o interpretazione da parte di schemi linguistici. La filosofia in questo senso si caratterizza già da sempre come articolazione “fenomenologica” dell’esperienza immediata, poiché gli strumenti di cui è dotata sono, da un lato, l’esperienza e, dall’altro, il pensiero. Non va assegnato alcun primato a una o all’altra di queste due polarità. Né il pensiero né la percezione, pur essendo indipendenti, sono, rispetto alla conoscenza, perfettamente autonomi. L’analisi critica dell’esperienza deriva dal sistematico rinviare del pensiero all’esperienza immediata e viceversa.

Nei tuoi libri torni più volte sul nesso tra filosofia e psicologia. Nonostante la netta separazione tra le due discipline, ritieni che tale connubio possa rivelarsi proficuo per gli sviluppi delle ricerche in ambito filosofico?
Direi ancor più in generale che cerco di ripensare il rapporto tra scienza e filosofia. Distinguere scienza e filosofia comporta unicamente l’ovvio riconoscimento che vi sono scienziati che sperimentano e lavorano senza occuparsi di problemi più generali o di implicazioni filosofiche, e filosofi che ricercano nuove aperture teoriche o di senso o di modi di problematizzare il mondo indipendentemente dalla scienza. È la natura stessa delle cose a essere complessa: i problemi, una volta posti, scendono a grappolo, senza rispettare le comode distinzioni tra gli ambiti accademici. L’esperimento è una parte, per quanto importante, del ragionamento e della teoria: nell’esperimento c’è posto per la filosofia. Esso tuttavia non assolve la funzione esemplificativa di un concetto: si tratta piuttosto di far emergere dall’esperimento tutte le implicazioni epistemologiche e metafisiche ivi contenute. Il caso in esame va scelto in virtù del fatto che risulta emblematico rispetto al problema posto. L’esempio – il caso osservato come l’esperimento – puntellano l’argomentazione filosofica spingendola a riferirsi a un caso specifico e circoscritto: il contrappeso di quanto si intende sostenere.

Luca Taddio, Fenomenologia Eretica (2011)

Luca Taddio, Fenomenologia Eretica (2011)

Il connubio tra filosofia e psicologia nell’ambito delle ricerche sull’arte risalta in particolar modo nel tuo libro I due misteri, una sorta di laboratorio ideale per una sperimentazione percettologica e configurazionale. Alla base del libro vi è una riflessione sulla possibilità che l’artista possa essere d’aiuto al filosofo o, viceversa, che l’arte sia un banco di prova per la metafisica?
Il pittore non è “costretto” da alcun vincolo espressivo o poetico: le modalità di percezione che egli fa emergere sono ciò che permette quel determinato rendimento estetico-espressivo, sia che si tratti di immagini digitali o di colori a olio sulla tela. In questo modo è possibile fornire una descrizione delle condizioni della rappresentazione pittorica che si attenga ai caratteri fenomenici dell’immagine così come ci appare, individuandole a partire dai criteri stessi della visibilità che regolano la percezione ordinaria. La rappresentazione pittorica consiste in un giocare con le modalità intrinseche della percezione.
Per modalità intendiamo tutti i fattori messi in luce dalla fenomenologia sperimentale, come mostrato attraverso l’isolamento di alcuni esempi quali i fattori di unificazione, il rapporto figura-sfondo, la trasparenza e il completamento amodale. Ogni fattore è visibile e ostensibile nell’immagine ed è altresì determinato da precise condizioni, anch’esse appartenenti al piano dell’osservazione diretta. Il pittore scopre e utilizza, più o meno consapevolmente, tali fattori: durante il «fare», cioè durante la produzione artistica, il pittore giudica il risultato fenomenicamente esplicito del proprio lavoro. Esso è strutturato da «fattori percettivi»; ma l’artista, dal canto suo, può anche ignorare le regole che determinano l’apparire fenomenico della cosa. Il pittore, scrive Merleau-Ponty, “mentre dipinge, pratica una teoria della visione”. Egli scopre facendo: è nel suo stesso operare che egli fa cose con i fenomeni.

Riflettendo sul rapporto tra estetica e metafisica, ponendo attenzione alle attuali speculazioni filosofiche di orientamento realista, hai sottolineato nuovamente che l’ordine estetico-percettivo è altro rispetto all’ordine dei concetti e a quello del pensiero. Potresti dirci, sulla scia di questa riflessione, qual è la tua posizione in merito all’attuale ritorno della filosofia a un orientamento realista?
Diversamente dall’amico Maurizio Ferraris, ribadisco la distinzione tra concetto e percetto ma, al contempo, rifiuto quella tra ontologia ed epistemologia, perché, da un punto di vista metafisico, si tratta di una distinzione impossibile. Il Nuovo Realismo non si presenta come un progetto compiuto; diversamente, si intende indicare una direzione di ricerca: un ‘verso’. Il sentiero d’indagine che ho intrapreso mira all’affermazione di un fondamento metastabile. Certo, potrebbe apparire un progetto impraticabile, in quanto difficilmente qualcosa di relativo può essere inteso come fondamento.
Ma il relativismo, se ben inteso, non conduce alla negazione della verità, ma al presupposto per l’affermarsi di una verità. Il primo passo verso un nuovo realismo si compie attraverso l’analisi critica del concetto di “stabilità”, tra l’estetica, l’apparire della cosa e la metafisica sottostante. Vi è un errore di fondo nella nostra tradizione metafisica che consiste nell’affermazione della necessità di una realtà trascendente, sia essa Dio o la Verità. Tale trascendenza ha giocato un ruolo fondativo tanto per l’estetica, quanto per la metafisica, l’etica e lo stesso realismo. Si tratta invece di affermare la possibilità di un realismo-relativistico: una estetica o una metafisica di matrice realista senza Dio. Dobbiamo guardare alle forme di autopoiesi in cui si esplica il comportamento della materia.

Luca Taddio, I due misteri (2012)

Luca Taddio, I due misteri (2012)

Le riflessioni sul ritorno alla realtà, alle cose del mondo, sono rilevanti anche nelle tue ricerche sull’architettura e il design. Che rapporto può sussistere tra queste due discipline artistiche e il rinnovato interesse filosofico per la realtà?
La fenomenologia mi è servita per analizzare un primo sistema di riferimento, quello corporeo-percettivo, che non mi ha condotto a relativizzare ogni cosa, bensì ad osservare le parti sostanzialmente stabili di una realtà in divenire. Tale dimensione estetico-percettiva possiede una propria Gestalt, ossia forme di autorganizzazione che non sono date dal pensiero o dal linguaggio, bensì già strutturate là fuori, nel mondo direttamente visibile. L’arte è una tecnica e come tale implica un saper-fare, che non a caso può essere insegnato: se tutto fosse veramente soggettivo come potremmo insegnare a qualcuno a disegnare o a cucinare? Gli dovremmo dire “fai un po’ come vuoi”? E perché mai un poeta, come un pittore, cancella e riprova per pervenire ad un’opera definitiva, se tutto si equivale?
La stessa cosa vale per un grafico o un architetto: su che base e con quale criterio apprezziamo i loro lavori? Dato un sistema di riferimento, così come emerge dal gioco degli scacchi (ossia date le regole), emergono anche le mosse giuste e quelle sbagliate nel divenire stesso della partita. L’errore della tradizione metafisica è stato quello di aver pensato che esiste la partita di Dio, la partita perfetta: come se esistessero delle mosse giuste e sbagliate a priori, mentre, invece, emergono dal divenire implicito alla dinamica del gioco. In questo senso la verità è nel tempo così come le mosse giuste e sbagliate sono nella partita. Non sono atemporali: non esiste alcun mondo trascendente occupato da idee eterne e immutabili! Questo il senso del mio libro Verso un nuovo realismo.

Davide Dal Sasso

http://labont.it/

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Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso è ricercatore (RTD-A) in estetica presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca. Le sue ricerche sono incentrate su quattro soggetti principali: il rapporto tra filosofia estetica e arti contemporanee, l’essenza delle pratiche artistiche, la natura del catalogo…

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