Per l’artista Marco Baroncelli. Un ricordo corale a un anno dalla scomparsa

Ad un anno dalla scomparsa di Marco Baroncelli, Artribune ricorda l’uomo e l’artista attraverso le testimonianze di storici dell’arte, artisti e curatori che lo hanno conosciuto

Marco Baroncelli

Marco Baroncelli

Se gli uomini vanno via, gli artisti restano. È così per tutti. È così anche per Marco Baroncelli (Prato, 1967) artista e fotografo, scomparso prematuramente un anno fa. Artista dallo sguardo discreto capace di portare alla luce le discrepanze del mondo, disvelandole con cura senza mai cadere nella tentazione dell’eccesso. Porzionava la realtà per ricomporla in dittici e trittici, ritrovando nella memoria assonanze e stridori, e sollecitando l’inconscio altrui. La delicatezza era il suo tratto, anche nelle immagini più forti. “Destati, ma fallo dolcemente” sembrano dire. “Guarda e dimmi a cosa pensi” come la sfida che aveva lanciato ai condomini di Via Pasquale Tola a Roma nel 2003 per “Concerto per piani”, che ebbi il piacere di curare insieme a Daniela Bruni per la Lift Gallery. Marco era così, un uomo e un artista riservato che cercava lo scambio. Per me anche un “Virgilio” mentre entravo nel mondo dell’arte; è stato il mio primo studio visit e la prima mostra. Ricordo ancora quando mi aprì la porta, la faccia stupita che fece, una strana sorpresa di cui mai chiesi spiegazioni. Chissà che cosa vide! Da quel momento amicizia e lavoro sono andati a braccetto per lungo tempo, tanto che oggi mi trovo a rintracciare una continuità in quell’opera della serie “Interno giorno” che mi colpì 18 anni fa e che ancora sento addosso: il ritratto di uno sconosciuto e la sua dichiarazione impressa sopra “Quello a cui penso è una cosa troppo privata per poterla dire”. Un pensiero che legava Baroncelli a un estraneo e lega me a lui. L’esempio di come il suo lavoro corresse anche sui binari dell’empatia. E così lascio spazio al ricordo di altri compagni di viaggio, con cui negli anni ha condiviso strade, scambiato pensieri e fatto progetti, nella vita e nell’arte.

– Federica La Paglia

ANDREA ABATI / VITTORIA CIOLINI, DRYPHOTO ARTE CONTEMPORANEA

Marco Baroncelli, dalla serie Interno giorno, 2001

Marco Baroncelli, dalla serie Interno giorno, 2001

“Abbiamo conosciuto Marco Baroncelli alla fine degli anni Ottanta quando si è iscritto alla nostra scuola di fotografia. Influenzato dall’indirizzo della scuola, con continui riferimenti alla cosiddetta nuova fotografia italiana di paesaggio, inizia a lavorare in questa direzione. Ma il suo lavoro pur rigorosamente senza esseri umani conteneva tracce di emozioni non controllate e alla fine Baroncelli ha trovato un suo stile che rappresentava quella sua necessità di non stare in nessuna gabbia e gli permetteva di muoversi in libertà senza schemi preconcetti. Quello che ha mantenuto degli insegnamenti di fotografi come Ghirri, Barbieri, Guidi, Abati è stato l’attenzione al mondo che ci circonda, il prendere ciò che si trova nel quotidiano per poi trasformarlo in altro. Rimane comunque un fatto importante che accade quando si incontrano persone sensibili, oneste, ci si frequenta, ci si apprezza, ci si affeziona. Così è stato per noi tre.”

 

GEA CASOLARO, ARTISTA

Marco Baroncelli, Enzo Orlandi, Parole Crociate, still video, 30', 2002

Marco Baroncelli, Enzo Orlandi, Parole Crociate, still video, 30′, 2002

“Molti definiscono Marco un fotografo. Ma ancor più, Marco, era un poeta. Un poeta che come parole, usava le immagini. Perché la poesia di Marco era nei suoi occhi, che riuscivano a trasformare un fil di ferro ritorto, un vetro appannato, un muro scrostato, in pura poesia, aprendo i nostri sguardi sul mondo. Questo grande dono che hanno i poeti, questo loro potere sulla realtà, li rende anche fragili, come se la realtà fosse gelosa di questa loro dote e si impegnasse con tutta se stessa per imporsi e schiacciarli, e scacciarli, per non venire svelata. Ma quello che la bruttura della realtà non sa è che anche quando il poeta muore, la sua poesia rimane. Rimane per sempre a consolarci dagli orrori del mondo. Rimane per sempre a illuminare, come un meraviglioso fiore selvatico, anche il più impervio cammino.”

PAOLO RUFFINI, STUDIOSO DI PERFORMING ARTS

Marco Baroncelli, dalla serie Lapsus Linguae, 1995-2011

Marco Baroncelli, dalla serie Lapsus Linguae, 1995-2011

“Dal 1994 abbiamo avuto lunghi e intensi momenti di frequentazione, di confidenza e collaborazione, alternati a periodi di silenzio dove ognuno è rimasto avviluppato nella propria vita. Capodanni in montagna, Biennali di Venezia, passeggiate notturne e molti spettacoli di teatro e di danza. Una abitudine speciale a raccontarci fatti di arte dal proprio orizzonte mancante, senza mai tralasciare quella buona dose di ironia che sembrava salvarci dalle brutture del mondo, nonostante le intemperie fossero sempre dietro l’angolo. Sua la copertina del mio libro di poesie Lèmma, mia una riflessione alla sua mostra Lapsus linguae, suo il video al mio libro sul teatro Resti di scena, sua la foto che mi ritrae Lungomare a Ostia dove vi “incise” una frase scelta da lui dal libro di Roland Barthes Critica e verità. Suo, infine, il testo Spaesamenti inserito nel volume Ipercorpo che ho curato ormai più di un decennio fa, quasi una traccia ante litteram di una condizione esistenziale che lo ha reso artista e uomo mai fermo in un posto solo. Un travaso osmotico dell’uno nell’altro umano e intellettuale. Che mi manca terribilmente.”

VIVIANA GRAVANO, STORICA E CURATRICE DI ARTE CONTEMPORANEA

Marco Baroncelli, dalla serie Lapsus Linguae, 1995- 2011

Marco Baroncelli, dalla serie Lapsus Linguae, 1995- 2011

 

“Una serie di immagini che stanno insieme per empatia, associate non per logica, non con uno schema estetico, o forse anche, ma che in primis stanno insieme per assonanza, per affetto. Le immagini parlano di uno sguardo sempre laterale, capace di cogliere un dettaglio non significativo ma narrativo. Micro storie unite insieme in maniera fortuita da un occhio che guardava sempre tra le righe di una poesia. Essere lievi e non pesare troppo sul mondo. Fare sempre ma senza fretta. Fare per sé, come una necessità che non aveva appelli, ma mostrare invece con molto pudore, fino quasi a scomparire. Un video in una mostra, un aquilone che se ne va e un altro Marco che parte solo un po’ prima di te. Un ricordo nitido: io e te in una multisala cinematografica. Un gioco elettronico in cui puoi simulare di guidare la Formula1, io mi siedo e tu mi scatti una foto con un forte riflesso rosso Ferrari. Poco dopo su quella foto tu che stampi una frase di Georges Perec, che tu hai trovato sottolineata, di seconda mano, con i tuoi occhi dopo i miei. Quella foto per anni e anni, e ancora per anni e anni, sempre sul muro di casa mia.” 

ROBERTO PILONI, ARTISTA

Marco Baroncelli, dalla serie Lapsus Linguae, 1995 2011

Marco Baroncelli, dalla serie Lapsus Linguae, 1995 2011

“Incedere attraverso. Passaggi e passaggi; questo è quello che ogni volta mi percorre la mente quando rifaccio scivolare davanti ai miei occhi le sue immagini, le sue sequenze. Il territorio in transito di Marco mi ha sempre costretto ad una corda invisibile per non farmi trasportare dallo scorrimento degli eventi. Dei suoi eventi, pensavo. Ma poi, come ogni volta è capitato, irresistibilmente ci affondavo. È sempre accaduto tutto in un attimo. All’inizio sembrava solo la stasi, il frammento fragile e appannato incollato a quello successivo, la giustapposizione figliata e l’abilità del montaggio. Brandelli di emozioni, schegge di quotidiano, mi dicevo. Poi all’istante i vetri smerigliati, gli sguardi sfocati, i passaggi fugaci, le pose precarie, i rimandi, i riflessi incessanti, ripetuti, ostinati, tutto si faceva ogni volta corrispondenza, associazione, flusso, connessione. Sempre in un attimo. E come ogni volta ho pensato al lungometraggio che ci stava inglobando.”

FIAMMETTA STRIGOLI, CRITICA E CURATRICE

 

Marco Baroncelli, dalla serie Lapsus Linguae, 1995 2011

Marco Baroncelli, dalla serie Lapsus Linguae, 1995 2011

“Del Marco Baroncelli artista sono testimoni le sue opere, pertanto la sua memoria è in buone mani. Ma è il Marco persona che man mano sento perdersi nel tempo: il Marco che c’era sempre, discreto e premuroso, il Marco del nostro discorrere sul potere evocativo e significativo delle immagini, il Marco della mia stessa passione per i gatti, il Marco che qualche mese prima che se ne andasse mi scrisse: non perdiamoci di vista!”

 SILVANO MANGANARO, CURATORE

Marco Baroncelli, Lapsus linguae dal libro d'artista Caro diario, 2003

Marco Baroncelli, Lapsus linguae dal libro d’artista Caro diario, 2003

 

“Marco lavorava con le immagini, con il loro senso, con le assonanze, i parallelismi, le incredibili o inaspettate affinità. Una visione del mondo che si riscontrava anche nel rapporto empatico che aveva con le persone. O, per lo meno, con me. L’ho conosciuto quasi per caso molti anni fa. Lui, presente in galleria anche alcuni giorni dopo l’opening, con affabilità mi aveva illustrato il suo lavoro: una serie di dittici del ciclo Lapsus linguae e un video, Caronte’s boat. In quello stesso istante decisi che avrei dovuto includere quel video in qualcosa di mio, prima o poi. L’occasione venne nel 2007: con DROME Magazine organizzavamo una piccola mostra per celebrare la chiusura del numero sul “Doppio” e la presentazione di quello sul “Sonno”. Double Dream era il titolo dell’esposizione, perfetto per il lavoro di Marco: il doppio, il sogno. Oggi, a distanza di dieci anni, quei titoli riaffiorano nella mia mente e assumono un ulteriore, inaspettato, significato.”

ALESSIO VERZENASSI, ART DEALER

 

Marco Baroncelli, dalla serie Lapsus Linguae, 1995- 2011

Marco Baroncelli, dalla serie Lapsus Linguae, 1995- 2011

“Un anno trascorso e così riaffiora appieno il pensiero di quel legame potente verso una persona con la quale ho avuto un rapporto schiuso da subito all’intesa spontanea. Ho cercato e conosciuto Marco per motivi d’incastri professionali: rovistando nelle scene, ricordo da sempre, una persona discreta, rallentata, dall’aria sorniona e con indosso un’eleganza disadorna, emersa da una semplicità realmente spontanea. Pianificatore lucido ed equilibrato, grande amante delle organizzazioni, Marco aveva però anche un ambito segreto, un luogo recondito nel quale ho avuto accesso solo di tanto in tanto e a volte con la scusa dell’arte. Perché c’è un nesso tra le istanze segrete della sua intimità e quelle del suo linguaggio espressivo. E dunque nuovamente eleganza, simmetria, acume sensoriale ma a volume basso, sempre. Come quello della sua voce.”

OLGA GAMBARI, GIORNALISTA E CURATORE INDIPENDENTE

 

“Per me Marco sarà sempre i suoi libri. E il ritratto di Marco è un libro dalla copertina bianca. Una copertina un po’ magica, un po’ tecnologica, non so, dove si succedono immagini diverse, scatti di vita, di vite che scorrono leggere. Quelle che lui prendeva dal flusso con mani dalle dita aperte, e le fissava appena con piccole puntine in forma di frasi, parole, versi. I libri per Marco erano corpi da attraversare, biglietti da visita, test di Rorschach, cadavre exquise. Immagini, sensazioni, ricordi, riflessioni. Li liberava, li apriva, li rendeva palcoscenici, scrigni, archivi, laboratori, case, oasi. Era il lettore ideale, che usa il libro come trampolino per lanciarsi altrove, come materiale vivente, insieme instabile e metamorfico. Che lo rende davvero una porta, una finestra, un aquilone, un aeroplano di carta. Per questo lo penso poeta prima che artista.”

                                                                                                            

IGINIO DE LUCA, ARTISTA

Marco Baroncelli, dalla serie Lapsus Linguae, 1995 2011

Marco Baroncelli, dalla serie Lapsus Linguae, 1995 2011

La prova che esisto è il titolo di una poesia che hai letto per me anni fa e che ho riascoltato per caso ieri sera. Il brano, scritto da un tuo amico, Paolo Ruffini, era parte di un progetto intitolato “Trinitade”: sei personaggi in dialogo creativo, tre artisti e tre poeti per un lavoro corale, video e sonoro. La tua idea è rimasta sospesa, non ha ancora trovato la sua pista di atterraggio; la tua voce però c’è, è concreta, terrosa, ispirata, autenticamente romantica e sprofonda in me con tutti i suoi chiaroscuri. È una voce ruvida che sgrana emozione, risuona aspra tra passione e malinconia, è coerente con il tuo sorriso bambino e accogliente, ne rilancia la dolcezza. E a risentirla di sorpresa mi schiude la felicità di averti di fronte, gli occhi trasognati e rassicuranti, venati sempre di poesia. Ho bisogno di te Marco, della prova che esisto, di inciampare nella tua voce che non pone ostacoli ai labirinti interiori; tu alloggi in me comodamente da sempre, con la più bella prova della tua esistenza, la prova d’artista.”

ANGELO BELLOBONO, ARTISTA

 

Marco Baroncelli, Enzo Orlandi, Parole Crociate, still video, 30', 2002

Marco Baroncelli, Enzo Orlandi, Parole Crociate, still video, 30′, 2002

“Ho conosciuto Marco molto tempo fa. Negli anni le nostre esistenze si sono sfiorate in qualche inaugurazione o cena tra amici. Sono molte le persone che lo hanno conosciuto più e meglio di me, ma la notizia della sua morte mi scosse molto e così ho condiviso con altri la volontà di ricordarlo come uomo e come artista. Oggi mi ritrovo a scrivere su di lui, sulle sue opere, sempre cariche di senso, mai urlate, sussurrate, come un alito di vento che entra dal bavero provocandoti un brivido, una cascatella di parole che solleticano la schiena diventando poesia. Parlava col volto sempre incorniciato da un sorriso sereno, una membrana simile alle trasparenze delle sue opere, che ti costringevano a cercare il punto in cui la nebbia si diradava rivelando paesaggi e storie. Già nei primi anni del 2000 il suo lavoro si era interessato a fenomeni sociali come l’immigrazione. Ricordo il video “Parole Crociate”, in cui le immagini e le voci di immigrati in Italia si sovrapponevano a quelle di vecchi emigranti italiani. Ascoltava le storie degli altri senza mai usarle per affermare se stesso. Oggi sono felice di dedicargli un pensiero.”

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