Ultimi chiodi alla bara di Telemarket?

Dopo oltre trent’anni la storica emittente tv, tutta arte e televendite, sembra giunta al capolinea. Dai fasti degli Anni Ottanta fino alle ultime grane di una gestione non sempre limpidissima, se ne va un fenomeno di costume. Immortalato memorabilmente da Corrado Guzzanti.

Per comunicare la propria prossima e inevitabile scomparsa ha scelto i toni chiassosi e naïf che hanno contraddistinto la sua lunga vita: prima l’annuncio in diretta, portato da uno dei volti più noti della sua storia recente. Poi, a imperituro e memorabile monito, l’addio online, annuncio di un’agonia destinata a protrarsi per almeno un paio di mesi. Telemarket chiude si legge a caratteri azzurri sul suo sito, con un aggressivo font militare che ricorda i titoli di coda degli A-Team. E subito parte una imperdibile liquidazione totale. Fuori tutto, e tutto al più presto: due mesi di tempo per aggiudicarsi i ricolmi magazzini di un’emittente che pare ormai messa in liquidazione, con ribassi fino al 70%. Un mesto declino per la sorridente tv dell’elefantino verde.
La fine di Telemarket è, per il panorama delle televisioni commerciali locali e regionali, ciò che fu per Roma il 476 d.C.: quella specie di impero catodico federale che ha segnato il progressivo sgretolamento nel monopolio Rai non esiste di fatto più da tempo, soppiantato dalla barbara ingordigia di pubblico del digitale terrestre, della pay tv e del web; e al tempo stesso continuerà a resistere ancora per un po’, almeno a livello nominale, nelle dimenticate sacche di resistenza di qualche reazionaria enclave dell’intrattenimento televisivo.
Addio Telemarket, con te se ne parte la primavera della tv commerciale; un’avventura cominciata nel 1982, quando Giorgio Corbelli rileva – a nemmeno trent’anni – le frequenze di Tv Shop Canale 4, erede della germinale esperienza di Brescia Tv Shop nel mondo delle televendite. L’aria è frizzante, gli Anni Ottanta libertari e disinvolti: da dove tragga le proprie fortune il giovane e sconosciuto imprenditore romagnolo non è chiaro; poco approfonditi pure i suoi legami con il democristiano Giovanni Prandini, ministro dei lavori pubblici ai tempi degli ultimi governi Andreotti. Fatto sta che Telemarket cresce a dismisura, acquisendo frequenze come fossero caramelle: nel 1987 può fregiarsi dello status di televisione nazionale, grazie a una rete di ripetitori che le permette, nei primi Anni Novanta, di coprire oltre due terzi del territorio nazionale.

Le sue televendite lanciano icone del costume come Vanna Marchi (subito) e Francesco Boni (più tardi): quest’ultimo è il Caronte che, suo malgrado, trascina l’atmosfera di Telemarket su altri lidi, contribuendo alla costruzione di una fama finalmente mainstream e non più appannaggio esclusivo dei collezionisti da salotto. I suoi intercalari gutturali, al pari delle rocambolesche e fantasiose interpretazioni di pezzi non sempre memorabili, ispirano a Corrado Guzzanti il personaggio di Tonino Mutandari: è con la satira de L’Ottavo Nano che Telemarket entra in maniera definitiva e totale nelle case degli italiani.
Intanto, tra la proposta di tappeti persiani e quella di gioielli di ogni foggia e valore, si irrobustisce lo spiccato interesse nei confronti dell’arte: con le comparsate di Vittorio Sgarbi e il tentativo di lanciare il format per uno sfortunato Tg dell’Arte; ma anche quello per uno spazio informativo tout-court, con la collaborazione – tra gli altri – di Gigi Moncalvo. Aprono gli show-room: a Milano, Roma, Bologna, Napoli e naturalmente Brescia; mentre il patron Corbelli differenzia i propri investimenti puntando sullo sport. Dalla fine degli Anni Ottanta è titolare di diverse franchigie del campionato di massima serie di basket, da Forlì a Roma – che salverà dalla retrocessione – fino alla mitica Olimpia Milano; ma è con l’iniezione di 100 miliardi di lire nelle esauste casse di un Napoli ormai in bilico tra serie A e cadetteria che balza agli onori delle cronache.

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Ed è proprio in qualità di presidente degli azzurri che conoscerà i primi problemi giudiziari: il crac finanziario che affosserà la società nel baratro dell’allora Serie C gli vale una condanna a tre anni e sei mesi per bancarotta fraudolenta. All’improvviso Corbelli si scopre Re Mida al contrario: tutto ciò che gli passa per le mani finisce male. Provare per credere il fallimento di Finarte, spazzata via dopo l’infausta fusione con la sua Semenzato e il caso delle false grafiche di Cascella vendute proprio attraverso Telemarket: un gioco che vale la scomparsa della casa d’aste e, a Corbelli, l’arresto con l’accusa di associazione a delinquere, truffa, ricettazione e riciclaggio. Con ulteriore condanna a un anno e otto mesi di reclusione.
Il marchio Telemarket, un po’ acciaccato nella credibilità, è comunque sempre sopravvissuto: anche all’acquisto delle frequenze da parte di Telecom Italia Media (leggi: La7), che nel 2005 ne aveva acquisito gli originali spazi sull’etere. Ora la notizia di una – a questo punto seconda – morte imminente, preceduta circa un anno fa dall’oscura operazione di rilancio di Telemarket 2, passato da canale di repliche a entità a se stante sotto la guida di Giorgio Gnudi, ex braccio destro dello stesso Corbelli, a sua volta coinvolto in inchieste giudiziarie non certo lusinghiere (nel suo curriculum spunta pure una condanna a un anno di carcere per violenza sessuale, poi passata in giudicato). Torbide, insomma, le acque in cui boccheggia Telemarket. Abbastanza per affogarla davvero?  

Francesco Sala

www.telemarket.com

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