La cultura dell’aperitivo va al museo

Aperitivo al museo. Non è una novità, questo lo sappiamo. E nemmeno le feste, i concerti, gli eventi, le notti bianche. Ma qualcuno aveva mai tentato una panoramica su storia e diffusione del fenomeno? Fra anticipatori e derivativi, il passo è lungo e di stile ne passa. Giorgio Galotti, della CO2 Contemporary Art di Roma, propone il suo punto di vista.

Era il 1827 quando Eugène Delacroix raffigurò senza volerlo una delle scene di orgia più celebri della storia dell’arte, La morte di Sardanapalo. Secondo la leggenda, i ribelli avevano attaccato il palazzo del re assiro, il quale, vedendosi perduto, ordinò immediatamente agli eunuchi e ai dignitari di corte di uccidere mogli, cavalli, paggi e cani, affinché nulla che lo aveva servito potesse sopravvivere. Con questo dipinto Delacroix, condannato dalla critica, perse irrimediabilmente tutte le commissioni pubbliche.

Un dipinto di Terry Rodgers La cultura dell'aperitivo va al museo

Un dipinto di Terry Rodgers

Nel 1977, ben 150 anni dopo, Terry Rodgers, pittore americano, iniziava la sua carriera artistica ripartendo proprio da quelle orge dove, in complesse scene cariche di particolari, rappresentava la vita e la decadenza di una classe privilegiata, tra sesso, superalcolici e interni lussuosi. In entrambi i casi, la vita quotidiana della classe dirigente e politica veniva trafitta da una liberazione orgiastica. In entrambi i casi, la critica condannò chi questo clima da Basso Impero lo aveva voluto dipingere nelle sue tele.
Oggi ci troviamo a celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, nata anch’essa da un’orgia di entusiasmo e positivismo, e costretta a festeggiare in altrettante ammucchiate selvagge, feste assurde, mostre azzardate e iniziative culturali che gridano vendetta.
Roma ne è una testimonianza vivente. E se anche questo non fosse bastato, con l’arrivo dell’estate, le bancarelle sugli argini del Tevere e il brulicare di folle per le strade della Capitale, si affaccia una nuova moda, un’ultima tendenza di dissacrazione: Roma e i romani scoprono, improvvisamente, gli spazi museali.

Maxximalism La cultura dell'aperitivo va al museo

Maxximalism

E, sia chiaro, non per gli scopi connaturati a queste strutture: i romani, la gente della notte, i bons vivants dei locali capitolini, nei musei vogliono andare a prenderci l’aperitivo.
La questione potrebbe solleticare i palati dei ristoratori locali che, nell’estendere le proprie funzioni ai bar dei musei, potrebbero in poco tempo scoprire una passione particolare per l’arte, soprattutto per quella contemporanea, oggetto delle programmazioni dei nostri due musei più importanti: il Macro e il Maxxi.

Warm Up al P.S.1 La cultura dell'aperitivo va al museo

Warm Up al P.S.1

I due musei in questione navigano sulla rotta tracciata negli anni passati dal P.S.1 di New York, che durante l’estate ha deciso di puntare su feste in grado di riempire gli spazi esterni dell’ex scuola, diventata museo affiliato al MoMA, di gente proveniente da Manhattan. Ma in quei casi l’intento culturale non smette mai di pervadere la mente dei partecipanti e degli organizzatori. Su quest’ondata di divertissement è stata infatti pensata la rassegna musicale Warm Up, dove vengono invitati artisti (che hanno fatto e continuano a fare la storia della musica elettronica internazionale) con progetti performativi ad hoc. Fisherspooner, LCD Soundsystem, Dj Harvey, Groove Collective, Lovebug Starski, Afrika Bambaataa, Mad Professor, Richie Hawtin, Danny Krivit, Trevor Jackson, Francois K, Charlie Dark, Vikter Duplaix, Frederic Galliano, Kid Koala, Arto Lindsay, The Scissor Sisters, Ursula Rucker, Derrick May, Swayzak, Luke Vibert, XPress 2 e Danny Wang sono alcuni dei nomi che in questi anni hanno letteralmente modificato la programmazione di un museo del Queens, non da tutti conosciuto fino ad allora, e oggi forse il più sperimentale del mondo.

Il Palais de Tokyo in versione notturna La cultura dell'aperitivo va al museo

Il Palais de Tokyo in versione notturna

La stessa idea è stata frutto di eventi al Palais de Tokyo di Parigi, con il programma speciale di performance one night only Fuck my brain o le serate Fresh Hell del giovedì, dove artisti come Martin Creed, Cristal Ark, Eliane Radigue si sono esibiti dal vivo in performance musicali. Il programma extramuseale del Palais è stracolmo di eventi del genere, e la gente, in particolar modo gli under 30, vivono questi ambienti come veri e propri luoghi di culto, dove incontrarsi per svago o per lavoro.

LICA di Boston in notturna La cultura dell'aperitivo va al museo

L'ICA di Boston in notturna

L’Ica di Boston sono due anni che organizza il Party on the Harbour per accogliere l’arrivo dell’estate. Una festa il cui ingresso costa dai 100 ai 150 dollari senza particolari selezioni e il cui ricavato va a sostegno della programmazione del museo. Una festa per l’arte e con l’arte. E in attesa di queste celebrazioni, si organizzano nel museo i cosiddetti Vinyl Fridays, una rassegna a pagamento (gratuita per i membri sostenitori del museo) dedicata ad ascoltare buona musica con diversi dj internazionali.

Cerith Wyn Evans Untitled 2008 La cultura dell'aperitivo va al museo

Cerith Wyn Evans - Untitled - 2008

La Tate di Londra ha dedicato invece un programma alla musica, ai film e alle arti performative di altissimo livello, che a cadenza bimestrale si sviluppa senza intoppi, sfruttando anche il supporto di gallerie private da tutto il mondo. A Londra questa estate si proiettano film di Cerith Wyn Evans e John Maybury, si partecipa a performance di Katerina Seda e si ammira la danza di Michael Clark.
E mentre nelle altre capitali mondiali anche col divertimento si punta a fare cultura, quello che accade a Roma ha ancora un ruolo troppo indefinito. L’aria che si respira sembra però stimolare l’interesse di molti giovani che da questa estate stanno affollando gli spazi aperti del Macro Mattatoio e del nuovo bar del Maxxi.
L’esperimento era cominciato in forma più artistica nel 2010, quando la rivista Nero aveva provato a proporre una selezione di appuntamenti indirizzati alla cultura musicale più sperimentale dal titolo Maxximalism. La rassegna prevedeva performance sullo stile berlinese, coinvolgendo artisti come Koudlam, Zongamin, Omar Souleyman, Mike Bones, Brian DeGraw, Oliver Payne e Matt Connor, ma l’iniziativa non sembrava ancora in linea con la mentalità poco progressista dell’ambiente romano, abituato a una scena musicale già consolidata e preferendo disperdersi tra chiacchiere, ricchi buffet e aperitivi.

Madrenalina La cultura dell'aperitivo va al museo

Madrenalina

Eppure in Italia il Madre di Napoli ci è riuscito. Con la rassegna Madrenalina, gli eventi collaterali notturni hanno senza dubbio stimolato adrenalina nei più giovani, avvicinandoli all’arte con intelligenza. Maurizio Cattelan, Carsten Nicolai, Nico Vascellari sono stati i primi selezionati per le performance, i dj set e live set musicali che hanno attirato centinaia di non addetti ai lavori.
Nonostante questa ventata culturale di altissima qualità, il Madre non rinuncia a offrire un aperitivo abbinato a mostre di giovani architetti e artisti internazionali. Insomma, una serie di iniziative che, tra il 2009 e il 2011, ha fatto parlare del museo DonnaRegina in tutta Italia, ha stimolato l’interesse dei più giovani ma soprattutto ha diffuso cultura senza la necessità di giustificare la somministrazione di bevande.
Un’altra iniziativa che sembra essere andata a buon fine si è avuta a Roma con l’inserimento del Chiostro del Bramante e della terrazza dell’Ara Pacis nella programmazione del festival musicale Dissonanze. Entrambe le sedi erano state pensate per una proposta più sperimentale e performativa rispetto a quello che accadeva al Palazzo dei Congressi dell’Eur, prima che gli organizzatori decidessero di sospendere il festival giunto alla sua decima edizione.

Dissonanze al Chiostro del Bramante La cultura dell'aperitivo va al museo

Dissonanze al Chiostro del Bramante

Che ne sarà di quei musei che hanno la fama di aver reso Roma una città alla stregua delle sue concorrenti internazionali? Luoghi progettati da archistar come Odile Decq e Zaha Hadid, costati al Comune diversi milioni di euro, sembrano non volersi adeguare al trend del resto del mondo, dimostrando ancora una volta un leggero provincialismo, preferendo le organizzazioni di realtà notturne romane a performer della scena globale. Luoghi che dovrebbero appartenere alla Roma culturale, alla Roma dell’arte, alla Roma di respiro (quantomeno europeo) non riescono a trovare una collocazione culturale vera e propria.
Ancora una volta sarà la critica a implorare la loro redenzione.

Giorgio Galotti

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