Fotografia e identità. Dieci mostre da vedere al SI Fest OFF 2018

Savignano sul Rubicone ‒ fino al 30 settembre 2018. All’interno del SI Fest 2018, il circuito OFF ospita una serie di mostre di giovani e giovanissimi fotografi, dedicate al delicato tema dell’identità contemporanea. Riallacciandosi al cartellone principale che affronta una molteplicità di temi legati all’attualità sociale.

Come siamo oggi e, soprattutto, chi siamo? Se lo chiedono i giovani fotografi che, prima di essere artisti, si sentono individui vicini agli altri, in particolare ai loro coetanei, per aspirazioni, dubbi, insicurezze, solitudini. Identità del contemporaneo è la tematica scelta dalla direzione artistica per la nona edizione della sezione OFF di SI Fest, un viaggio per immagini fra corpi e luoghi intimi, fra atteggiamenti, usi e costumi, compresi l’assuefazione alla tecnologia e la “schiavitù” che ne deriva, e il sesso virtuale come necessità economica e perversione del mostrare il proprio corpo. Contemporaneità, ma anche passato come risorsa per capire la prima. La memoria, soprattutto quella familiare, resta un elemento importante di formazione della propria identità, che può essere visto come un processo dinamico sviluppato lungo l’intero arco della vita, sottoposto a infinite variabili e variazioni, sulla base delle circostanze e della propria crescita personale, ognuno costruendo una peculiare unicità, più o meno a contatto con gli altri. Dal punto di vista delle relazioni, lo sviluppo delle piattaforme virtuali dei social network ha profondamente cambiato il modo di avvicinarsi agli altri, in particolare per i più giovani, offrendo anche nuove possibilità di dar vita a identità più o meno fittizie, nel solco di un’ossessione per l’apparenza. Oggi infatti molti di noi vivono nella consapevolezza dei molteplici sguardi ai quali siamo quotidianamente sottoposti, sguardi ai quali ci sentiamo obbligati a fornire risposte e giustificazioni. Si è ancora liberi nel creare la propria identità?

QUELLO CHE (NON) SIAMO

Adriaan Kuntz, Quello che (non) siamo

Adriaan Kuntz, Quello che (non) siamo

Adriaan Kuntz (Ansbach, 1987) sviluppa un’indagine sull’inafferrabilità delle identità, attraverso le storie di quei giovani che hanno scelto di trasferirsi a Berlino per costruirsi un avvenire e soprattutto capire chi sono. Un salto ambientale e culturale che li pone, inevitabilmente, nella necessità di guardarsi indietro, di conservare la loro cultura d’origine, e cercare un punto d’equilibrio con le necessità dell’integrazione e dell’assunzione di nuove abitudini sociali e di vita. Quest’indeterminatezza dell’identità, dettata dalle circostanze, è suggerita negli scatti di Kuntz dall’impossibilità per l’osservatore di determinare il volto e il sesso del soggetto ritratto, che molto spesso porta anche una maschera sul viso. Una distorsione dell’immagine che si fa metafora della difficoltà, oggi, di essere se stessi e poterlo comunicare agli altri in maniera oggettiva.

L’ALTRO ARCHIVIO

Alessandra Carosi, L’altro Archivio

Alessandra Carosi, L’altro Archivio

Le relazioni interpersonali sono la dinamica sociale analizzata da Alessandra Carosi (San Benedetto del Tronto, 1984), il cui lavoro fotografico non è soltanto d’immagine, ma anche di analisi semantica, attraverso la ricontestualizzazione di oggetti e piccoli rifiuti urbani, offerti all’osservatore come inconsueti testimonial di azioni urbane a sfondo sociale, appelli al riavvicinamento fra individui, all’andare oltre con l’immaginazione che, fra il cemento soffocante delle città, ha purtroppo perso il suo slancio. Carosi ci invita a “consumare” relazioni, a viverle come occasioni attraverso le quali mettersi in discussione e riscoprire la propria identità.

GRANDPA JOURNEY

Carlotta Di Lenardo, Grandpa Journey

Carlotta Di Lenardo, Grandpa Journey

Il filo della memoria riemerge dopo un poderoso lavoro di editing sull’archivio fotografico del nonno paterno di Carlotta Di Lenardo (Udine, 1993), che si appropria di quegli scatti avvicinandoli con reverenza affettiva, e intervenendovi lo fa con delicatezza, a voler affiancare la sua visione del mondo a quella del congiunto scomparso. Ne nasce un filo rosso sospeso fra passato e presente, dove l’identità emerge come somma di esperienze, di condivisioni di conoscenze, punti di vista, sensibilità. Siamo, in parte, quello che i nostri antenati sono stati prima di noi.

COLLETTIVO CONO

Collettivo Cono, Cono

Collettivo Cono, Cono

Profondamente concettuale l’indagine del Collettivo Cono, che nel lavoro omonimo si erge contro il dilagare della virtualità, la quale, attraverso il mercato online, dirige le nostre preferenze e la nostra volontà di consumatori. Stimoli continui cercano di catturare la nostra attenzione, attraverso messaggi falsamente suadenti, senza dimensione, senza identità. Questi otto artisti premono quindi per un ritorno alla materialità del linguaggio, delle relazioni, rieducandosi a toccare gli oggetti, senza doverli sempre guardare attraverso lo schermo di un computer o di uno smartphone. La rielaborazione fotografica caratterizza questo lavoro, in forma di collage di immagini, testi, disegni. Ognuno con una sua concreta poeticità.

AENEAS, THE FIRST REFUGEE

Francesca Maria Fiorella, Aeneas, The First Refugee

Francesca Maria Fiorella, Aeneas, The First Refugee

Affonda le sue radici nella storia antica sfumata nella mitologia la ricerca di Francesca Maria Fiorella (Lecce, 1987), che riflette sulle vicende del troiano Enea trovandovi corrispondenza con quelle dei tanti disperati che approdano ancora oggi sulle coste italiane, in fuga da guerre e persecuzioni. Le immagini proposte dalla fotografa si compongono di simboli e dettagli che, insieme, suggeriscono l’idea del viaggio come speranza di ricostruirsi un’identità e una storia presso altri lidi. Come S., il migrante che attraverso la Turchia è approdato in Italia. Al bianco e nero Fiorella aggiunge interventi pittorici dal sapore concettuale, come la cancellazione del volto, per ribadire come non ci sia differenza fra quel lontano passato e il tragico presente.

ANTROPOLOGIA APATICA

Giada Pasini, Antropologia apatica

Giada Pasini, Antropologia apatica

Emblematico il titolo scelto da Giada Pasini (Cesena, 1995) per raccontare l’assuefazione alla tecnologia e la spersonalizzazione che ne consegue. Due ragazze dai capelli rasati, a rappresentare l’individuo in senso generico, sono le protagoniste di scatti in cui l’individuo appare completamente estraniato dalla realtà che lo circonda, incapace di staccare lo sguardo dallo smartphone o da altri oggetti elettronici. La realtà virtuale come una bolla malefica foriera di solitudine, fragilità, insicurezza, alienazione, distruzione dell’identità. Questo l’allarme lanciato dalla poetica narrazione di Pasini, dove la luce si presenta sotto una duplice forma: una porta sul mondo, che possiamo varcare per riprendere contatto con la realtà, uscendo dalla bolla di vetro, o il brillio ingannevole degli schermi digitali, di cui rischiamo di restare prigionieri.

WELCOME TO MY ROOM

Sara Lorusso, Welcome to my Room

Sara Lorusso, Welcome to my Room

L’esibizione del corpo non ha soltanto motivazioni legate alla ricerca della notorietà, dell’ammirazione altrui, più o meno giustificata. Nell’era della precarietà e della crisi economica ormai endemica, si esibisce il corpo per soldi, sfruttando il voyeurismo diffuso sul web. Sara Lorusso (Bologna, 1995) affronta questo fenomeno sociale in maniera indiretta, mostrando non tanto i corpi nudi, quanto gli ipotetici ambienti in cui, tramite una webcam, ragazzi e ragazze si mettono in mostra. Luoghi che racchiudono un’esistenza, che rivelano una personalità, la cui intimità più profonda è oggi violata per vile denaro. C’è una tristezza latente in queste fotografie, dove luoghi personali sono diventati banali non-luoghi, freddi e distanti, costruiti a uso e consumo di un pubblico lontano, ma pagante. Un lavoro fotografico che racconta come, a poco a poco, l’individualità esca anche dalla propria casa.

LONG DISTANCE CALL

Prune Phi, Long Distance Call

Prune Phi, Long Distance Call

Un viaggio dall’Europa agli Stati Uniti, alla ricerca di quei familiari che fuggirono dal Vietnam alla fine degli Anni Settanta. Sospesa fra tre continenti, Prune Phi (Parigi, 1991) osserva come l’emigrazione sia anche un’occasione di sovrapposizione culturale, con arricchimenti in un senso e impoverimenti nell’altro. Se infatti si apprendono nuovi elementi di vita nel Paese di arrivo, altri se ne lasciano inevitabilmente nel Paese di partenza. Una sovrapposizione che Phi racconta attraverso efficaci collage realizzati con icone della cultura pop, pagine di riviste patinate, pubblicità e pagine di quotidiani vietnamiti. Il risultato è un ibrido che testimonia la capacità di adattamento dell’essere umano, il suo sapersi ricostruire un’identità, anche se non sempre in maniera equilibrata. E la perdita delle radici è un pericolo contro cui si leva la voce di Phi.

PERSONA

Giusi Bonomo, Persona

Giusi Bonomo, Persona

Trae ispirazione dalle consuetudini dell’antico teatro greco, passando però dalla rilettura romana, la serie di Giusi Bonomo (Modica, 1978): “persona”, da cui il titolo, indicava in lingua latina la maschera di legno che gli attori ponevano sul volto quando recitavano. Con suggestioni pirandelliane da Il fu Mattia Pascal, Bonomo affronta la lotta dell’individuo contro l’inesistenza, terribile dinamica che la società virtuale della nostra epoca ha reso una minaccia possibile. L’individuo esiste sui social network, sul web (suggerito dall’inserimento di particolari di circuiti elettronici nelle fotografie), limitato da una “cornice” che la morte rende ancora più labile. Tra i ritratti fotografici, molti quelli di persone scomparse, a suggerire la questione di cosa accadrà ai loro profili social, possibili “luoghi della memoria” del futuro.

BEDROOM TALES

Jacopo Paglione, Bedroom Tales (Amanda)

Jacopo Paglione, Bedroom Tales (Amanda)

Una generazione controversa, tormentata, ancora alla ricerca di un’identità, di un’indipendenza e di una stabilità quella dei nati fra il 1980 e il 1995. Jacopo Paglione (Castel di Sangro, 1989) che vi appartiene per l’anagrafe, traccia un ritratto dei suoi coetanei fotografandoli nelle loro camere da letto. Si entra quindi nelle stanze private di chi si è rifatto una vita all’estero, di chi ha lasciato la famiglia per vivere da solo, di chi vive alla giornata. Rabbia, solitudine, ma anche entusiasmo e fiducia nel futuro, si leggono in questi spaccati di quotidianità, alcuni più umili, altri più confortevoli, ma tutti accomunati da un latente senso di precarietà, imposto da un momento storico in cui, alla crescita anagrafica non sempre corrisponde la possibilità di crescere anche materialmente, costruendosi un futuro stabile. Una condizione che pone seri interrogativi sull’identità degli adulti di domani.

Niccolò Lucarelli

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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