Napoli e gli indignati di Largo Baracche

Non si ferma l’onda d’indignazione sul suolo italico. Una collettiva di undici artisti napoletani s’installa negli spazi di Largo Baracche. E fino a metà giugno si riflette proprio su ciò che resta del movimento degli Indignados.

Una mostra che si propone di analizzare e approfondire le cause che hanno animato il movimento di protesta degli Indignados, partito dalla capitale spagnola la scorsa primavera e poi esploso nelle principali città di tutto il mondo, New York in testa, sotto il cappello Occupy. Una mostra che vuole sottolineare come la ribellione e la rabbia dei ragazzi spagnoli sia pane quotidiano per chi vive una città complessa e difficile come Napoli, e soprattutto per chi lavora nel mondo dell’arte, che è ben consapevole di trovarsi in uno stato di crisi semi-permanente.
La richiesta di maggiori diritti, la rivendicazione di una democrazia più partecipativa, i tentativi di porre un argine allo strapotere della finanza espressi dagli Indignati di tutto il mondo si sommano, per gli abitanti del meridione d’Italia, alla mille difficoltà e alle innumerevoli lotte che si combattono nella vita d’ogni giorno.
Simbolo degli ostacoli che accompagnano chi vive d’arte in questi luoghi è il posto stesso che ospita la mostra, Largo Baracche. Questo spazio, collocato in una realtà di per sé già estremamente problematica come i Quartieri Spagnoli, è  una galleria sotterranea usata come rifugio antiaereo durante la Seconda guerra mondiale e poi sfruttata come deposito di motorini rubati, finché nel 2006 due ragazzi impavidi e ambiziosi, Giuseppe Ruffo e Pietro Tatafiore, decisero di farne un’organizzazione non profit, un luogo dedicato all’arte e alla cultura, destinato a studenti, creativi, residenti della zona, che usasse l’arte non soltanto come strumento economico.

pietro tatafiore giuseppe ruffo Napoli e gli indignati di Largo Baracche

Pietro Tatafiore e Giuseppe Ruffo

La sopravvivenza di questo spazio, nonostante la mancanza di tutela, i numerosi ostacoli incontrati, le intimidazioni subite e il disinteresse totale delle istituzioni, è un atto di resistenza forte e continua. Ai danni subiti nel corso di questi anni si è aggiunta la beffa degli ultimi giorni: un progetto comunale di restyling dalla piazza, che ignora totalmente l’esistenza di Largo Baracche e i risultati eccellenti raggiunti con le grandi collettive di questi anni (da The Wall a God Save the Culture, da Padania Felix a Morti bianche). Così, se con facilità estrema e grandi soddisfazioni gli organizzatori hanno creato una rete di contatti con realtà straniere altrettanto pulite e nuove, volando fino a Manhattan per promuovere la creatività partenopea, non altrettanto semplicemente sono riusciti a instaurare un dialogo con gli esponenti della Giunta comunale, trovando sempre silenzi e rifiuti quando hanno tentato di proporre un piano di iniziative comuni.
A raccontare altre complicazioni e inconvenienti di chi vorrebbe vivere d’arte all’ombra del Vesuvio sono gli artisti stessi. C’è chi, come Tommaso Freda, è giovane e ancora in cerca di una propria linea espressiva, e vorrebbe sperimentare tanto e continuamente, ma è costretto a risparmiare sulle tele. O artisti già affermati, come Maria Giovanna Ambrosone, che in mostra presenta un barattolo di vetro che racchiude 925 pillole di arsenico preparate dai Parlamentari italiani, a rappresentare le leggi con le quali in maniera lenta e costante ci rendono assuefatti a inganni e soprusi.
Al di là dell’eterogeneità delle scelte stilistiche, delle tecniche e dei materiali utilizzati, il capolavoro sta proprio nell’esistere, e nel resistere, in una realtà come questa.

Isabella Santangelo

Napoli // fino al 15 giugno 2012
Indignados
LARGO BARACCHE
393 3641664
[email protected]
largobaracche.org

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Redazione

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