Intervista a Jeff Wall. Aspettando la mostra di Milano

Milano, 19 marzo-9 giugno 2013. Il PAC di Milano presenta Actuality, la prima grande retrospettiva italiana del fotografo canadese Jeff Wall. Le 42 opere in mostra, alcune esposte per la prima volta in Italia, tracciano il percorso creativo di uno fra gli artisti contemporanei “più innovativi degli ultimi trent’anni”. Noi l’abbiamo intervistato.

Al PAC, insieme ai lightbox, saranno visibili anche le stampe sull’arido paesaggio di Hillside Sicily (2007), fra le riproduzioni più grandi di Jeff Wall (Vancouver, 1946).
Le sue composizioni sono il risultato finale di ricostruzioni composte in studio, frutto della pianificazione di ogni dettaglio e di giorni, a volte settimane, di accorgimenti. L’artista, infatti, interviene alterando digitalmente molti dei suoi scenari. Tuttavia ogni paesaggio, da lui impostato come rappresentazione, sembra imprimere nuova vita a realtà e a quotidianità. Ecco come ha risposto alle nostre domande.

Come nasce il titolo della tua retrospettiva al PAC?
Il titolo Actuality è stato creato per dare enfasi al concetto che le foto esposte in mostra sono connesse direttamente al mondo reale e non sono molto diverse da altri tipi di fotografie. Actuality mette  in risalto il fatto che, anche quando ho potuto coinvolgere diversi tipi di costruzioni, sintattiche o compositive, all’interno delle mie immagini, esse comunque non sono mai scese a patti con una categoria di realtà a noi già familiare, resa tale dalla fotografia stessa.

Quanti lightbox, quante serie verranno allestite a Milano? Sarà possibile vedere le tue serie più recenti oppure sono state scelte quelle più rappresentative del tuo lavoro?
La mostra è una selezione sia di lavori più recenti che di progetti più vecchi. Ne fanno parte lightbox, stampe in bianco e nero e stampe a colori di diverse misure e di differenti generi. In verità, Actuality non è stata pensata per essere una retrospettiva e nemmeno un sistematico survey show. Ritengo il percorso semplicemente un gruppo di immagini che io sento abbiano abbastanza in comune tra loro da restituire agli occhi del visitatore un insieme interessante, che alla fine riesce a conferire un senso indicato a descrivere il mio intero lavoro.

Jeff Wall, A Sapling supported by a Post, 2000, lightbox, 56.2 x 47 cm, Courtesy dell’artista

Jeff Wall, A Sapling supported by a Post, 2000, lightbox, 56.2 x 47 cm, Courtesy dell’artista

A proposito di alcuni tra i lightbox più iconici, come A Sudden Gust of Wind (after Hokusai) o Invisible man, potresti spiegarci quale ruolo assume la fotografia nei confronti della realtà? E l’uomo, quale tipo di collocazione riceve nelle tue immagini? Non posso rispondere a questa domanda, mi dispiace.

Quando e come la realtà e la sua esistenza diventano an extraordinary moment per Jeff Wall?
Mi dispiace, ma non posso rispondere neppure a quest’altra domanda.

Il tuo lavoro è caratterizzato da una sorta di sovrapposizione di processi fra le arti: la pittura sconfina nella fotografia, la fotografia si trasforma in una sorta di collage in stand by, diventando in ultimo finzione, più propriamente fiction. A tuo parere, questi passaggi fanno parte di una catena mentale preordinata o si tratta di una sorta di intuizione critica a posteriori?
Io ritengo che comunque il mio lavoro rimanga sempre chiaramente inscrivibile all’interno dei confini della fotografia, la quale non appare mai come una mera combinazione di altre arti, sebbene includa la pittura, il collage e via discorrendo. Io definisco quel che faccio cinematografia. Per me questo termine significa che, per quanto riguarda l’immagine in sé, si è imparato molto dal cinema e che non c’è mai un singolo, unico, valido modo di praticare la fotografia. Si può lavorare secondo metodologie strettamente documentariali, oppure si possono adottare diversi tipi di artifici, riproducendo entrambi gli approcci nella stessa foto. Tutto questo può rappresentare un uso legittimo della fotografia nel comporre un’opera d’arte.

Jeff Wall, Mimic, 1982, lightbox, 198 x 228.5 cm, Courtesy dell’artista

Jeff Wall, Mimic, 1982, lightbox, 198 x 228.5 cm, Courtesy dell’artista

Come lavora l’ispirazione di Jeff Wall nei confronti del processo intuitivo della fotografia? Come solitamente sceglie quale tipo di esperienza del tempo debba essere riquadrata e dunque ricreata?
Io traggo ispirazione da qualsiasi parte essa venga: tanto per caso, quanto dalle cose che vedo, da ciò che sento o che scopro attraverso altri canali percettivi, proprio come ogni altra persona. Non so spiegare perché io sia attratto di più verso un preciso punto di partenza piuttosto che un altro, proprio non saprei.

Quanto tempo richiede comporre uno dei tuoi paesaggi/scenari?
Le mie foto possono richiedere moltissimo tempo per essere create e prodotte, ovviamente sussistono motivi tecnici che giustificano una tale durata del processo. Talvolta, invece, possono essere realizzate davvero velocemente. Eppure io ne sono lieto, felice di procedere in entrambi i modi. Amo la complicazione tanto quanto la semplicità.

Programmi futuri?
Io non ho un programma reale, non mi piace pianificare a oltranza la mia vita, lavoro semplicemente spostandomi da foto a foto.

Ginevra Bria

Milano // fino al 9 giugno 2013
Jeff Wall – Actuality
a cura di Francesco Bonami
Catalogo Electa
PAC
Via Palestro 14
www.jeffwallmilano.it

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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