L’India delle danze sacre

I mesi di dicembre e gennaio e la città di Chennai sono il periodo e il luogo più giusti per tuffarsi nell’antica tradizione delle arti classiche indiane. Cuore palpitante delle manifestazioni artistiche della regione del Tamil Nadu, questa città permette - anche in epoche per l’India di voracità e velocità impressionanti - d’immergersi nel vastissimo bacino di stili e linguaggi del repertorio classico.

Gli auditoria sono disseminati in ogni angolo: musica carnatica e hindustani, danze bharata natyam e odissi, solo per citare le forme più note, si susseguono lungo tutto il corso del giorno. C’è chi partecipa solo a una performance o chi invece ci trascorre l’intera giornata. La tradizione in India riesce ancora a essere un’arte contemporanea perché è un gesto comunitario. Appartiene al movimento di un popolo intero.
In questo verminaio di auditoria e festival, Kalakshetra Foundation riveste un ruolo particolare, quello dell’istituzione indiana, garante d’una tradizione millenaria.
Creata dalla coreografa e teosofa Rukimini Devi Arundale nel 1936, è interamente consacrata all’insegnamento delle arti. Classi di bharata natyam, lo stile di danza classica della regione, s’accompagnano a classi di musica vocale e strumentale e a corsi d’arte visiva, s’insegnano le tecniche di pittura e impressione su tessuto.
La maggior parte degli allievi è d’origine indiana, ma la scuola ha una vera vocazione internazionale ed è frequentata anche da europei e sudamericani. La riserva naturale di circa quattro ettari che costituisce Kalakshetra Foundation è un autentico laboratorio di forme pedagogiche indiane. Gli allievi iniziano lo studio al mattino, di fronte al grande banano al centro del parco. Dopo un lungo appello in inglese, intonano canti e preghiere in tamil, la lingua locale. Ed è un momento di rara armonia in cui il suono delle voci si modella su quello di foglie, radici, uccelli, insetti, pulviscolo luminoso. Tutto diventa organico e palpabile.

Kalakshetra Foundation

Kalakshetra Foundation

Poi i ballerini si spostano nelle classi. Sono aule aperte con grandi finestre senza vetri: il caldo sacro di questo Paese sa farne a meno. S’esercitano a lungo di fronte a un guru che tiene il ritmo quasi solo con la voce. A lato un’assistente trasmette da seduta il movimento al gruppo. I gesti sono netti, rapidi, taglienti, quasi da combattimento. Molto diversi da quelli che si vedono altrove nelle altre danze della città. Rukimini Devi li volle uniformare ed epurare da quella sensualità che dovettero avere sui corpi delle devadasi, poetesse-danzatrici sacre, che gli inglesi cacciarono dai templi.
Sposata al teosofo inglese Georges Arundale, quest’indiana di casta braminica fu folgorata dall’incontro con Anna Pavlova, l’étoile del balletto russo. Dalla sua assistente Cléo Nordi apprese le forme della danza classica e l’uniformità e la disciplina fisica che permettono la trasmissione d’un movimento collettivo. Così si rivolse alla propria tradizione culturale. La danza indiana allora si tramandava da maestro ad allievo: era una pratica di corpo e spirito, lunga e solitaria. Kalakshetra è il risultato dell’incontro di queste due modelli pedagogici e l’invenzione del folclore classico indiano.
Lo scorso dicembre s’è svolto qui il 61esimo Annual Dance Festival. Per dieci giorni si sono alternate performance di artisti già confermati e spettacoli di scuola. Maestose epopee di repertorio, coreografate da Rukmini Devi a partire dagli Anni Cinquanta. E sembrava di stare all’Opera di Chennai. Questo corpo di ballo è mosso dagli stessi virtuosismi del balletto classico. Anche la cornice narrativa appare comune: a pezzi recitati si alternano momenti danzati, in solo e in gruppo. Cambia invece il linguaggio gestuale e il rapporto che il corpo intesse letteralmente con la musica e il testo. Si genera, infatti, un dispositivo in cui pare di poter ascoltare un racconto dipanarsi attraverso la sincronia perfetta di mani, piedi e volto. I piedi poggiano sulla terra il ritmo vocale e strumentale; sul volto trascorrono i sentimenti e le mani sanno intrecciare l’uno e gli altri in trame finissime attraverso cui si rivela la storia.

Kalakshetra Foundation

Kalakshetra Foundation

Queste mani sembrano a un tempo tratto somatico e battito di ciglia, metronomo ritmico ed espressione patetica. Tutto è millimetricamente misurato. Il ritmo è l’espressione di un’emozione insieme organica e spirituale.

Marco Villari

http://www.kalakshetra.net/

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Marco Villari

Marco Villari

Marco Villari è nato a Messina. Si è laureato in Storia dell'arte contemporanea presso l'Università di Roma La Sapienza. Ha sempre nutrito la ricerca teorica sull'immagine attraverso una tenace pratica delle arti sceniche. Ha partecipato alla Stoa, la scuola sul…

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