Dall’arazzo alla performance. Intervista con Thomas De Falco

Parola al protagonista della mostra appena conclusasi al Triennale Design Museum di Milano. Thomas De Falco chiarisce i nodi cardine della sua pratica, fra natura e performance.

Il 29 novembre, Triennale Design Museum ha presentato Nature, una personale del giovane artista Thomas De Falco curata da Laura Cherubini. A inaugurare l’esposizione Intricacy, una performance e installazione tessile. Ne abbiamo parlato con l’artista

Thomas, guidaci tu. Da dove partiamo?
Iniziamo dalle 24 opere appese a parete. Si tratta di lavori passati, venduti nel tempo. A livello sentimentale sono molto legato a questo museo, perché qui in Triennale ho realizzato la mia prima performance (natura morta W, 2010). Quindi ho voluto dare un senso storico al mio lavoro e mostrare da dove nascesse il mio percorso artistico.

Una delle cose che subito incuriosiscono delle tue opere è l’uso dei materiali e dei supporti. Come si è evoluto questo aspetto più tecnico?
Come si vede dalle opere, ho sempre mescolato la materia tessile con altri materiali: il ferro, il rame, la prima lana, ad esempio. Nel tempo, raccogliendo degli oggetti, ho iniziato ad aggiungere al cotone canapa, seta e corda da marinaio. Il mio lavoro si faceva, inconsciamente, sempre più scultoreo, fino ad arrivare alla scultura tessile.

Se queste opere rappresentano il tuo trascorso artistico, quali sono quelle che rappresentano di più il Thomas di oggi?
Quello che sono oggi e che sarò in futuro è rappresentato da quei lavori che uniscono la materia tessile e la natura. La natura è il centro della mia ricerca. Il mio lavoro nasce dalle radici, dagli alberi e dalle foglie. Collegandola alla natura, la materia tessile prende vita.

Thomas De Falco. Intricacy. Performance at La Triennale di Milano, 2017

Thomas De Falco. Intricacy. Performance at La Triennale di Milano, 2017

Come influenzano le tue performance queste tematiche e queste opere?
Per me la performance è la sintesi totale del lavoro. La natura è strettamente legata al corpo, perciò la foglia, o la radice, parla attraverso il corpo umano. I miei performer diventano il mezzo attraverso il quale la natura può esprimersi, rendendo vive le mie sculture tessili. Per questo, ci tengo a ricordare, io non faccio performance, ma realizzo performance e installazioni tessili.

A livello metodologico, come inizia e come si svolge per te il processo di ideazione delle performance?
Lo studio della performance inizia dai miei quaderni, esposti in mostra per la prima volta. Io non li considero opere, ma lavori di ricerca in cui appunto tutte quelle idee che ritengo irrealizzabili. Per questo non li ho mai esposti prima. I materiali che uso per questa ricerca vanno dalle foglie intessute ai capelli di una delle mie performer. Organizzo ciò che raccolgo nelle pagine e poi studio i colori, le immagini e il movimento che verranno proposti nella performance.

Da dove nasce la performance che ha inaugurato la mostra?
La performance, accompagnata da una composizione di musica astratta per marimba da me pensata, riprende un’immagine che ho trovato leggendo il libro Il piccolo amico di Paul Léautaud, che racconta di una madre assente. Volevo raffigurare questa madre sia come mamma sia come madre natura assente, che stacca, congela e riassembla. L’idea che spero di trasmettere è quella di un equilibrio e un disequilibrio dato dalla presenza e dall’assenza di questa madre natura e del suo grande abbraccio. Per la prima volta vorrei infatti legare la performance all’idea del mondo e della natura, affrontando il tema sociale riferito a ciò che accade in questo momento nella nostra vita.

Quali sono le tematiche socio-politiche cui fai riferimento? E come ti poni rispetto alla crisi contemporanea?
Penso agli attentati, ai terremoti, alle persone che rimangono senza casa, ai falsi allarme bomba che interrompono le cene nei ristoranti. Quindi l’intento è di creare questo equilibrio e disequilibrio sociale. Io, da ignorante, vorrei mostrare quello che percepisco e che il mondo percepisce. Io credo nell’amore. L’intento è quello di creare un messaggio d’amore nel senso semplice della parola. Quella sociale, per me, è una tematica totalmente nuova. In precedenza il mio lavoro si legava piuttosto al privato o allo stato d’animo del luogo che ospitava il mio lavoro.

Thomas De Falco. Nature. Exhibition view at La Triennale di Milano, 2017

Thomas De Falco. Nature. Exhibition view at La Triennale di Milano, 2017

LA MOSTRA

Nature presenta l’evoluzione artistica di Thomas De Falco, ripercorrendone le tappe in modo nitido. Prima l’arazzo bidimensionale con elementi scultorei, poi la tridimensionalità del wrapping che invade lo spazio e cola dalla tela. Infine la scultura tessile. Diplomatosi in arazzo contemporaneo alla Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano, De Falco utilizza una tecnica e un medium inattesi. Le opere dell’artista sorprendono per la forma che evoca la radice, il tronco, la linfa ma anche l’organo interno umano. Le opere hanno un impatto invasivo rispetto allo spazio di fruizione e de-costruiscono il linguaggio convenzionale qualora si tenti una definizione. Autoritratto evacua la rappresentazione. Natura morta w, prima scultura tessile dell’artista, infesta l’occhio con il nero della lana in modo aggressivo. Accanto all’incapacità di verbalizzare la forma, mostruosa ma organica, si collocano la semplicità e la tenerezza dei quaderni di De Falco: strumenti di ricerca accurati, maneggiati con premura dall’artista. L’universo visivo e l’immaginario di De Falco sono sedimentati nelle pagine, nelle foglie intessute e negli appunti a penna. Dolci, ma non meno deboli nella forza, sono anche le foglie sotto vetro appese nella parete: congelate e lacerate dai punti d’ago.

Thomas De Falco. Intricacy. Performance at La Triennale di Milano, 2017

Thomas De Falco. Intricacy. Performance at La Triennale di Milano, 2017

LA PERFORMANCE

Cinque performer con gli occhi chiusi si muovono al ritmo di una marimba, suonata da un adulto e un bambino in scena. I performer dondolano delicatamente o scattano nervosamente, ricercando l’equilibrio in piedi per 90 minuti. Quando la musica è assente, una delle performer canta delle note liriche irriconoscibili.
Se l’estetica fosse l’esito ricercato, il lavoro sarebbe impeccabile. L’ambizione socio-politica non sembra essere sostenuta dalla performance: lo stagnare del movimento e gli occhi sigillati dei performer, che impongono asetticità sia a loro che al pubblico, non riguardano la contemporaneità. Il disequilibrio collettivo di fronte al mondo appare pulito ma non onesto rispetto al muoversi di una sofferenza culturale. Il contemporaneo non è l’inconsapevole, e non si accorda al suono di una marimba.

‒ Carolina Mancini

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Carolina Mancini

Carolina Mancini

Carolina Mancini ha 22 anni e vive a Milano. Fa fatica a definirsi. Si è laureata in Letteratura Musica e Spettacolo a La Sapienza di Roma con una tesi in teoria e critica della letteratura, scrivendo una tesi su Tommaso…

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