Dialoghi di Estetica. Parola a Francesco Arena

Artista, classe 1978, Francesco Arena è l’interlocutore di questo dialogo che inaugura l’anno nuovo. Il riduzionismo minimalista, una poetica basata su corrispondenze tra materiali, pesi, masse, distanze e frammenti storici personali e pubblici, il primato oggettuale in arte e la pratica scultoria sono al centro delle riflessioni maturate dall’artista a colloquio con Davide Dal Sasso.

Nonostante la riduzione a un minimum materiale che le caratterizza, le tue opere mirano a esprimere frammenti storici in accordo a una oscillazione tra memoria personale e memoria pubblica. Da dove proviene questa cifra creativa che contraddistingue tutto il tuo lavoro?
Non penso di poter risponderti in maniera lineare. L’approccio al lavoro viene evidentemente dal mio modo di osservare ciò che mi è intorno e restituirlo filtrato dalle esperienze, le suggestioni e i pensieri che informano un dato momento della mia vita. Ogni opera è il risultato di un coagularsi e stratificarsi di intenzioni e immagini. La cifra di cui parli è quest’approccio alle cose.

All’origine di una tua opera vi è: la necessità di intraprendere un eventuale processo di trasfigurazione di un fatto storico, la possibilità di esprimerne la portata usando un certo materiale, oppure il rinvenimento di un frammento di memoria personale?
In un’opera ci sono tutti e tre questi momenti di cui parli. Un frammento di memoria personale che si inserisce in un contesto di memoria condivisa oppure una storia con la quale sento la necessità di interagire, possono innescare un movimento che porta alla concezione dell’opera. Il materiale in questo percorso è il dato oggettuale con il quale confrontarsi e nel quale affogare memorie e suggestioni.

La tua volontà di trasmettere un frammento storico attraverso i materiali che usi mi fa pensare alle tue opere come a “continuum documentali”. Mi spiego meglio: entità materiali che documentano tracce di storia, personale e pubblica, anziché mere “strutture primarie”. I materiali che scegli sono solo una condizione sufficiente per la riuscita del tuo lavoro?
Il materiale nel quale l’opera trova la sua concretizzazione è parte dell’opera così come la storia di cui l’opera informa, hanno la stessa importanza. Non sono casuali né l’una né l’altra. Quando decido di utilizzare il bronzo invece di una pietra o del ferro è perché il significato che quel dato materiale ha in sé, è parte dell’opera, oltre che le sue caratteristiche fisiche delle quali la forma dell’opera è il risultato.

Francesco Arena, Il peso del mio corpo da un blocco di pietra del peso di una barca, 2010, pierre bleue, cm 100x80x32,8

Francesco Arena, Il peso del mio corpo da un blocco di pietra del peso di una barca, 2010, pierre bleue, cm 100x80x32,8

Viceversa, credo siano le eventuali corrispondenze che istituisci tra una distanza, un peso o una massa e i materiali che usi, a essere una tua necessità…
Dati quali i pesi o le misure relative allo spazio che occupo io nel mondo o a quello che altri hanno occupato o occupano o, ancora, quelli relativi a specifici spazi delle città, sono punti di riferimento all’interno dei quali muoversi per trovare un altro senso alle cose e porsi altri interrogativi.

Alcune opere – Il peso del mio corpo da un blocco di pietra del peso di una barca, 18.900 metri su ardesia (la strada di Pinelli) e Genova (foto di gruppo) – si prestano per un approfondimento di questo aspetto del tuo lavoro. Qual è la loro storia?
Il peso del mio corpo da un blocco di pietra del peso di una barca ha nel titolo il percorso che ha portato alla realizzazione dell’opera. Si tratta di una scultura che si presenta formalmente come un blocco di pietra dello stesso peso di una barca di quelle usate dai migranti per raggiungere Lampedusa che, traforato, è stato ridotto al peso del mio corpo. Partendo da questi due dati, ho fatto tagliare un blocco di pierre bleue, una pietra sedimentaria, in modo che fosse dello stesso peso della barca (700 kg). Il blocco è stato successivamente  svuotato fino ad arrivare a pesare 69,600 kg, il mio peso all’epoca, mantenendo le dimensioni originali (100x80x32,8 cm). La scultura è, pertanto, composta da due dati numerici. Il primo quello di partenza, il peso della barca, informa le dimensioni del blocco di pietra. Il secondo dato, il mio peso, determina l’atto del traforare, del togliere materiale e di conseguenza la forma finale dell’opera.
Per 18.900 metri su ardesia (la strada di Pinelli) ho rifatto il cammino dell’ultimo giorno da uomo libero dell’anarchico Pinelli, dalla stazione a casa e poi al bar e ai circoli anarchici sino in Questura. Un po’ di strada. Strada percorsa come ognuno di noi percorre la propria ogni giorno. Strada senza importanza, che si consuma e svanisce man mano che camminiamo. Questa strada dà una misura, una cifra. 18.900 metri. Ho utilizzato delle lastre di ardesia delle dimensioni di 60×60 cm e 1 cm di spessore, sulle quali sono state incise 98 linee 3 mm di spessore e 2 di profondità. Su ogni lastra in totale è incisa una linea di 58,8 metri. Su le 322 lastre che compongono l’opera, sono incisi i 18.900 metri del cammino di Pinelli. Se installato in uno spazio sufficiente a contenere la metratura, le lastre vanno poggiate sul pavimento originale. Mentre, in uno spazio più piccolo, una volta riempita la metratura a disposizione, le restanti lastre vengono impilate in un punto dello spazio. In un certo senso la città con le sue distanze viene racchiusa in uno spazio domestico, in una stanza.

Francesco Arena, Genova (foto di gruppo), 2011, fango di marmo, cm 445x40x22

Francesco Arena, Genova (foto di gruppo), 2011, fango di marmo, cm 445x40x22

Per Genova (foto di gruppo), partendo dalla foto di gruppo ufficiale dei dieci leader presenti al G8 di Genova del 2001, sono state realizzate in fango di marmo – il materiale di scarto ottenuto dalla lavorazione del marmo, un materiale nobile della scultura – dieci forme a base quadrata di 40×40 cm e altezza varia (da 0,5 cm a 22 cm). Le forme sono concepite immaginando che, se Carlo Giuliani fosse vivo e potesse salire sulle loro basi, potrebbe guardare negli occhi il singolo capo di Stato.

Nel 2013 in una sala del Padiglione Italia, in occasione della 55. Biennale di Venezia, hai esposto Massa Sepolta. Come nasce e si struttura questa tua affascinante opera?
Massa sepolta nasce da un insieme di riflessioni scaturite dalla lettura di Massa e potere di Elias Canetti. L’opera è composta di quattro strutture di metallo e legno contenenti terra. La massa di terra all’interno di ogni struttura corrisponde alla massa dei corpi contenuti in quattro fosse comuni europee. Per calcolare il volume di questi corpi appartenenti a quattro masse anagraficamente indistinte, ho utilizzato il volume del mio corpo come unità di misura: il volume dei corpi contenuti in ogni fossa è uguale al volume di terra sottratta per fare spazio ai corpi. Le strutture sono tutte alte sette metri e di base quadrata e la loro larghezza è proporzionale alla quantità di terra da contenere. La struttura più grande contiene 41 metri cubi di terra corrispondenti ai 269 corpi della fossa comune di Batajnica in Serbia. La struttura contenente 22 metri cubi di terra corrisponde ai 147 corpi della fossa comune di Benedicta in Italia. Quella da 9 metri cubi corrisponde ai 60 corpi della fossa comune di Burgos in Spagna. E, infine, la più piccola, da 7 metri cubi, è quella corrispondente ai 44 corpi della fossa comune di Ivan Polje in Kosovo. In totale 80 metri cubi di terra, 138 tonnellate.

L’opera si presta anche per compiere una riflessione sulla massa e le sue manipolazioni…
Nel titolo dell’opera ho voluto mantenere la parola ‘massa’ non soltanto per evidenziare il filo che lega la scultura al libro, ma anche per sottolineare il significato e la specificità di questo termine nel campo della scultura: fare scultura significa aggiungere massa o togliere massa, organizzarla intorno al vuoto o creare vuoto all’interno di essa. Noi stessi siamo massa, occupiamo un determinato spazio e lo modelliamo affinché accolga questa nostra massa nel modo più adatto. A volte abbiamo molto spazio per la nostra massa, altre volte dobbiamo costringerla in uno spazio minore. La nostra vita è un continuo confronto tra masse e spazi non soltanto in termini fisici e architettonici ma anche concettuali: pensieri contrastanti o fluidi, pensieri che ne inglobano altri o che li sgretolano sono come masse in movimento. Il concetto di massa, nella sua ampiezza, è un’entità chiaramente definita: una massa di persone, per esempio, possiede un’essenza politica più o meno manifesta che ne determina anche la densità in termini di penetrazione da parte di realtà esterne.

Davide Dal Sasso

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Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso

Davide Dal Sasso è ricercatore (RTD-A) in estetica presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca. Le sue ricerche sono incentrate su quattro soggetti principali: il rapporto tra filosofia estetica e arti contemporanee, l’essenza delle pratiche artistiche, la natura del catalogo…

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