Tra vero e falso. Gianfranco Grosso si racconta ad Alan Jones

In mostra all’Angelo Azzurro di Roma, Gianfranco Grosso discute la propria poetica e le proprie scelte artistiche con il critico Alan Jones. Il risultato è un dialogo dai tratti surreali, che chiama in causa la rivoluzione industriale, Duchamp e gli dei.

Qual era il titolo ieri sera?
Vero/Falso… Eros è la vita… Metafisico è il viaggio.

Questo è un titolo tipicamente Gianfranchiano.
Come avrebbe risposto un nostro amico artista in comune, il pittore Seboo Migone: “Gianfranchesco.”

Ma Grosso, che stai a dì? M’interessa qual è il concetto dietro questo tuo titolo. Naturalmente, da buon duchampiano, vedo un lontano ritornello di “Rrose c’est la vie”. C’è una brava pittrice a Desenzano che si chiama Falso. Ogni suo lavoro è un vero Falso.
Pensiero mattutino… per dare fiato a un opera, basta una semplice carezza a due mani.

Scendo a Roma da Venezia per poter vedere una delle tue rarissime mostre, in cui hai esposto delle opere con altri artisti.
Ma è una mostra personale.

Scusa, a me sembrava una mostra collettiva.
È personale. O al massimo in-personale…

Gianfranco Grosso ‒ Vero/falso… Eros è la Vita… Metafisico è il viaggio, exhibition view at Angelo Azzurro, Roma 2018, photo Sebastiano Luciano

Gianfranco Grosso ‒ Vero/falso… Eros è la Vita… Metafisico è il viaggio, exhibition view at Angelo Azzurro, Roma 2018, photo Sebastiano Luciano

Ho sempre voluto organizzare una mostra di un solo artista e chiamarla “mostra collettiva”. La storia ci insegna, un artista può avere tante personalità nel corso della sua vita creativa. Basta guardare Picabia o Picasso, Duchamp o Philip Guston. Lo sviluppo verticale, senza un itinerario fisso da cui non si cambia mai in vent’anni. Un maestro come Roy Lichtenstein: questo potremmo chiamare uno sviluppo orizzontale, Però nel tuo lavoro c’è un filo rosso che fin dall’inizio collega la disparità delle tue rare manifestazioni pubbliche. Come potresti definire questo filo rosso della tua ricerca finora?
Mi affascina questo tuo modo di pensare. L’idea che più artisti si presentino in una ricerca la trovo la strada da seguire, per un legame con la memoria storica che è il vissuto dell’arte. I riferimenti sono aperti fino a oggi.

Stamattina c’era la musica di Erik Satie. Erik Satie è chi ascolta Satie. C’è una grande diversità di idiomi musicali, da Puccini alla canzone popolare, al café chantant. Sulla tua scrivania c’è un libro di Constantin Brancusi che mi ha fatto pensare che stavamo ascoltando la scultura. Satie e Brancusi erano grandi amici. Il pittore romeno, Sorin Scurtulescu ha detto che i contadini, vedendo la colonna infinita di Brancusi, dicevano: “Ma queste colonne le facciamo noi da sempre!”. Le opere che ho visto per la prima volta alla tua mostra dimostravano una grande diversità fra di loro, non una unità orizzontale, perciò una gran difficoltà di decifrare il significato, come quella più bella rivista d’arte che c’è in Italia, che si chiama Settimana enigmistica, è da sempre la più bella rivista d’arte in assoluto. Basta cambiare il titolo in “Settimana enigmatica”. Nella tua mostra c’erano due bowling ball, invece che tre buchi una serie di buchi, la combinazione dei dadi; fa pensare al poeta simbolista francese Mallarmé: “Un coup des dès n’abolira jamais le hasard”. Ma non credo che tu avessi bisogno di Mallarmé per arrivare a quest’opera. Il vero artista può sempre trovare la scorciatoia da solo. Anche lo scoiattolo. Mi ricordo molto bene una tua grande opera fotografica in bianco e nero di qualche anno fa che mostrava delle giovani donne contadine che zappavano il campo arido in silenzio tra loro. Non ho mai capito quell’opera, mi faceva pensare al film Riso amaro, però anche ai Borghesi di Calais di Auguste Rodin o ai contadini di Millet. Ma so benissimo che questi riferimenti alla storia dell’arte non servono a un tubo. Allora, per concludere, ti chiedo, come la sfinge chiedeva e Edipo, cos’è l’enigma per te?
Partendo dal lavoro che hai appena citato, anche io, sono sincero, non comprendo a pieno quello che ho generato. Trovo nella traccia del titolo delle indicazioni: perché? Mi chiedi dell’enigma? Adesso mi piacerebbe farti una domanda, visto che si è sempre a riceverle… Cosa ne pensi dell’oro?

Gianfranco Grosso ‒ Vero/falso… Eros è la Vita… Metafisico è il viaggio, exhibition view at Angelo Azzurro, Roma 2018, photo Sebastiano Luciano

Gianfranco Grosso ‒ Vero/falso… Eros è la Vita… Metafisico è il viaggio, exhibition view at Angelo Azzurro, Roma 2018, photo Sebastiano Luciano

Mi ricordi lo scrittore francese che incontrava un collega per strada: “Che stai scrivendo?” “Una guida turistica per la Cina”. “Ma tu non hai mai messo piede in Cina”. “No, ma con i soldi del libro ci andrò!”. In quest’ultimo periodo hai portato in vita molte opere che costringeranno il mondo a grattarsi la testa e non ho mai capito qual è l’itinerario, che cosa pensate voi artisti di mandare nel mondo. Potrei quasi dire “contaminare il mondo” con questi vostri enigmi.
L’unico pensiero va alla bellezza e alla dimensione del pensiero stesso, che attraverso l’immagine genera altro. Una sorta di inafferrabilità, il resto lo lasciamo alla “follia dell’arte”. Mi piacerebbe capire cosa pensi del sigillo, del simbolo.

Sarebbe molto rivelatrice un’infermeria presente in ogni sala di una tua mostra per somministrare l’elettrocardiogramma e documentare la reazione fisica, cerebrale, degli spettatori innocenti.
Spettatori innocenti? Che meraviglia che l’unico colpevole sia l’artista.

Come ci sono sempre testimoni innocenti. Spesso, nel vastissimo panorama dell’arte contemporanea, bisognerebbe avere un’ambulanza fuori le mura della galleria, oppure perché non fate la mostra direttamente nella sala d’attesa del pronto soccorso?
I luoghi anonimi, come i luoghi comuni, sono quello che suscitano a ogni appuntamento. Precedentemente ho presentato un mio lavoro in una grotta a Erice, la grotta Martogna, dimensioni astratte dove la presenza dell’opera attua un processo di misurazione. Ennesima domanda: l’idea della divinità Era, la moglie di Zeus, che ho omaggiato in quel luogo.

La first lady. C’è anche un aspetto quasi comico, come in un’opera buffa di Plauto o Goldoni. Poi con un marito così… il più grande playboy del mondo. È strano che mi chiedi di lei perché è un nome che non si sente molto spesso oggi. I professori parlerebbero più volentieri di Atena; Apollo è molto negletto. Il vero dio degli artisti è Vertumnus, l’Inafferrabile, e lo vedo spesso in giro di pomeriggio in Piazza Vittorio, ma nessuno lo riconosce più. Vedo Era in un film dei fratelli Marx, ma Groucho non è molto adatto a fare Zeus. Ma adesso che parliamo degli dei, il marito di Venere, Vulcano, è un grande artista. Sempre al bar Fanelli a New York. Questo mi porta però a chiederti: nelle tue origini come artista qual è il ruolo della manualità? Dov’è il tuo impulso creativo, da dove deriva e che ruolo possedeva e possiede ancora la manualità, lavorare con le mani su qualcosa che non è essenziale alla sopravvivenza della razza umana? Il pittore americano Paul Russotto amava molto interrogarsi su che cosa passava nella mente dell’uomo della caverna. Racconta le prime motivazioni alla base del tuo essere diventato artista.
Come sai, io non amo raccontarmi, anche perché il rapporto con il tempo e con lo spazio è in totale inesistenza. Esiste una dimensione, penso ai territori dove da bambino, irascibile, generavo impulsi. Territori dove Tommaso Campanella finì in esilio, in un testo che tu scrissi. L’idea del colore, l’idea del fare si traduce in uno stadio totalmente del non luogo. In mostra c’è un lavoro dal titolo Cromatic Calabria, ho voluto omaggiare proprio quella terra dove le origini indicano un percorso che sia mentale o manuale. È la stesa cosa.

Gianfranco Grosso ‒ Vero/falso… Eros è la Vita… Metafisico è il viaggio, exhibition view at Angelo Azzurro, Roma 2018, photo Sebastiano Luciano

Gianfranco Grosso ‒ Vero/falso… Eros è la Vita… Metafisico è il viaggio, exhibition view at Angelo Azzurro, Roma 2018, photo Sebastiano Luciano

Ho sempre pensato che “all’alba della civiltà”, per usare una terminologia sciocca dell’Ottocento, ci fosse un grande distacco tra il potere mentale dell’uomo e la sua capacità meccanica e tecnologica e che questo abbia trovato sfogo nella complessità linguistica di creare declinazioni, sistemi grammaticali di tale complessità oppure decorazione complicatissima incisa nella pietra o nel legno, per compensare questa frustrazione di non poter realizzare quello che poteva già concepire intellettualmente, ma come un bambino. L’uomo era incapace di realizzare tutto ciò che poteva concepire. Le lingue moderne semplificano sistemi grammaticali da quelle antiche. Certamente la semplicità dell’alto modernismo forma la cima di questo processo di semplificazione. Si vede nell’architettura del Bauhaus, nella pittura di Mondrian, una ricerca verso un piatto con pochi ingredienti. In un certo senso, questa evoluzione verso il semplificare è legata all’idea della ripetizione. La musica barocca è molto ripetitiva, c’è il ritornello: dalla musica di Vivaldi fino a Philip Glass, vediamo un’intensificazione dell’impulso ripetitivo, finché Philip Glass può ripetere tre note all’infinito. Il concetto della ricerca artistica del Romanticismo è anti-ripetitiva ed è un peccato, ma quando arriviamo a maestri del modernismo come de Chirico ci sono sempre quei due maledetti e amatissimi cavalli che corrono sulla stessa spiaggia ed è perciò che, al primo incontro a Venezia, Andy Warhol diventa grande amico di Giorgio de Chirico, una vera amicizia reciproca in cui il più difficile dei due, de Chirico, riesce a capire e a rispettare il maestro della Pop Art americana, e lì credo che il legame fosse la ripetitività. Non avevano assolutamente niente da imparare da Walter Benjamin. Loro due sapevano che la riproduzione aumenta “l’aura” dell’immagine, non la diminuisce. Questo è fondamentale oggi. Ma già dalla più lontana antichità, chi faceva terracotta ripeteva: è sempre quella coppa di terracotta. Mette in questione il concetto centrale del romanticismo dell’originalità.
Hai già scardinato il punto. Ripetersi è affermarsi, nella ripetizione c’è l’affermazione, mi chiedevo se eros è la vita. Sarà tutto vero? O sarà tutto falso?

La rivoluzione industriale, che ha trasformato la vita, era basata sul ripetere, sulla divisione del lavoro. Nessuno produce un fucile, facciamo una fabbrica, ogni operaio fa un solo pezzo del fucile e poi il prossimo fa un assemblaggio e il prossimo espleta un’altra funzione ripetitiva tutta la giornata, e alla fine escono cento fucili. Ma nessuno aveva la soddisfazione artigianale di dire al figlio: “Questo fucile ho fatto io!”.
Poi mandavano i giovani ad ammazzarsi nella guerra ripetitiva! Che assurdità la guerra! Che dici ci si muove?

Forse aveva ragione Francis Picabia: l’arte è un prodotto farmaceutico per imbecilli.

Alan Jones

[trascrizione Giusy Giummarra]

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