Istituti Italiani di Cultura. Il network del made in Italy

L'Italia vista da Parigi, New York, Istanbul, Toronto, Londra e Madrid. Abbiamo parlato con i direttori degli Istituti Italiani di Cultura per capire “come ci comportiamo all'estero”, come ci vedono gli altri e qual è lo stato dell'arte... per l'arte.

Una cosa è certa ed è il primo punto dolente. Come ci vedono gli altri non corrisponde a come ci consideriamo noi stessi. La maggior parte dei nostri connazionali ritiene, infatti, che “fuori funzioni meglio che da noi” e che all’estero la nostra reputazione stia vacillando notevolmente. Il che ci porta in una sfera psicologica inibitoria, che ci congela nell’immobilismo culturale (e non solo) in cui spesso ci crogioliamo, lasciando che le lancette dell’orologio continuino a camminare per il resto del mondo.
Ora, con questo non si vuole fare nessun richiamo a un nuovo nazionalismo e a un amor di patria che avrebbe peraltro un sapore che in Italia ha natali tutt’altro che illustri, né fingere che non esistano le note problematiche che tutti noi quotidianamente affrontiamo. Tutt’altro. Con questo articolo vogliamo raccontare le “altre Italie”. Quelle delle comunità dei nostri concittadini di prima, seconda, terza generazione che sono emigrati all’estero, o quelle – come li chiama Marina Valensise, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi – degli “‘italianisants’, che spesso l’amano più degli italiani. L’Italia, per tutte queste persone, è rimasta la stessa che hanno lasciato quando si sono trasferiti, la stessa che hanno visitato quando sono venuti da turisti.
La chiave di interpretazione del nostro Paese che tutti loro hanno, da lontano, è la cultura, ed è per questo che è fondamentale il ruolo che gli Istituti di Cultura svolgono in tutto il mondo. Ma di cosa si tratta esattamente? Sono enti preposti dal Ministero degli Affari Esteri per la promozione della nostra cultura e a sostegno della cooperazione in campo culturale fra l’Italia e i diversi Paesi nel mondo. Operano in molti settori, dalla musica alle scienze e tecnologie, dalla diffusione della lingua al cinema, dalla letteratura all’archeologia, dall’arte al design, dall’architettura al teatro, tutto “rigorosamente made in Italy”, ci spiega Maria Luisa Scolari, addetto culturale a Istanbul.

Il network degli Istituti Italiani di Cultura in formato word cloud

Il network degli Istituti Italiani di Cultura in formato word cloud

Il target di questi centri è molto vario. Si rivolgono a coloro che hanno una tradizione culturale italiana, spesso hanno intorno una comunità molto forte che ha origini nostrane, ma anche di molti semplici appassionati provenienti dai Paesi di riferimento, che frequentano l’Istituto per essere più vicini a noi. Tutto ciò ha a che vedere in maniera importante con la percezione della cultura italiana all’estero che, malgrado quanto si pensi da noi, è ancora molto solida e attrae sentimenti positivi. “L’Italia”, spiega Riccardo Viale, direttore a New York, è sugli scudi degli americani  di New York. È il Paese considerato più simpatico d’Europa e i prodotti italiani sono  i più apprezzati. Da Parigi la Valensise commenta: “L’Italia è una grande potenza culturale inconsapevole. La cultura italiana è considerata in Francia la matrice originaria della civiltà europea e francese in particolare. È un privilegio storico del quale spesso noi stessi non abbiamo consapevolezza. Il nostro compito è di riacquistarla e farla riacquistare a chi l’ha persa.
Da Londra, il direttore Caterina Cardona racconta: “L’Italia qui è, molto semplicemente, amatissima. Anche a Madrid la nostra reputazione sembra non essere in pericolo, secondo il direttore Carmelo Di Gennaro: “Nonostante l’incertezza a livello politico, dovuta a fattori contingenti che non sta a me analizzare, rimane alta – perlomeno in Spagna – la stima per il nostro Paese, soprattutto per le sue risapute qualità, di inventiva, di creatività, di intraprendenza; continua a essere molto amato il ‘prodotto’ Italia, ossia il suo design, la sua moda, la sua enogastronomia. L’Italia, come si dice con un termine forse poco elegante, è un brand che ancora tira molto forte. Da Istanbul, Scolari continua: “L’Italia rappresenta ancora un punto di riferimento per molti settori. Chiude il cerchio, da Toronto, Adriana Frisenna, acting director: L’Italia, grazie al grande apporto degli italiani immigrati qui nelle due ondate del primo e del secondo Novecento, è molto apprezzata per la sua grande eredità artistica, per le sue eccellenze nei settori della moda, del design, dell’enogastronomia. Sicuramente l’Italia non gode di buona stampa all’estero e innegabilmente sta vivendo un momento di grande difficoltà. Tuttavia questo non incide in modo apparente sul nostro lavoro. La partecipazione e l’interesse del pubblico che frequenta i corsi di lingua italiana o le manifestazioni organizzati dall’Istituto non sono venuti meno. Crisi? No, “non vi è ancora alcun rapporto causale fra la crisi del Paese e la percezione del brand Italia”, continua Viale da New York. “Forse ciò potrà avvenire in futuro se la crisi porterà a una riduzione della qualità del prodotto italiano”.
Nonostante questi commenti rinfrancanti, il pericolo è dietro l’angolo, ed è un pericolo che conosciamo molto bene. Il rischio, infatti, è quello che l’Italia sia nota, amata e conosciuta per una dimensione che non c’è più e che appartiene più che altro al passato. Qui da noi è un argomento di discussione ben noto. Il tema sacrosanto e inderogabile della conservazione è il vessillo che viene agitato ogni qualvolta il nostro Paese cerca di vivere nel presente. Non possiamo andare avanti, non possiamo fare ricerca (se non scientifica), non possiamo continuare a creare, lavorare, produrre perché dobbiamo pensare esclusivamente al nostro passato, in questa vita a passo di gambero”, per dirla alla Umberto Eco. Tuttavia, anche in questo caso gli Istituti di Cultura svolgono un compito di mediazione e ci regalano spaccati quasi inediti, come quello offerto dalla Scolari: “È interesse del nostro Paese promuovere un’immagine moderna e aggiornata dell’Italia, sostenendo i giovani talenti poiché, accanto alla tradizione e all’eredità di un passato sublime e straordinario, abbiamo per il futuro ancora molto da dire e da proporre.

Paolo Grassino all'Istituto Italiano di Cultura di Madrid

Paolo Grassino all’Istituto Italiano di Cultura di Madrid

E l’arte contemporanea, in tal senso, svolge un ruolo cruciale. Sono ben noti, infatti, a New York il Gotham Prize, dedicato all’arte emergente, e il New York Prize. A Parigi, invece, creatura dell’attuale direttore è il programma di residenze d’artista Le promesse dell’arte, che prevede ogni mese la permanenza di un giovane talento italiano, selezionato da una giuria di esperti nominati a rotazione per rappresentare le singole arti, con il compito di realizzare un’opera che sarà poi esposta al termine del soggiorno parigino. A Toronto è prevista ogni anno una mostra d’arte contemporanea (il 2013 è stato l’anno di Angelo Filomeno, nel 2014 toccherà a Mimmo Paladino). Istanbul ha fatto parlare di sé grazie alla straordinaria partecipazione italiana alla Biennale delle arti visive, culminata con l’acquisizione da parte del Maxxi dell’opera di Margherita Moscardini Istanbul City Hills. On the Natural History of Dispersion and States of Aggregation. Da Londra, la Cardona continua: “Londra è la città del contemporaneo più innovativo, più geniale, più pregnante: quando il nostro contemporaneo vi si misura, noi siamo sempre presenti. Da Madrid Di Gennaro dice: “L’arte contemporanea gioca un fattore chiave nel nostro programma di rinnovamento dell’immagine dell’Italia, tant’è che su questo settore abbiamo puntato moltissimo, sia in termini di risorse, sia in termini di lavoro e promozione a mezzo stampa. Ma la sfida è grande: “Nel nostro Paese c’è un grandissimo numero di artisti mid-career che meritano una maggior diffusione all’estero; in Spagna, per esempio, eccettuato il caso di Maurizio Cattelan e pochi altri (come i ‘grandi vecchi’ Pistoletto, Kounnelis ecc.) gli artisti italiani non godono della considerazione che invece meritano. Basta citare un semplice dato: negli ultimi cinque anni, nessun artista italiano ha avuto l’onore di una mostra al Reina Sofía, nel resto della Spagna solo la Tabacalera di Murcia ha dedicato una personale a Francesco Vezzoli, mentre il CAC di Malaga lo ha fatto con Monica Bonvicini.

LA SITUAZIONE FINANZIARIA
Come si sostengono gli Istituti Italiani di Cultura? Quali sono le modalità con cui portano avanti le proprie attività? Tutti percepiscono una dotazione finanziaria dal Ministero per svolgere l’attività di promozione e coprire i costi di funzionamento. Ci sono poi gli utili dei corsi di lingua e collaborazioni, sponsorizzazioni dirette o indirette. “Per quanto riguarda Istanbul”, spiega Scolari, “per riassumere e semplificare, ma anche per offrire un quadro accessibile ai non addetti ai lavori e di immediata comprensione, con riferimento ai dati del 2012, si può affermare che, grazie all’utile dei corsi di lingua e ad alcune sponsorizzazioni dirette, l’Istituto Italiano di Cultura ha autofinanziato la realizzazione di circa il 90% delle proprie manifestazioni culturali. Valensise da Parigi racconta che il suo Istituto funziona grazie a “risorse proprie, per il 60% maturate grazie ai corsi di lingua italiana che hanno registrato un aumento del 7% nell’ultimo anno, e un 40% di risorse pubbliche, assegnate sul bilancio del Ministero degli Esteri. Ci diamo da fare per ottenere contributi privati, da mecenati, singoli sostenitori, aziende amiche. Nel corso della mia direzione, dodici aziende italiane di eccellenza (Irinox, Smeg, Viabizzuno, Zanotta, Lema, Modulnova, Bialetti Industrie, Bitossi Home, Coltellerie Berti, Staff, Marmi Salvatori, Colorobbia Yalosker, Fortuny) hanno messo a disposizione i loro prodotti, contribuendo direttamente al rinnovamento dell’Istituto Italiano di Cultura. Meritano il ringraziamento di tutti gli italiani.

Botto e Bruno all'Istituto Italiano di Cultura di Madrid

Botto e Bruno all’Istituto Italiano di Cultura di Madrid

Ma non tutto è rose e fiori, come conferma da Madrid, uno degli Istituti più conosciuti e vivaci, il direttore Di Gennaro: “Questo naturalmente è il punctum dolens dell’intera questione. Le dotazioni ministeriali, per ovvi motivi, si vanno riducendo vieppiù, ragion per cui è obbligatorio cercare fonti alternative di finanziamento, leggi sponsor. L’Istituto che dirigo è riuscito piuttosto bene, considerata anche la violenta crisi economica che ha colpito la Spagna, a reperire fondi privati, però il settore che soffre di più è proprio quello dell’arte contemporanea; infatti, a parte il piccolo finanziamento di una banca per la mostra di Patrick Tuttofuoco, non siamo riusciti per il momento a trovare altre risorse. Io credo non sia un caso: l’arte contemporanea rimane un settore “difficile” per gli sponsor, a meno che non si tratti ovviamente di appoggiare grandi istituzioni museali. Su questo punto, tanto noi gestori culturali come gli artisti dobbiamo lavorare di più, evidentemente, pena la cronica mancanza di fondi”.

Santa Nastro

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #17

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Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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