Flussi creativi. All’ombra di Gauss

Il teorema di Gauss, negli spazi della CO2 Gallery di Roma dal 4 maggio, è un progetto corale concepito come uno scambio di energie tra artisti di diverse generazioni, critici e visitatori. Un laboratorio creativo in continua evoluzione in cui il pubblico potrà interagire con gli artisti, influenzando i processi realizzativi delle opere, e taccuini sempre consultabili costituiranno il diario di bordo di un viaggio condiviso. Ne abbiamo parlato con Marco Morici, Giulio Delvè e Giovanni Oberti.

Marco Morici, Giulio Delvè e Giovanni Oberti sono i tre giovani artisti che dal 4 maggio lavoreranno in corrispondenza, all’interno della mostra Il teorema di Gauss, a tre opere recenti di Gilberto Zorio, Eliseo Mattiacci e Claudio Parmiggiani, precisamente Dinamica orizzontale (2005), Senza titolo (2009) e Stella Rossini (2006). Il titolo del progetto omaggia il fisico Carl Friedrich Gauss, teorico dell’omonimo teorema sull’intensità dei flussi di energia uscenti da una superficie ed entrante in un’altra, ponendo due corpi in relazione nello stesso campo gravitazionale o elettrico.
Tre testi critici documenteranno il processo, dai momenti di partenza agli esiti finali: una premessa di Gianni Garrera, la narrazione del progetto di Attilia Fattori Franchini e le conclusioni a cura di Ludovico PratesiArtribune ha intervistato Morici, Delvè e Oberti.

Che importanza riveste, nelle tue opere, il rapporto con lo spazio?
Marco Morici: Enorme. Ho studiato architettura e ho fatto anche esperienze teatrali da giovane, questo bagaglio mi accompagna in ogni scelta. Sia lo spazio architettonico che quello teatrale mi hanno insegnato che i luoghi hanno flussi da raccontarti, e gli oggetti mobili che si trovano al suo interno cambiano completamente la conformazione di questi flussi. Credo sia il mio habitat creativo naturale, mi interessa molto come le opere cambiano respiro a seconda di come si posizionano. Quanto potenziale viene loro concesso o diminuito da un semplice spostamento nello spazio. Una delle caratteristiche di quest’operazione in galleria sarà proprio quella di avere la possibilità di spostare la nostra opera di riferimento. Trovo una cosa meravigliosa poter entrare in galleria e vedere quattro, cinque allestimenti diversi. Non c’è mai una migliore soluzione, c’è un racconto che si fa diverso a seconda della disposizione. Ma se il racconto è sincero e se si rispetta questo nella spazialità, ogni possibile allestimento è il migliore. Non è una questione di maggiore o minore visibilità, le opere si possono spegnere, uccidere, scurire. È concessa ogni operazione, purché sia significativa.

Marco Morici, Untitled (studio per Il teorema di Gauss), 2013, tronchi di legno, cemento, acrilico, courtesy CO2

Marco Morici, Untitled (studio per Il teorema di Gauss), 2013, tronchi di legno, cemento, acrilico, courtesy CO2

Giulio Delvè: Gran parte della mia pratica artistica ruota attorno all’idea di assenza. In lavori come Azione meccanica (di una roccia effusiva su un solido amorfo), Senza titolo con corvi, Lookout, Cancel, And if a double-decker bus crashes into us, l’atto di sottrazione è strettamente collegato al concetto di assenza: l’elemento poetico s’insinua tra il pensiero e il gesto artistico creando dei vuoti nel vissuto quotidiano che si trasformano in riflessioni molto più ampie sull’agire umano. L’assenza, il vuoto; lo spazio che questi elementi, prima di essere rimossi, occupavano all’interno di un determinato paesaggio, proprio quell’assenza implica la loro esistenza. Il rapporto con la scultura in questo senso per me è fondamentale. La scultura tramuta in materialità e fisicità qualsiasi cosa, in particolare le esperienze non visive di dislocazione, assenza, spostamento. Il linguaggio della scultura provoca una frattura del nostro rapporto con luogo, spazio, tempo. Parte della mia ricerca è legata al processo di calco, sono affascinato dal binomio sparizione-apparizione che ne deriva: l’impronta di un oggetto come materializzazione dello spazio che occupava prima di essere spostato, le cose qui e ora, visibili e fisiche, al tempo stesso divengono invisibili. Dal celebre saggio di Didi-Huberman La somiglianza per contatto: “L’impronta è meno di un’immagine, perché è un campo di tracce indescrivibili, ed è più di un’immagine perché manifesta qualcosa di assente in quanto reale presenza”.
Giovanni Oberti: Le opere abitano lo spazio, lo spazio c’è prima dell’opera e ci sarà anche dopo, a volte lo spazio compone l’opera per tutta la sua durata. Quando è possibile, prima di realizzare il lavoro studio lo spazio vuoto, inteso come luogo dove avverrà la rappresentazione, perché l’opera non venga solo relazionata visivamente allo spazio ma ne venga “incorniciata” valorizzando in questo modo la visione. L’importanza che lo spazio assume in ogni installazione è paragonabile alla presenza dello spettatore o dell’opera stessa. Mancasse una di queste tre fondamentali, verrebbe meno anche il senso.

Giovanni Oberti, Senza titolo (Indicazioni per uno spazio), 2008, scansione delle pagine di un libro stampata su carta fotografica lucida, courtesy the artist and CO2

Giovanni Oberti, Senza titolo (Indicazioni per uno spazio), 2008, scansione delle pagine di un libro stampata su carta fotografica lucida, courtesy the artist and CO2

Qual è il ruolo della materia nelle tue opere? Cosa ti spinge nella scelta di un materiale piuttosto che un altro?
M.M.: Cambio molto spesso materiale, all’interno di piccoli cicli. È interessante come le idee e i progetti si trasformino a seconda del materiale utilizzato. Sento una necessità di contatto fisico molto forte con determinati materiali, ed è solo questo a spingermi a utilizzarli, li sperimento per un determinato progetto, inseguendo una singola idea che si sconvolge quasi sempre a contatto con la specificità della materia. È come se il materiale durante la lavorazione si ribellasse e mi suggerisse di cambiare strada. Come se mi suggerisse ogni volta che la sincerità sta nel saper abbandonare una determinata progettualità, determinate aspettative che avevo nella lavorazione si allineano alle esigenze materiche.
G. D.: Non scelgo un materiale, ma la sua intrinseca capacità di narrazione. La mia ricerca prende spesso le mosse dalla rilettura di oggetti trovati o meglio, scelti, destrutturati e in seguito riallestiti. È per questo che lavoro con una così ampia gamma di materiali. L’assemblaggio ne è naturale conseguenza, poiché contiene in se il concetto di trasversalità e intersezione. Elementi e informazioni apparentemente incongrui s’intersecano e interagiscono dando vita ad un significato terzo; riorganizzati e ripresentati creano nuove associazioni e ulteriori possibilità.
G. O.: Tendono ad appassionarmi le materie semplici, di uso comune come la grafite della matita, oppure quelle che abitano il luogo di tutti i giorni, come la polvere, l’acqua, la terra. Rispetto alla sperimentazione sulla materia mi interessa maggiormente una ricerca sulla rappresentazione. Più che la scelta del materiale spesso mi trovo a scegliere l’oggetto, quello che veicolerà la forma dell’opera.

Cosa ti ha guidato, all’interno del progetto Il teorema di Gauss, nella scelta dell’opera di riferimento?
M. M.: La grande stima che ho per Zorio. La chimica che infonde le sue sculture mi sembrava perfetta per sottolineare questo clima di flussi creativi che si instaurerà in galleria. Molte opere di Zorio mutano col tempo, e il nostro approccio alla mostra muterà perché saremo noi a cambiare all’interno di quel mese di lavoro. La stella di Zorio scelta per la mostra ha riferimenti iconografici sicuramente anarchici, vorrei che questa energia si proiettasse anche sul mio lavoro e su quello dell’intera operazione.

Marco Morici, Untitled (studio per Il teorema di Gauss), 2013, cemento, lana di roccia, spray acrilico, courtesy CO2

Marco Morici, Untitled (studio per Il teorema di Gauss), 2013, cemento, lana di roccia, spray acrilico, courtesy CO2

G. D.: L’idea di paesaggio e la precarietà dell’equilibrio che si percepisce all’interno di Dinamica orizzontale, e in generale nelle opere di Mattiacci, la forza e l’energia sprigionate dal contatto tra materiali. Anche se sono sempre stato affascinato dalle sue azioni performative degli anni Settanta connotate da un forte approccio antropologico e dalle indagini sul concetto di esistenza e identità. Come nella performance a L’Attico in cui espone se stesso con le braccia e il busto ingessati; o nella serie fotografica Recupero di un mito nella quale l’artista si fa ritrarre assumendo l’aspetto dei pellerossa americani.
G. O.: All’interno del progetto mi hanno affiancato a un lavoro recente di Parmiggiani, artista che stimo e vorrei conoscere. Penso che la natura dell’associazione sia dovuta all’utilizzo da parte di quest’artista di elementi ricorrenti anche nel mio lavoro, come la fuliggine e la cenere.

Come avverrà in galleria il lavoro rispetto all’opera in corrispondenza?
M. M.: Ho lasciato aperte molte possibilità, voglio che sia l’atmosfera che si creerà tra di noi e con lo spazio a guidarmi.
G. O.: Vorrei sparisse, tornasse cenere e fuliggine, perdesse la forma e il colore disperdendosi nello spazio, per rimanere finalmente libera.

Il risultato sarà un processo creativo, più che una mostra. L’interazione con i visitatori sarà parte integrante del work in progress?
M. M.: Me lo auguro. L’idea non è tanto quella di coinvolgere attivamente lo spettatore nella creazione delle opere, quanto farlo partecipare ad un processo di crescita dell’opera. Crescita di una scultura ad esempio, che si nutre delle idee che suscita nella sua fase realizzativa da chi la osserva, da chi la vive, da chi la sfiora durante il periodo di lavoro. Mi piace l’idea che le nostre opere trovino linfa da questo scambio con chi verrà a visitarci durante il mese di lavorazione, come se le stesse opere respirassero i discorsi che avverranno in galleria. Che mutino perché in un determinato giorno verranno usate certe parole, certi argomenti. Come se le opere siano alla fine i custodi di questo vivere durante l’operazione.

Giulio Delvè, Senza titolo con libri (still from video), 2013, Dvd pal, 4-43’, courtesy the artist and CO2

Giulio Delvè, Senza titolo con libri (still from video), 2013, Dvd pal, 4-43’, courtesy the artist and CO2

G. D.: Sono interessato allo spazio espositivo come luogo nel quale i significati definiti sono annullati e dove lo spettatore è direttamente implicato nell’emergere di significati diversi, i quali diventano visibili solo attraverso l’opera e la sua percezione. Fulcro e catalizzatore dell’azione performativa, in cui convergono diverse temporalità e l’esperienza individuale si mescola a scambi sociali e ad una pratica condivisa. Lo spazio espositivo diventa, dunque, contenitore dell’esperienza umana, che s’interroga sulla realtà, la sua rappresentazione e interpretazione. Seguendo quest’orientamento vorrei dedicarmi al concetto di pratica scultorea come esperienza collettiva.
G. O.: Sfrutteremo lo spazio della galleria per avvicinare i visitatori al nostro lavoro, permettendone una visione non definitiva e in continua evoluzione, ci confronteremo l’uno con i progetti dell’altro e con le opere storiche di riferimento.

Marta Veltri

Roma // fino al 28 giugno 2013
Il teorema di Gauss
artisti: Giulio Delvè, Eliseo Mattiacci, Marco Morici, Giovanni Oberti, Claudio Parmiggiani, Gilberto Zorio
testi critici: Attilia Fattori Franchini, Gianni Garrera, Ludovico Pratesi
in collaborazione con Galleria Franca Mancini, Pesaro
CO2 GALLERY
Via Piave 66
06 45471209
[email protected]
www.co2gallery.com

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Marta Veltri

Marta Veltri

Marta Veltri (Cosenza, 1983) si è laureata in architettura a Roma con una tesi sull'allestimento museale delle Terme di Caracalla. Subito dopo ha fatto parte del team che ha dato alla luce UNIRE, progetto vincitore dell'ultimo YAP (Young Architects Programs)…

Scopri di più