Pina Bausch e la maturità del 3D

Un grande regista, una grande coreografa, un gran film. Tre fattori di altissimo livello che, fra le tante altre cose, concorrono a far “crescere” il 3D. Da esperienza di facile divertimento a strumento pienamente cinematografico.

Pina Bausch e Wim Wenders si conoscono al Teatro La Fenice di Venezia nel 1985 in occasione di una retrospettiva dell’opera della Bausch. Affascinato dal teatro-danza, Wenders propone alla Bausch di girare un film sulla sua rivoluzionaria attività artistica. Devono passare tuttavia vent’anni da quell’incontro prima che, grazie alla tecnologia in 3D, Wenders abbia finalmente a disposizione i mezzi tecnici adeguati per affrontare il progetto. Nel 2009 iniziano le riprese, subito interrotte a causa dell’improvvisa morte di Pina. Spronato dai danzatori del Wuppertaler Tanz-Theater, Wenders ricomincia le riprese del film, che si trasforma in un omaggio alla memoria della coreografa. Come già deciso con Pina, quattro sono le coreografie riproposte nel film: Le Sacre du Printemps (1975), Café Müller (1978), Kontakthof (1978; 2000; 2008) e Vollmond (2006).

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Wim Wenders - Pina

I lavori scelti sono particolarmente illustrativi della nuova estetica coreografica della Bausch e ne ripercorrono la genesi. Sacre è uno spettacolo ancora legato alla tradizione, ma che mostra in nuce gli elementi originali caratteristici delle sue opere mature. In Café Müller, il pezzo più autobiografico della Bausch e l’unico in cui lei stessa figura come danzatrice, emergono i temi più cari alla coreografa, quali la difficoltà di comunicazione nelle relazioni tra uomini e donne e il dolore dell’abbandono e dell’isolamento. Kontakthof, creato nel 1978 e ripreso nel 2000 e 2008 con danzatori non professionisti (anziani over 65 e adolescenti tra i 14 e i 18 anni), sperimenta le diverse modalità espressive legate alle differenze di età e capacità fisiche e mostra come tenerezza, seduzione ed erotismo non si affievoliscano con il passare degli anni. Vollmond costituisce una sintesi dei temi classici della Bausch immersi nell’elemento acqua, presenza determinante dello spettacolo.

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Wim Wenders - Pina

Oltre alle coreografie, alcuni membri storici della compagnia offrono ricordi commossi del percorso umano e artistico compiuto insieme a Pina. Questi ricordi si alternano a sequenze di danza insolitamente eseguite nei luoghi più significativi della città di Wuppertal, sede della compagnia, o in spazi aperti, rendendo così omaggio all’inesauribile amore di Pina per la natura, la cui presenza costituisce un vero e proprio leitmotiv dei suoi spettacoli.
Pina
rappresenta uno dei primi esempi cinematografici in cui il 3D conosce un uso diverso da quello divenuto già in pochi anni comune, vale a dire la meraviglia infantile e l’effetto fracassone. Normalmente, infatti, il 3D è l’elemento iper-spettacolare che, insieme alla costosa merce digitale messa in campo dal blockbuster, giustifica il costo dell’esperienza e la costruzione di una narrazione precarissima e traballante. In questo caso, invece, il funzionamento è totalmente diverso, quasi opposto. La questione che si è posto Wenders è: come trasmettere a un pubblico di massa e globale l’esperienza totalizzante e radicale del teatro-danza, superando e abolendo momentaneamente i limiti spazio-temporali del teatro?

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Wim Wenders - Pina

Il 3D, se non completamente adulto, si avvia comunque qui alla maturità. Non è più un fine in sé come nei fumettoni, ma uno strumento tecnologico. Un dispositivo utile a comunicare allo spettatore la fisicità del teatro-danza di Pina Bausch, o almeno qualcosa di importante di quella fisicità. Pina è un oggetto culturale ibrido. Non solo perché è nato come un esperimento di collaborazione con l’artista, e in seguito alla sua scomparsa si è trasformato in un omaggio alla sua opera (a questo passaggio corrisponde la transizione che le coreografie compiono dallo spazio chiuso del teatro a quello aperto del mondo reale).
Ma perché questo stesso legame tra un immaginario contemporaneo, una modalità di fruizione totalmente calata nell’oggi e una delle tradizioni culturali più rilevanti e resistenti del secondo Novecento costituisce già un modello, un prototipo di esplorazione delle possibilità espressive – finora quasi ignorate, a favore di una “monocoltura” spettacolare – offerte dal mezzo. Questa operazione è una sorta di “stress salutare” per il 3D: una tappa-chiave della sua uscita dalla condizione bambinesca, “da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso”, come ha scritto Kant in Che cos’è l’illuminismo.

Alessandra Zanobi e Christian Caliandro

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L’anteprima del film

Wim Wenders – Pina
Germania/Francia/UK – 2011 – 106’

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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