Tutte le anime di Berenice Abbott. In mostra a Nuoro

Museo MAN, Nuoro – fino al 21 maggio 2017. Prosegue nel museo sardo il ciclo di mostre sulla street photography. Dopo Vivian Maier e Garry Winogrand, è il turno di Berenice Abbott. In un percorso che ne racconta tutte le svolte.

Il MAN di Nuoro e il suo direttore Lorenzo Giusti stanno dimostrando due semplici ipotesi: che anche un museo “provinciale” può proporre una programmazione ricercata pur senza fondi ingenti a disposizione; che si possono organizzare rassegne “popolari” senza cascare nella trappola (anche economica) delle mostre chiavi-in-mano, che magari circolano da mesi per i centri espositivi d’Italia e d’Europa.
Questa doppia dimostrazione si rinnova nell’antologica dedicata a Berenice Abbott (Springfield, Ohio, 1898 – Monson, Maine, 1991), esposizione che si affianca alla personale di Jennifer West e alla project room di Leonardo Boscani. Lo fa innanzitutto dando continuità a un’indagine: alimentando un ciclo sulla street photography che è iniziato nel 2015 con Vivian Maier – ben prima che “la bambinaia fotografa” diventasse una celebrità – ed è proseguito l’anno successivo con Garry Winogrand, confermando la collaborazione con Anne Morin, direttrice di diChroma photography.

Eugene Atget, Paris, 1927 -® Berenice Abbott

Eugene Atget, Paris, 1927 -® Berenice Abbott

VITA E SVOLTE

La storia della Abbott è, ancora una volta, particolarmente interessante. Ventenne, si sposta dall’Ohio a New York e qui incontra Duchamp e Man Ray. Segue quest’ultimo a Parigi, dove gli fa da assistente fino al 1926. Sono di questi anni i ritratti fotografici della crème culturale: davanti all’obiettivo di una giovane statunitense omosessuale (doppio, triplo scandalo!) posano personaggi come Eugène Atget e James Joyce, Solita Solano e André Gide. Mentre, di lei, Man Ray realizza un ritratto memorabile, foss’anche solo per l’inquadratura.
Il 1926 l’anno della seconda svolta. Abbott si smarca dal suo mentore, apre un proprio laboratorio e soprattutto conosce il suddetto Atget. Che all’epoca non è quel gigante della fotografia che (ri)conosciamo oggi, ma uno dei tanti artisti e intellettuali che conoscono la notorietà in differita rispetto al tempo in cui vivono. Grazie a lui, comunque, Abbott si può dire che scopra la fotografia di strada. E così, acquisito il suo archivio, torna a New York con l’intenzione di rimappare la città, duramente segnata dalla crisi del 1929. Un lavoro decennale che la porta a pubblicare, nel 1939, un libro-chiave nella storia della fotografia: Changing New York (è lei l’autrice del notissimo ritratto architettonico del Flatiron Building, per fare un unico esempio).

Light Trough Prism, Cambridge, Massachussets, 1958-61 © Berenice Abbott

Light Trough Prism, Cambridge, Massachussets, 1958-61 © Berenice Abbott

FOTOGRAFIA E SCIENZA

Già questo basterebbe per un paio di vite. E invece nel 1940 avviene una terza svolta: Abbott inizia a lavorare a Science Illustrated come picture editor, e tutto cambia. Di nuovo. Ora sono macchine complesse e fenomeni fisici a finire sotto la sua lente, raccontati senza alcuna ancillarità: non è la fotografia che illustra piattamente la scienza, ma è una fotografia che concorre a divulgarne esiti e scoperte. Che si tratti di un Generatore di Van de Graaff o di apparentemente semplici bolle di sapone, Abbott ne comunica il fascino e stimola la curiosità a saperne di più. Con una ricerca che è ineccepibile anche e soprattutto formalmente: che Storm Thorgerson abbia guardato alla sua Light Trough Prism (1958-61) quando disegnava la copertina di The Dark Side of the Moon (1973) dei Pink Floyd?

Marco Enrico Giacomelli

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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