Oriente chiama Occidente. A Milano

La mostra ospite di FM Centro per l’arte contemporanea, a Milano, riflette sui rapporti tra Oriente e Occidente attraverso una chiave di lettura originale: il teatro e le sue metafore con maschere e rappresentazioni da uno scenario globale.

Ispirata all’opera teatrale The Good Person of Szechwan (L’anima buona del Sezuan) di Bertolt Brecht, la mostra The Szechwan Tale. China, Theater and History ne riprende l’impianto efficacemente didattico, caro al drammaturgo tedesco. Nelle intenzioni di Marco Scotini, curatore dell’esposizione per FM Centro per l’arte contemporanea, il rapporto tra Oriente e Occidente, visto dalla parte della Cina, si definisce all’interno di metafore teatrali.
Il palcoscenico, gli attori, i costumi e quanto altro inerisce alla macchina teatrale sono per Scotini altrettanti dispositivi strategici per interrogarsi su paradigmi epocali.
In prosecuzione del progetto che il curatore ha realizzato per la prima Biennale di Anren, nell’antica città cinese del Sichuan, la mostra costringe da subito a misurarsi con la finzione. Abiti dell’opera di Pechino, di contadini sichuanesi o inequivocabili uniformi cinesi sono disponibili al Memory Wardrobe di Michelangelo Pistoletto, sorta di ready-made con costumi prelevati da Cinecittà per “riflettersi”, letteralmente (ci sono anche i suoi celebri specchi), in improbabili guitti. Per i più tenaci il travestimento può continuare con le maschere indossabili di Qiu Zhijie, che sfoderano sardonici sorrisi in omaggio a Il nome della rosa e al riso, ritenuto, nel romanzo di Eco, di pertinenza demoniaca.

The Szechwan Tale. China, Theater and History. Exhibition view at FM Centro per l’arte contemporanea, Milano 2018

The Szechwan Tale. China, Theater and History. Exhibition view at FM Centro per l’arte contemporanea, Milano 2018

DA CAO FEI A WILLIAM KENTRIDGE

Dunque, un raffinato intersecarsi di rimandi colti come quelli che Cao Fei distilla nel suo celebre tributo ai cosplayer, adolescenti in cerca d’identità altre, paghi di trovarle in un immaginario manga, addomesticato in una quotidianità intrisa di rituali surreali. Stratificazioni multiculturali si trovano ancora nelle eleganti sequenze di Yang Fudong che ritraggono giovani cinesi in viaggio, con un timbro esistenziale da “nouvelle vague”. Per William Kentridge il rapporto tra Cina e Sud Africa si disputa sulle note dell’Internazionale, variata in più generi musicali e ballata da performer neri con provocatorie scarpette da danza classica, inequivocabilmente occidentali. Preferendo piani culturalmente trasversali, quali l’ideologia comunista, vedi il Marx a cartoni animati di Pedro Reyes, o l’opera lirica nella sua declinazione eclettica (con il costume Anni ‘30 per la Turandot di Puccini alla Scala), la mostra, generosa di sapidi ammiccamenti, torna ciclicamente a uno dei temi brechtiani per eccellenza. Quell’effetto di straniamento, come ricorda anche il film Still life di Jia Zhangke, che consente l’attivazione permanente di una coscienza critica, viatico indispensabile per governare responsabilmente la contaminazione globale.

Marilena Di Tursi

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Marilena Di Tursi

Marilena Di Tursi

Marilena Di Tursi, giornalista e critico d'arte del Corriere del Mezzogiorno / Corriere della Sera. Collabora con la rivista Segno arte contemporanea. All'interno del sistema dell'arte contemporanea locale e nazionale ha contribuito alla realizzazione di numerosi eventi espositivi, concentrandosi soprattutto…

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