Se glocal è il group-show

Sono sempre più numerosi i focus espositivi aventi per oggetto scene artistiche di luoghi specifici. In essi convivono, in modo meno conflittuale di quanto ci si aspetterebbe, lavori “neutri” dal punto di vista geografico-identitario, e pratiche al contrario esplicitamente “territoriali”.

Era solo vent’anni fa ma sembrano passati secoli da quando la struttura per padiglioni nazionali della Biennale d’arte veneziana veniva considerata desueta. Oggi è tutto diverso: nella nostra epoca “glocal” il modello espositivo distrettuale va forte e sono sempre più numerosi i focus espositivi aventi per oggetto scene artistiche di luoghi specifici.
Il trend sembra inarrestabile. C’è però un elemento che in questi group-show ad angolazione d.o.p. andrebbe messo maggiormente a fuoco. E cioè che, nonostante il loro essere generalmente costituiti da lavori “neutri” dal punto di vista geografico-identitario, e da pratiche al contrario esplicitamente “territoriali”; malgrado quindi una caratterizzazione marcatamente duale sul piano dei contenuti, queste mostre non palesano in fase di fruizione quegli scompensi che sarebbe logico attendersi.
Viene allora da chiedersi per quale motivo, e su quali basi, la compresenza in una stessa esposizione del localismo da un lato, e del cosiddetto international style dall’altro, sia dissonante in teoria, ma non alla prova dei fatti.

Manifesta 9 - una delle tantissime declinazioni del tema carbone

Manifesta 9 – una delle tantissime declinazioni del tema carbone

La spiegazione più plausibile, e anche quella più immediatamente verificabile, per cui queste collettive stanno comunque su in modo armonico, è che le opere del tipo localista sono “territoriali” sul piano referenziale, ma non in termini linguistici; sono cioè territorialiste, ma non locali; concernono sì un territorio, ma in termini appunto “indicali”, non promanando da esso come contenuti extra-referenziali. In altre parole, i lavori considerati “local” sono paragonabili a veri e propri “atterraggi”, sicché divergono dai primi (quelli per così dire “global” o appunto “international”) per il dato presente nell’inquadratura, ma non – a ben guardare – per il punto d’osservazione da cui scaturiscono.
In termini estetici, è questo un portato riconducibile all’ambivalenza appunto “glocal” della condizione storico-culturale in cui viviamo, la quale sembra aver sostituito a una fase diastolica, “espansiva”, in cui convivevano globalizzazione e stile “postmodernista”, una fase all’opposto sistolica, quella attuale, di contrazione e anelito al “locale”, al terrigno e all’“autenticità”, senza che però si sia registrato un effettivo restringimento del “campo visivo” a disposizione dell’artista, il quale semmai si è persino allargato.

Kevin Cummins sound and vision from Manchester - veduta della mostra presso Galleria ONO Arte contemporanea, Bologna 2012

Kevin Cummins sound and vision from Manchester – veduta della mostra presso Galleria ONO Arte contemporanea, Bologna 2012

Sta di fatto che, mentre in passato istanze artistiche connotate territorialmente anelavano all’internazionalità, oggi accade qualcosa di diverso e di opposto. E cioè che abbondano le mappature distrettuali sull’arte contemporanea, ma che queste si dimostrano più interessanti in quanto precipitati di un ritratto generazionale planetario, o quantomeno regionale su scala globale, che non in virtù di fantomatici genius loci.

Pericle Guaglianone

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Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone è nato a Roma negli anni ’70. Da bambino riusciva a riconoscere tutte le automobili dalla forma dei fanali accesi la notte. Gli piacevano tanto anche gli atlanti, li studiava ore e ore. Le bandiere erano un’altra sua…

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