Tra apocalisse e nostalgia. A Londra autunno Postmodern

Lo stile postmoderno? Ve lo racconta il Victoria & Albert Museum di Londra, a partire da fine settembre. Con una retrospettiva ampia e succosa che indaga la maionese culturale di questi ultimi decenni. Un’indagine attraverso l’arte, la musica, il design, l’architettura, il cinema, la moda, la grafica. Cercando i parametri di uno stile complesso ma inconfondibile, “Postmodernism” guarda al passato più recente, per tentare di definire un futuro possibile.

La questione del Postmoderno. Disputatio fra le più avvincenti dei nostri tempi, attorno alla quale si continua a dibattere e a interrogarsi. Siamo tutti postmoderni? Siamo ancora in mezzo a una medesima temperie culturale, dopo qualche decennio dal suo simbolico avvento? Ne usciremo mai? Ne siamo già usciti? Da dove parte l’idea di una rifondazione, di un nuovo incipit che segua, spiazzandoci, questa fine che non smette di finire?
Un tempo “penultimo”, il nostro. Un tempo in cui – per usare una folgorante immagine di Susan Sontag – l’apocalisse incombe, sì, ma non arriva. Siamo dentro una “catastrofe in slow motion”, avvezzi alla terribile banalità di una condizione storica tramutatasi in impasse. È questo allora un tempo della fine e del remake, che, esaurita la sua vis produttiva, è giunto ormai sul ciglio di uno strano precipizio, del tutto simile a un limbo: là dove si insegue la possibilità di un’inversione, di uno sbocco, di un sussulto realmente ri-generativo.
All’origine di questa apocalisse al rallentatore, di questa fine infinitamente rimandata, di quest’incertezza presente e perenne, c’è dunque l’avventura postmoderna. Sorta di vuoto eccentrico, che fu detonatore di grandi energie creative.

Al di là di connotazioni banalmente positive o negative, il Postmodernismo si configura come un mix inquieto e ambiguo di umori, attitudini, intuizioni, correnti, modi e mode, conquiste e débâcle: citazionismo, approccio ipermediatico, ricombinazione, spostamento e camouflage, formalismo, nichilismo, utopia e catastrofe, sincretismo, decostruzionismo, relativismo. E ancora ironia, nostalgia, gusto per il kitsch e per l’eccesso. Tutto questo, ma non solo. Unica certezza: l’impossibilità di confezionare una definizione univoca per quello che è stato non tanto un movimento critico-teorico, quanto una straordinaria declinazione dello spirito complesso della contemporaneità. Un altro modo d’essere moderni, palesatosi a partire dagli anni ‘70.
Il Victoria & Albert Museum affronta adesso la faccenda, focalizzando l’attenzione su quegli aspetti teorici, formali ed estetici legati alle arti visive, all’architettura, al design, passando per il cinema, la moda, l’editoria, la musica. Il progetto, pensato come una retrospettiva ad ampio raggio, fa il punto sull’humus creativo da cui sbocciò quella “nuova ondata”, incerta e convulsa, che investì il nostro passato recente, sfuggito al sogno della Modernità.

Jeff Koons American Louis XIV 1986 stainless steel foto Bill Hammond Tra apocalisse e nostalgia. A Londra autunno Postmodern

Jeff Koons - Louis XIV - photo Bill Hammond

Postmodernism: Style and Subversion 1970-1990 è il titolo della mostra, in programma dal 24 settembre. Certamente una delle chicche più gustose che ha in serbo l’imminente autunno londinese.
Lo spirito controverso del pensiero postmoderno verrà scandagliato attraverso una carrellata di opere partorite dall’ingegno di artisti, grafici e designer. In tutto 250 oggetti chiave, utili alla lettura del fenomeno e alla definizione di uno stile.
Dalle grafiche di Peter Saville e Neville Brody alle maquette e ai rendering di celebri progetti architettonici; dai dipinti di Robert Rauschenberg ed Andy Warhol al busto in acciaio inossidabile di Luigi XIV firmato Jeff Koons (1986); dall’energia nichilista e straripante del punk all’eccellente capitolo del made in Italy rappresentato da realtà come Memphis e Studio Alchimia; dall’emblematico billboard di Jenny Holzer, figlio dell’era consumistica per eccellenza (Protect Me From What I Want, 1983-85)  ad alcuni oggetti arrivati dal set di The Last of England (1987), capolavoro di Derek Jarman. E ancora moda, decisamente art-oriented: c’è l’abito usato da David Byrne per il documentario di Jonathan Demme Stop Making Sense (1984) e il futuristico “maternity dress” disegnato per Grace Jones da Jean-Paul Goude e Antonio Lopez nel 1979; e poi il costume di scena luminoso ideato dall’artista David Salle per Gogo Ballerina (1988), il balletto d’ispirazione punk di Karole Armitage, ma anche quell’Homage to Levi-Strauss, creazione della fashion designer milanese Cinzia Ruggeri (1983-84), che per i curatori della mostra è l’esempio perfetto del look postmoderno: forme eccessive, svettanti e asimmetriche, trucco e acconciatura teatrali, e persino una posa – quella della modella  – che evoca ipnotiche fluttuazioni immaginative.

Ma non è tutto. L’energico museo s’è inventato un progetto parallelo, dedicato al popolo dei music-addicted con l’anima nostalgica. In collaborazione con la super-etichetta discografica Emi, ecco pronta una compilation di brani e videoclip, concepita come ideale soundtrack della mostra, nonché di un’epoca intera. Prima produzione musicale del V&A, il cofanetto include cd, dvd e vinili. Dentro ci sono alcuni pezzi da novanta della pop music culture, con gente del calibro di David Bowie, Blondie, Depeche Mode, Eurythmics, Kraftwerk, Devo, Laurie Anderson, Duran Duran, Grace Jones , Ultravox, Talk Talk. Un perfetto viaggio à rebours, autentica delizia per occhi e orecchie.
L’energia negativa del postmoderno è stato il più potente carburante che arte, design e pop music abbiano mai scoperto. Il Postmoderno è l’ingrediente che ha reso la New Wave realmente ‘new’. È stato il Dna di MTV”. Chiare e illuminanti le parole Glenn Adamson, uno dei curatori. Ovvero: siamo tutti figli di questo fenomeno a tinte forti, che ci ha posti in una condizione di alternatività (non di successione cronologica, né di antitesi o di superamento) rispetto al Moderno. “Il modernismo voleva aprire una finestra sul nuovo mondo. Il Postmoderno, al contrario, era come uno specchio rotto, una superficie riflettente fatta di molti frammenti”. Immagine efficacissima.
E noi qui, a continuare a rimirarci tra quei cocci specchianti. Domandandoci se ancora esista un destino per la parola ‘nuovo’ e a partire da dove – crollo dopo crollo, crisi dopo crisi – si debba provare a inventare un altro inizio, un altro senso.

Helga Marsala

Il gadget da non perdere

Londra // fino al 15 gennaio 2012
Postmodernism: Style and Subversion 1970-1990
a cura di Jane Pavitt e Glenn Adamson
www.vam.ac.uk


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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

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