La Svizzera a Milano. Intervista con Salvatore Lacagnina

Oggi 20 settembre, con Dunja Herzog, l’Istituto Svizzero di Milano inaugura una nuova stagione espositiva. Tra visione e sperimentalità, il direttore artistico Salvatore Lacagnina ne svela meccanismi e progetti futuri. E stasera c’è il party inaugurale di Start.

In occasione di StartMilano, l’Istituto Svizzero inaugura a Milano la propria stagione espositiva con una personale di Dunja Herzog (Basilea, 1976). L’artista realizza sculture e installazioni assemblando materiali industriali con oggetti sottratti a scene e a luoghi che convenzionalmente vengono designati alla vita di tutti i giorni. Le installazioni della Herzog agiscono come sistemi autonomi che si relazionano con lo spazio limitato di un ambiente domestico o con un particolare estrapolato dalla routine di tutti i giorni. Il lavoro dell’artista affronta temi legati al concetto di corpo, intimità, vulnerabilità ed equilibrio, attraverso un processo intuitivo e scultoreo con l’intenzione di ricreare la stasi di un equilibrio strutturale.
Responsabile artistico degli Istituti Svizzeri in Italia, Salvatore Lacagnina – la cui nomina, nel 2009, è avvenuta attraverso un concorso internazionale -, svela il programma espositivo della sedi di Milano e Roma, attraverso la nuova scena dell’arte contemporanea svizzera.

Per quanto riguarda la prossima stagione espositiva, quali sono gli artisti e le linee guida definiti tra Roma e Milano? Quali saranno le cadenze espositive e le mostre per il 2013-2014?
Spero che Milano presti attenzione alla mostra di Dunja Herzog. Nei suoi assemblaggi c’è una sorta di fuori asse, di traiettoria non lineare, che mi pare possa aprire nuovi spazi. Ibridità, animismo, minimalismo, assemblaggio, riuso; ironia, mistero, familiarità, banalità…  Se nel raccontare qualcosa ci mancano le parole per farlo, è sempre un momento positivo per chi ha voglia di farsi sorprendere (evitando le scorciatoie filosofeggianti, tanto superficiali quanto vuote, che sono di moda da qualche anno a questa parte). È una mostra dalla parte delle cose, che esistono solo in una relazione che è singolare e culturale, che va al cuore del sistema di valori.
Questo autunno si intrecceranno tante storie diverse. Cattedrale è il titolo (uno dei titoli) di uno dei processi iniziati la scorsa primavera – che sfugge in buona parte al nostro controllo – e che sarà aperto al pubblico nei prossimi mesi. Poi stiamo lavorando sulle biblioteche di Roma e su questioni giuridiche a partire dal concetto di Terra Nullius. Proseguiamo il lavoro sulla grafica con Ludovic Balland (il terzo capitolo della serie Letters on sale sarà dedicato al digitale). E poi pubblicazioni, il nuovo programma di residenze…

Dunja Herzog, Schlitzohr, 2013, veduta dell’allestimento all’Austellungsraum Klingental, 2013 - photo Gunnar Meier

Dunja Herzog, Schlitzohr, 2013, veduta dell’allestimento all’Austellungsraum Klingental, 2013 – photo Gunnar Meier

Come vengono selezionati i progetti espositivi? Non sempre infatti vengono proposti artisti svizzeri…
Un vecchio giocatore di rugby neozelandese sostiene che gli italiani non possono giocare bene a rugby perché non sanno vedere gli spazi. È una metafora eccezionale. All’Istituto Svizzero proviamo a cercare gli spazi nella realtà per trovare qualche traiettoria nuova. Cerchiamo spazi tra le parole che perdono ogni giorno significato a causa del loro uso malsano, della consuetudine che le svuota e le corrode.
Perché l’Istituto Svizzero dovrebbe proporre solo artisti svizzeri? E perché l’Istituto Svizzero dovrebbe proporre o selezionare? Mettiamo in discussione alcune parole esauste. Presentiamo questioni e discussioni. Costruiamo reti e rapporti. Lavoriamo sulla nostra istituzione focalizzandoci sul rapporto tra le regole e le pratiche per riaffermare, prima di tutto, un’idea di fondo che è stata cancellata dal vocabolario contemporaneo: le istituzioni sono organizzazioni di regole fatte dagli uomini che possono e devono cambiare. Potremmo iniziare la conversazione da qui. E poi osservare quale vocabolario stiamo costruendo, quali questioni stiamo affrontando, con quali posizioni e quali mezzi. La Svizzera è una confederazione e non uno Stato centralista o centralizzato, è un crocevia di quattro culture linguistiche, di montagne, valli, campagne e città metropolitane. Un alternarsi di avanguardia tecnologica e di protezione delle tradizioni locali; di mucche e di treni, di protestanti e di cattolici, di banche e di neutralità. È un Paese transnazionale per vocazione o per necessità storica.
Diciamo che l’Istituto Svizzero cerca di porsi come istituzione svizzera, non come istituzione esclusiva per gli svizzeri. È nelle corde della cultura federale avere relazioni forti con il territorio e in Italia (ci si dovrebbe chiedere cos’è, oggi, l’Italia) interroghiamo il nostro ruolo politico e culturale. Così tutti i nostri progetti sono naturalmente, per vocazione, non disciplinari, non nazionali. Nascono da questioni, propongono punti di vista. E in questo percorso si ridefinisce anche il ruolo di un’istituzione “nazionale” (nel senso che ho provato a delineare prima) all’estero, che vuol dire in un altro territorio, all’interno di un’altra cultura e di un’altra tradizione. È in questa traduzione continua che ci stiamo muovendo. Cerchiamo di spostare i confini delle nostre azioni e ridiscutere argomenti che, per chi sa quale errore del Matrix, si sono cristallizzate in banali ideologie.

Dunja Herzog, Broom, 2013, veduta dell’allestimento all’Austellungsraum Klingental, 2013 - photo Gunnar Meier

Dunja Herzog, Broom, 2013, veduta dell’allestimento all’Austellungsraum Klingental, 2013 – photo Gunnar Meier

Una volta hai affermato che avresti attuato “format che consentano di mettere insieme le varie discipline artistiche e la ricerca universitaria, non più con l’idea della pluridisciplinarità, ma con l’idea della necessità”. Come si è realizzato questo progetto?
Questo processo è la spina dorsale che sostiene tutto il nostro lavoro. Se si guarda al programma degli ultimi due anni – in particolare quello di Roma – la via tratteggiata nei primi mesi del 2009 ha assunto una coerenza radicale. Anche il nostro sistema di residenze inizia quest’anno un nuovo percorso. Intanto ha un nuovo nome: Studio Roma. Il programma sarà organizzato per seminari e workshop, con partecipanti di varie discipline.

A partire dal 2009, quali tipologie di collaborazioni hai promosso tra istituti pubblici o privati e l’Istituto Svizzero?
Questo è un altro discorso che non si può ridurre in poche battute. È un percorso iniziato nel 2010 affidando la programmazione di Milano, per tre mesi, a un collettivo di ventenni zurighesi, Paloma Presents. Da lì dovrei descriverti decine di progetti che hanno tentato, in modo più o meno riuscito, di creare reti qualitative non fondate sull’omogeneità istituzionale. Non facciamo distinzione tra una rinomata università e un centro sociale; tra un’occupazione e un museo; tra una Biennale e una Fondazione; tra spazi culturali, artistici e spazi politici. Ci muoviamo dove accade qualcosa di imprevisto e un po’ arrischiato. Dovrei farti una lunga lista, ma gli elenchi possono essere fallaci, come i curriculum. Invito a muoversi nel nostro sito internet, che nei prossimi mesi si trasformerà da agenda informativa a piattaforma di approfondimento.

Dunja Herzog, Pulli, 2013, veduta dell’allestimento all’Austellungsraum Klingental, 2013 - photo Gunnar Meier

Dunja Herzog, Pulli, 2013, veduta dell’allestimento all’Austellungsraum Klingental, 2013 – photo Gunnar Meier

L’Istituto Svizzero quest’anno rientra fra gli spazi aderenti al circuito di StartMilano. Come si posiziona l’Istituto Svizzero a Milano, rispetto a Roma? Come differiscono gli scenari contemporanei nelle due città?
Dal 2009 non solo aderiamo al circuito di Start ma ne ospitiamo il party di chiusura. Per questa edizione abbiamo anche proposto una serie di live set e dj, in linea con la nostra programmazione primaverile, dove la musica ha avuto un ruolo centrale. Abbiamo voluto dare un segnale chiaro a una città come Milano, dalla rapida trasformazione urbana che, tuttavia in questo processo sembra perdere sempre più connessioni interne.

Quali insegnamenti, ricordi o rimpianti porti con te quando dirigevi la Galleria Civica di Siracusa?
La Galleria Civica di Siracusa, a quel tempo, è stata una dinamo straordinaria. Ma non perdiamoci in sentimentalismi da feuilleton.

Progetti futuri?
Il futuro non esiste.

Ginevra Bria

Milano // fino al 9 novembre 2013
Dunja Herzog
ISTITUTO SVIZZERO
Via del Vecchio Politecnico 3
02 87128882
[email protected]
www.istitutosvizzero.it

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

Scopri di più