Alzheimer Café. Giunge in Svezia il progetto di Valentina Vetturi sul tema della memoria

L’8 settembre nuova tappa di un complesso progetto nato nel 2014 che si confronta con il tema della memoria a partire dalla riflessione su una delle più gravi malattie neurodegenerative.

Cosa accade quando anche l’ultimo ricordo svanisce? Se lo è chiesto una artista italiana, Valentina Vetturi (Reggio Calabria, 1979), che a partire da questo assunto ha ideato nel 2014 il ciclo di performance, installazioni sonore, opere pubbliche, intitolate Alzheimer Cafè. Il progetto giunge in Svezia nell’ambito di Room for Performance, il week end dedicato alla performing art di Umeå, anche grazie all’Istituto Italiano di Cultura in Svezia. La performance, a cura di Valentina Sansone con Helena Wikstrom, avrà luogo l’8 settembre 2018 dalle 17 alle 22 presso Bildmuseet e Norrlandsoperan di Umeå. Il progetto è dedicato alle memorie che resistono nella mente umana anche a fronte delle continue aggressioni che questa subisce a causa di una potente malattia neurodegenerativa come l’Alzheimer. Per costruire il proprio percorso l’artista si è confrontata con chi lavora nei centri medici e con i pazienti stessi. Questi ultimi ispirano i “performer” che canticchiano, mormorano, creano gli elementi musicali e sonori inclusi nel progetto, ma sono anche protagonisti della fase che precede il tutto, una serie di incontri preparatori con l’artista nel tentativo di costruire una partitura sonora della memoria. Ma come nasce e si sviluppa il progetto? Ce lo siamo fatti raccontare dall’artista stessa.

Valentina Vetturi Alzheimer Café I 2014 courtesy Kunsthalle Goeppingen

Valentina Vetturi Alzheimer Café I 2014 courtesy Kunsthalle Goeppingen

Come nasce il progetto Alzheimer Café? Con quali presupposti?
Il ricordo e i meccanismi alla base del funzionamento della memoria mi hanno sempre interessato. Alcuni lavori precedenti alla serie di opere “Alzheimer Café” si concentravano già su questo tema. “Un Esilio” (2011), ad esempio, è un libro d’artista che raccoglie immaginarie memorie del percorso a piedi di una esule, metafora di un isolamento di ispirazione letteraria. O “Un Viaggio” (2011), un’installazione che si compone appropriandosi di visioni e ricordi altrui e costruisce un viaggio immaginario tra Bari e Rustavi, in Georgia.

Poi c’è stata una evoluzione…
Negli stessi anni, questa ricerca sulla memoria si è trasformata in un progetto sull’assenza di memoria. Cor cordis vuol dire cuore, che nell’antichità era considerato la sede della memoria. Se siamo ciò che ricordiamo, cosa resta quando sparisce anche l’ultimo ricordo? “Alzheimer Café” è un ciclo di opere (2014/in corso) dedicato ai ricordi musicali, gli ultimi che persistono nella nostra memoria. Tutto il progetto è stato ispirato da un’unica immagine: una donna, seduta a un tavolo, che mastica un pezzo di carne per un tempo indefinito. Lo dimentica, e il pezzo di carne cambia ripetutamente forma.

Nel tuo lavoro la componente tecnologico-scientifica è spesso presente. L’arte diventa quasi una forma di sabotaggio o un bug che tu inserisci per alterare il processo. Quale è il procedimento che utilizzi di volta in volta?
In ogni lavoro, agisco come un’intrusa e mi muovo in campi disciplinari eterogenei.  L’acquisizione di un nuovo alfabeto e un nuovo lessico mi permettono di avviare una lunga fase di ricerca, che avviene inevitabilmente sul campo. Una fase che considero come il primo di una serie di azioni performative. Alla ricerca sul piano teorico subentra sempre un’esperienza diretta e personale, attraverso una frequentazione regolare di un preciso contesto: bitcoin meeting, hacker spaces, centri di ricerca e trattamento delle malattie degenerative della memoria, tra gli altri. In ognuno di questi ambienti avviene uno scambio di conoscenza: arte vs sapere scientifico.

Valentina Vetturi, Alzheimer Cafè II, performance, 2014, courtesy Fondazione MAXXI

Valentina Vetturi, Alzheimer Cafè II, performance, 2014, courtesy Fondazione MAXXI

Con quali soggetti ti sei confrontata?
Nel caso di “Alzheimer Café” dal 2014, ho frequentato circa dodici centri medici in Italia, Germania e Svezia, e incontrato i rispettivi pazienti affiancata dallo staff. Ho incontrato neurologi attivi in campo accademico, e sono loro che mi hanno confermato che i ricordi musicali, insieme agli odori, sono i più longevi nella nostra mente – sia per una forma di automatismo che per fattori emozionali. Quasi parallelamente, dal 2015, porto avanti una ricerca su mondo hacker e sulle implicazioni etiche e politiche delle nuove tecnologie.  In The Corridor of Cyberspace (2016) per esempio è un libro d’artista, un viaggio soggettivo attraverso la prima mailing-list della storia del web: ” The Cypherpunk Mailing list””.

Di che si tratta?
Uno dei luoghi più significativi di dibattito e incontro di questo mondo, in cui tra il 1992 e il 2000, un gruppo di scienziati, attivisti e libertari, ha avviato le prime discussioni e sperimentazioni su temi oggi cruciali, quali privacy, crittografia, denaro digitale.  Il libro che è stato presentato per la prima volta allo Strauhof, il museo della letteratura di Zurigo è stato accompagnato da una serie di conferenze con economisti ed esperti di cultura digitale. Le discussioni emerse nelle conferenze sono stati la base per la costruzione delle successive opere di questa serie dedicata al mondo hacker. Pur partendo dalla realtà, i miei lavori non sono una testimonianza documentaria di queste esperienze, si sviluppano piuttosto in fasi successive sul piano della finzione.

Alzheimer Café è un lavoro che presenta inoltre una forte componente umana e poetica: come hai lavorato con le persone affette da questa malattia? Quali esperienze hai ricavato?
Le persone che incontro nutrono e trasformano me e il mio lavoro, che siano pazienti, hacker, direttori d’orchestra, ghostwriter, tecnici del suono … In “Alzheimer Cafè” la componente umana è particolarmente intensa. La partecipazione ad attività quotidiane come giochi, cucito, disegno sono fasi di un processo lento, di mediazione, che è preceduto da colloqui con la direzione e l’autorizzazione delle famiglie e dei pazienti.

Come lavorate?
La maggior parte di questi incontri prevede delle sessioni di canto comune e individuale. Sono momenti spensierati e ovviamente ci sono delle volte in cui canto anche io! La fase di registrazione avviene qui: le loro voci che cantano, canticchiano, intonano suoni sono il punto di partenza del lavoro e un luogo dove entrare in punta di piedi.  Al di là di ogni cultura di provenienza, la persistenza del ricordo musicale è un fattore sorprendente e poetico.

–    Santa Nastro

Performance; 8 settembre 2018, dalle 17 alle 22
Nell’ambito di Room for Performance, Bildmuseet e Norrlandsoperan, Umeå, Svezia

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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