Joan Miró a Padova. Non la solita mostra

Fondazione Bano, Palazzo Zabarella, Padova ‒ fino al 22 luglio 2018. Un’occasione imperdibile per vedere una serie di opere di Miró che, dal prossimo settembre, troveranno una sede definitiva al Museo Serralves di Porto, ma anche per riflettere sui possibili destini delle collezioni d’arte delle banche italiane in difficoltà.

Un nucleo significativo di opere del maestro catalano fu messo insieme da un collezionista giapponese il quale, tra il 2004 e il 2006, decise di venderlo al Banco Português de Negócios. Ma giunse la crisi, si scoprì che l’istituto di credito era stato mal amministrato e lo Stato portoghese fu così costretto a nazionalizzarlo, incamerando non solo gli asset bancari ma anche la collezione di Miró. Nel 2014, a causa delle forti difficoltà economiche, il Portogallo mise all’asta il lotto di quadri, disegni, sculture, collage e arazzi, incaricando Christie’s di venderle a Londra, ma qui forse la storia segna il suo miglior colpo di scena perché gli intellettuali portoghesi, seguiti dall’opinione pubblica, scatenarono una protesta ferma e decisa, tanto che lo Stato fu costretto prima a rinviare e poi a sospendere la vendita, riportando la collezione in patria e depositandola presso il Museo Serralves di Porto. Nel 2016 l’intera raccolta – salvata grazie a una manifestazione di forte impegno civile – venne esposta a Porto e nell’anno successivo a Lisbona, attraendo tantissimi visitatori.
Per noi è stata un’occasione straordinaria”, ha dichiarato Federico Bano: “quando con la Fondazione siamo venuti a sapere che questa collezione era disponibile ‒ in attesa di trovare una collocazione definitiva nelle sale del museo che saranno pronte solo a settembre del 2018 ‒abbiamo messo in campo tutte le nostre forze e siamo riusciti a portarla per intero a Padova. Non capiterà mai più”.

Joan Miró, Toile brûlée 3, 1973. Filipe Braga, © Fundação de Serralves, Porto. ©Successió Miró by SIAE 2018

Joan Miró, Toile brûlée 3, 1973. Filipe Braga, © Fundação de Serralves, Porto. ©Successió Miró by SIAE 2018

OPERE POCO CONOSCIUTE

La mostra è straordinaria sia per le rocambolesche vicende subite dalla raccolta sia perché fa scoprire alcuni aspetti poco conosciuti del molto conosciuto Joan Miró (Barcellona, 1983 ‒ Palma di Maiorca, 1983). Le 85 opere sono infatti esposte mettendo in luce in particolare gli aspetti della “metamorfosi” e della “materialità” protagoniste del titolo ma pure del lavoro dell’artista lungo tutto il corso della sua produzione, che è rappresentata quasi per intero, visto che i lavori si datano dal 1924 al 1981.
Grazie a Robert Lubar Messeri si sottolinea, sala dopo sala, il continuo allargamento delle tecniche artistiche di Miró, il quale trasforma progressivamente i linguaggi giungendo a ripetute metamorfosi: “oggetti e idee vengono trasformati in segni, e poi nuovamente in oggetti e idee”, sottolinea il curatore. Una metamorfosi particolarmente evidente nella serie dei Ritratti immaginari, a cui appartiene La Fornarina (1929) esposta in mostra, ma che riguarda profondamente anche i supporti impiegati – da quelli tradizionali alla carta vetrata, alla juta, al celotex – e i materiali che rivelano l’ampio spettro di sperimentazioni usate da Miró.

Joan Miró, Peinture, 1936. Filipe Braga, © Fundação de Serralves, Porto. ©Successió Miró by SIAE 2018

Joan Miró, Peinture, 1936. Filipe Braga, © Fundação de Serralves, Porto. ©Successió Miró by SIAE 2018

COLLAGE TRIDIMENSIONALI

All’inizio e alla fine del percorso, quasi a segnare una modalità di visita circolare, sono esposti i poco noti Sobreteixims, ideati per la mostra al Grand Palais di Parigi nel 1974 – dove comparvero anche delle Tele bruciate. Miró per gli “arazzi” si avvalse dell’aiuto del tessitore Josep Royo e la loro realizzazione richiama da vicino la pratica del collage e della scultura, riuscendo a “combinare e riconfigurare materiali ritrovati dopo essere stati scartati e privati della funzionalità e identità originarie”.

Marta Santacatterina

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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