La mercificazione del corpo. Due scatti a confronto di Cristina García Rodero

Il divieto e il desiderio di toccare sono i due estremi evocati dalle fotografie di Cristina García Rodero. Immagini che affondano le radici in un humus arcaico, da cui derivano le opposte valenze attribuite al corpo femminile.

Attraverso una ponderata osservazione della produzione fotografica di Cristina García Rodero (Puertollano, 1949), emerge una ricerca che fonda le proprie basi su una dualità complessa: la rappresentazione della donna nella sua accezione di Vergine-Madre-Creatrice e, dall’altro versante, la femme fatale caratterizzata da una sensualità pulsante e prorompente che soddisfa piaceri sessuali famelici, figura quest’ultima connessa, nei suoi aspetti socio-culturali, alle grandi dee delle religioni arcaiche che rigeneravano la vita per mezzo della sessualità, ma che nel contempo divenivano portatrici di morte e di lutto.
Con un occhio fotografico che tutto scruta, la Rodero pone una lente di ingrandimento con fare antropologico sulle pulsioni e i tormenti che divorano, dentro, l’uomo contemporaneo. Sono passioni e ossessioni legate, in un primo aspetto, al mondo rurale, al terrore archetipico per la morte, di cui, nella serie fotografica dedicata alla pubblicazione di España Oculta (1989), emerge il voler esaminare la dimensione festiva nella quale si esibisce il simulacro dolente della Madonna; e successivamente di come poi, tali problematizzazioni si confrontano con le forme dell’erotismo spregiudicato, attraverso resoconti visivi di festival erotici.

CONTATTO E TABÙ

Il corpo della donna, nella sua doppia valenza, assume connotati pericolosi e insidiosi, perché da un lato è attraversato dalla trascendenza, ma, nel senso opposto, diventa l’espressione della carnalità, delle passioni proibite e nascoste che marxisticamente confinano e tramutano il corpo in un prodotto di uso, consumo e scambio. Tale problematicità, legata all’esperienza sessuale e mistica pone in entrambi i casi la questione dell’immortalità e quindi dalla non accettazione della morte, intesa come scandalo che segna il sopravvento della natura sulla cultura, definita in sede antropologica da Ernesto De Martino in Morte e pianto rituale (1958).
L’esperienza di esserci-sempre si concretizza visivamente con l’osservazione del corpo-simulacro esposto in processione o esibito in vetrina, ma anche e soprattutto segna la questione insita del dover e voler toccare per esserci. Il contatto, come si osserva dai due fotogrammi della Rodero, rappresenta la meta immediata, una accresciuta intimità, la concretizzazione di una fantasia voluttuosa o il miracolo atteso dopo il sigillo oscuro di un ex voto; formula quest’ultima della “cultura della miseria”, concetto indagato nella dimensione demo-etno-antropologica da Oscar Lewis nel 1966. Toccare un altro significa provare la propria esistenza e, come ha osservato Freud (in Inibizione, sintomo e angoscia, 1926), appartiene alla sfera dell’erotismo e della distruzione intesa come decesso del proprio Io. Questo punto d’arrivo è preceduto dal divieto di toccare il corpo altrui, tabù della società occidentale dove la nudità è divenuta oggetto di proibizione che si infrange però in determinati momenti particolari dove la sfera sacra e quella erotica si compenetrano.
Il divieto di toccare il corpo nudo e l’imperativo di nascondere gli organi sessuali derivano dalla necessità di contenere l’attività erotica entro limiti generalmente codificati dalla società e dalla religione cristiana che, nello specifico declina il diritto al piacere. Tale tabù, però, si annulla alla presenza del cadavere, quando deve essere necessariamente e ritualmente preparato, come testimoniato dai dati etnografici riportati da Alfonso Maria Di Nola in Antropologia delle morte e del lutto (1995).

Cristina Garciá Rodero, Venus, Germania, 2005

Cristina Garciá Rodero, Venus, Germania, 2005

LA PAURA DELLA MORTE

La necessità di dover entrare in contatto con il cadavere e toccare gli organi genitali equivaleva ad accompagnarlo nell’ultimo e definitivo viaggio. Le donne che svolgevano tale azione estremamente contagiosa dovevano essere ritualmente protette. Attraverso il contatto con il morto si veniva inquinati dalla morte stessa, contagio magico in cui si scorgeva la decomposizione, potenza temibile e aggressiva. Difatti, il contatto era proibito se non risolto attraverso una serie di disposizioni simboliche e rituali che ne consentivano momentaneamente la possibilità di soluzione.
Jean- Luc Nancy fa notare che il toccare riduce la distanza ma non l’abolisce. Toccare un corpo, un cadavere o un simulacro come equivalente di una vita riduce la distanza dalla morte, tocchiamo l’altro per garantire la nostra esistenza, per sconfiggere, se pure per un attimo, la paura archetipica della morte.
Le donne, le vecchie, le vedove che popolano i fotogrammi in bianco e nero della Rodero sono le martiri che attendono nel luogo della próthesis, ma anche e soprattutto sono le vestali della lussuria, le “Cattive Madri” di Giovanni Segantini.
La fotografia di Cristina García Rodero entra nella sfera della realtà, tesa a comprenderla antropologicamente, il suo sguardo poetico varca l’occasionalità del rito antico che si perpetua immobile nella contemporaneità. La fotografia documentaria diventa analisi, espressione dell’esistenza umana nelle sue molteplici faccettare.

Fabio Petrelli

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Fabio Petrelli

Fabio Petrelli

Nato nel 1984 ad Acquaviva delle Fonti, è uno storico dell’arte. Laureato nel 2006 presso l’Accademia di Belle Arti di Roma con una tesi in storia dell’arte (Storie notturne di donne. La rappresentazione perturbante della donna dal XV secolo ad…

Scopri di più